“Contro” Agostino Gemelli, il Machiavelli di Dio

“Ritengo che Padre Pio sia uno psicopatico, senza potermi per ora pronunciare sul genere e sulla natura di questa psicopatia”; costui dovrebbe essere “internato, per alcuni mesi […] in luogo adatto, assolutamente isolato, sotto la sorveglianza e la cura di un medico adatto e capace […] Autorizza a procedere così e a trattare Padre Pio come un povero ammalato il fatto che […] egli non presenta quelle note per le quali la santità si rivela: l’esercizio eroico delle virtù, la unione con Nostro Signore, i doni spirituali”1.
Ad esprimersi così, su padre Pio da Pietrelcina, era padre Agostino Gemelli (da alcuni definito il Machiavelli di Dio2) alla fine del suo rapporto su padre Pio datato 6 aprile 19263.
Ma chi era padre Gemelli?
Nato a Milano nel 1878 da una famiglia agiata, conseguì la laurea in Medicina a Pavia dedicandosi poi a ricerche in Istologia prima (era stato allievo del premio Nobel Camillo Golgi, illustre istologo e valente microscopista) e psicologia sperimentale successivamente. Entrato in un convento francescano nel 1903, assunse il nome di Agostino (Edoardo era quello di battesimo) diventando sacerdote nel 1908. L’anno successivo all’ordinazione sacerdotale fondò la “Rivista di filosofia neo-scolastica”. Abbandonando le posizioni positiviste a cui era stato educato in famiglia, si batté per il riconoscimento della veridicità delle guarigioni miracolose che avvenivano a Lourdes (definendo questo suo impegno… lotta per Lourdes). Partecipò alla Prima Guerra Mondiale, fondò l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e la Facoltà di Medicina a Roma (Policlinico Gemelli). Morì nel 1959.
…E padre Pio?
Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, nacque nel 1887 in provincia di Benevento, a Pietrelcina, da una famiglia non benestante che possedeva meno di un ettaro di terreno coltivabile. Diventato novizio dei Cappuccini nel 1903, cominciò ad usare il nome di fra’ Pio. Nel 1910, mentre il padre era in America per lavoro, fu ordinato sacerdote. Dietro l’immaginetta che ricordava l’evento, volle che fosse scritto quello che finì per essere il suo programma di vita: “Gesù, mio sospiro e vita, oggi che trepidante ti elevo in un mistero di amore, con te che io sia per il mondo via, verità e vita e per te sacerdote santo e vittima perfetta”4. Dunque: il massimo della sua aspirazione era, tra l’altro, l’essere vittima perfetta. Nel 1910, mentre era a Pietrelcina per motivi di salute, ebbe le sue prime stimmate che furono dette provvisorie perché scomparivano e ricomparivano. Nel 1918 ricevette quelle permanenti che restarono con lui per tutto il resto della sua vita. Già dopo la comparsa di quelle provvisorie, a San Giovanni Rotondo cominciarono ad arrivare pellegrini da ogni dove, cosa che impensierì le gerarchie ecclesiastiche interessate ad escludere una possibile macchinazione orchestrata a scopo di lucro.
Così, alle traversie dovute ad una salute cagionevole e alle tribolazioni patite ad opera delle ‘forze del male’, si aggiunsero quelle dovute alle pur comprensibili preoccupazioni della sua stessa Chiesa che si avvalse proprio del francescano Agostino Gemelli per far luce su ciò che, di per sé, era già molto… luminoso.
L’incontro fra i due.
Il 18 aprile del 1920, accompagnato da Armida Barelli, cofondatrice con lui dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, padre Agostino Gemelli giunse a San Giovanni Rotondo con l’intenzione di esaminare le stimmate del frate cappuccino. Armida, incontra il frate stigmatizzato il 18 stesso e gli parla del desiderio dell’illustre medico milanese, nonché francescano minore, di esaminare le sue stimmate. Il permesso viene negato: al massimo, il giorno successivo, il francescano milanese potrà vedere padre Pio in sacrestia, mentre si preparava alla celebrazione della Messa. Così infatti avviene: il brevissimo incontro si svolge alla presenza di due testimoni, padre Benedetto da San Marco in Lamis ed Emanuele Brunatto5.
L’incontro del 19 aprile 1920 fu dunque tale da non consentire al medico francescano né il tempo di esaminare le stimmate né di parlare col Cappuccino così come avrebbe voluto.
E qui sorge il primo problema che ha dato origine alle accuse di falsità nei confronti di Gemelli.
Padre Gemelli, infatti, quello stesso giorno, inviò un rapporto (il primo dei tre che tra il 1920 e il 1926 indirizzò al sant’Uffizio) a Carlo Perosi, appunto membro del Sant’Uffizio6. In esso egli parla di un incontro durante il quale avrebbe avuto modo di conversare a lungo con il frate francescano presso il quale si sarebbe introdotto “senza che egli se ne avvedesse, con innocente artificio” e lo avrebbe sottoposto ad un “interrogatorio psichiatrico”. Nel Rapporto, parla anche delle stimmate delle mani che descrive come “piaghe rotonde con escora sanguinolente”7. Siccome nell’incontro, avvenuto senza sotterfugi, il 19 aprile 1920 non ebbe modo né di conversare adeguatamente col frate né di osservarne le stimmate, come avrebbe potuto sottoporlo ad interrogatorio psichiatrico?
Dunque, è la conclusione di tutti, nel rapporto avrebbe mentito.
In realtà, l’incontro che egli descrive nel rapporto del 19 aprile 1920 era avvenuto nel 1919, un anno prima. Dunque, alla data della seconda visita, quella brevissima ed infruttuosa del 1920, fa rapporto su quanto avvenuto nella prima visita, quella del 1919 rimasta a lungo sconosciuta.
Sollecitato dal vescovo di Foggia, infatti, ed accompagnato dal segretario di questi, Padre Gemelli, nel 1919, si era recato a San Giovanni Rotondo dove, vestendo i panni di un convinto ed entusiasta medico laico8,9 (ecco l’innocente artifizio di cui parla nel rapporto del 1920), poté effettivamente fare quello che poi raccontò al Sant’Uffizio10 nella relazionare datata 19 aprile 1920.
Ma cosa riferì, esattamente, in questo primo rapporto?
A seguito dell’interrogatorio psichiatrico, aveva concluso che “non vi sono i segni di quelle malattie mentali a contenuto religioso” ma il francescano con le stimmate “Sembra piuttosto un uomo a ristretto campo della coscienza, abbassamento della tensione psichica, ideazione monotona, abulia; elementi questi che fanno pensare ad una diagnosi che io non posso formulare non avendo sottoposto il Padre Pio a un esame neurologico”10 [il grassetto è mio].
Ma qui mi nascono i primi dubbi sull’oggettività del padre milanese: non sulla sua preparazione ma, appunto perché ben preparato in campo psicologico e formato anche in quello religioso, queste sue affermazioni mi lasciano fortemente perplesso.
Ritorniamo per un attimo a cosa Padre Pio aveva fatto scrivere dietro il ricordino della sua ordinazione sacerdotale: “Gesù mio sospiro e vita […] che io sia per Te sacerdote santo e vittima perfetta”. Con un simile programma di vita, che, in generale, padre Gemelli avrebbe dovuto conoscere bene visto che anch’egli apparteneva alla Famiglia francescana e tanto amava il fondatore dell’Ordine, come poteva egli pretendere che il frate di Pietrelcina avesse un’ideazione non monotona, una elevata tensione psichica e non fosse altro che abulico visto che la rinuncia alla vita, a tutti i suoi piaceri, a tutte le sue lusinghe era il suo programma di vita?! Padre Pio non aveva un lavoro, una famiglia, dei figli, un campo da coltivare, un futuro da costruire e a cui pensare… come poteva, dunque, non avere una tensione psichica bassa? Era ammirevole, anzi, che l’avesse così: voleva dire che era riuscito a staccarsi dalle cose del mondo come il suo progetto di vita, quello del suo Ordine, avevano previsto per lui come per gli altri appartenenti all’Ordine stesso. Ho conosciuto un frate che diceva di pregare molto e che mi lasciò di stucco quando mi disse che lui era fermo, in adorazione davanti al Santissimo dalla mattina presto fino alla mezza… Con una vita così monotonamente centrata sulla preghiera e per di più condotta, quella di Padre Pio, dentro un convento, senza nemmeno la responsabilità di una parrocchia da portare
avanti, come poteva Gemelli aspettarsi dal frate una ideazione non monotona? Anziché addebitarglielo come segno di un disturbo psichico, gliene avrebbe dovuto riconoscere il merito… Il merito di aver centrato l’obiettivo, di aver colto nel segno, per dire così, della sua vocazione.
Ma questa, forse, non è l’unica… incongruenza di padre Gemelli.
Nel suo terzo rapporto al Sant’Uffizio, quello del 6 aprile 1926, forse amareggiato dall’attacco che il medico romano dottor Festa gli aveva portato, in un documento di 72 pagine che l’anno prima aveva stilato in difesa di padre Pio e inviato al Sant’Uffizio, Gemelli è ancora più duro nei confronti del Padre con le stimmate. Riferendosi a padre Pio scrive infatti che… “Si tratta di un soggetto ad intelligenza ben limitata” che “presenta le note caratteristiche di una deficienza mentale di grado notevole”. Con le batterie di test oggi disponibili per psicologi e psichiatri, chissà se tale diagnosi verrebbe confermata. Ma Gemelli continua e rincara la dose: “È un buon religioso tranquillo, quieto, mansueto, più per opera della deficienza mentale che per opera di virtù” e continua con quello che da un religioso – un francescano per giunta! – mai ci si aspetterebbe: “Come può essere che un dono così straordinario come le stimmate sia accompagnato da una siffatta povertà spirituale?”12
Un’altra svista, dunque, anch’essa resa ancor più strana dal fatto che chi la commette è un uomo di fede, un ecclesiastico per il quale quello che addebita come deficit al frate di Pietrelcina, dovrebbe essere anche un suo obiettivo.
Allora? Padre Pio un semplicione? E se pure fosse? Era pur sempre un semplicione che faceva miracoli o, per dirla con le sue parole, intercedeva affinché Altri facesse i miracoli richiesti.
È non è che Gemelli non credesse al soprannaturale: si era battuto a favore del riconoscimento della natura soprannaturale di certe guarigioni avvenute a Lourdes dove tutto era cominciato – guarda un po’!? – con una sempliciona e autentica zuccona (absit iniuria verbis) quale era Bernadette Soubirous. “Quella là”, Aquéro, aveva scelto proprio lei e non la ben più sveglia Jeanne Abadie o la più concreta Toinette che quell’undici febbraio 1858 erano con Bernadette alla ricerca di legna nei pressi della vecchia roccia di Massabielle…
Strano che fosse sfuggito al Gemelli… uomo di chiesa, diremmo prosaicamente oggi.
Come potrebbero spiegarsi queste dimenticanze?
In questa vicenda, e precisamente nella stesura delle relazioni inviate al Sant’Uffizio, egli ha inoltre commesso dei veri e propri errori.
Nel primo rapporto, quello del 19 aprile 1920, riferendosi al direttore spirituale di Padre Pio, padre Benedetto Nardella, lo chiama Benedetto Nardone. Si dirà che una svista su un nome può capitare… Ma non è l’unica date anche le precedenti dimenticanze, i precedenti mancati accostamenti e paralleli.
Sempre nel primo rapporto, nel descrivere l’afflusso di pellegrini, parla del paese di… Monterotondo e non di San Giovanni Rotondo. Il primo si trova nei pressi di Roma, il secondo, come tutti sappiamo, in Puglia… E questo errore lo ripete anche nel terzo rapporto dove, facendo una commistione fra i due, parla di… San Giovanni di Monterotondo.
Perché questi errori e queste sviste commesse da un rigoroso e preparato uomo di scienza?
Proprio perché tale, questi errori fanno quasi pensare ad un qualche turbamento inconscio generatore di tensioni che alterano l’espressione di quanto si vuol dire o scrivere fino a giungere alla negazione di quello che accadeva a padre Pio, per mezzo di padre Pio, mediante denigrazione e delegittimazione dello stesso padre Pio.
Da cosa poteva nascere il turbamento e il conseguente, negletto bisogno di negazione e, quindi, gli errori, le dimenticanze e i mancati collegamenti?
Poteva bastare il desiderio di “consolidare l’unicità del caso San Francesco (il solo possibile alter Christus”13)?
Non credo, anche se, se così fosse, si sarebbe trattato almeno di azioni compiute con un intento nobile, anche se attuate con modalità tanto cieche da arrivare a commettere un’ingiustizia.
Ma a me, confesso, di fronte a queste posizioni strane, è subito venuto in mente il lavoro che Sigmund Freud dedicò agli errori che si possono osservare in alcune opere e lavori di Leonardo da Vinci14. Qualcosa turbava Leonardo sì da fargli commettere, in talune opere a quel turbamento legate, degli “errori notevoli”14.
Ma cosa c’era nel Padre di Pietrelcina che poteva turbare Gemelli tanto da spingerlo a cancellarlo anche travisando il nome del paese che lo ospitava?
Non poteva essere il fatto che compisse miracoli: egli aveva accettato e difeso il soprannaturale, l’anomalo accaduto a Lourdes, ma Lourdes era un fatto ormai acclarato, consolidato, che aveva ricevuto, con il riconoscimento delle apparizioni, l’imprimatur (s.l.), il placet della Chiesa: era, ormai, parte integrante della formazione di un uomo di chiesa. Era nei paradigmi di tutti.
Padre Pio, invece, nel 1918/19 era appena appena un giovane, malaticcio frate ordinato prete qualche anno prima. Era semplice, e tale voleva essere e rimanere e, nella sua piissima semplicità, forse proprio grazie ad essa, otteneva ciò che l’altro appartenente alla Famiglia francescana, il milanese, quello di origini e preparazione ben diverse, non poteva neanche lontanamente pensare di ottenere: miracoli, cose strabilianti… vicinanza con Dio.
Forse era questo che, laggiù in fondo (hanno un inconscio anche gli uomini che diventano ministri del culto) turbava l’uomo Edoardo Gemelli.
Comunque, sebbene non potesse sperare in un trattamento diverso da parte di un uomo di scienza (prima il dubbio, poi le verifiche, infine il riconoscimento eventuale) padre Pio aveva diritto ad un trattamento obiettivo e scevro da superficialità e dimenticanze.
E invece, pur ammettendo che sarebbe stato necessario “un esame neurologico” che però non aveva potuto effettuare, Gemelli formula giudizi e valutazioni molto pesanti.
Confermano, poi, l’assenza di obiettività, di terzietà, l’acredine e la veemenza del giudizio ma ancor più il fatto di aver ignorato quei paralleli, quelle somiglianze e, cosa più grave, quei passi evangelici che, se tenuti ben presenti, avrebbero fatto considerare in maniera diversa la… semplicità del padre di Pietrelcina: non un elemento probatorio a favore della falsità del suo agire ma, tutt’altro, un elemento rafforzativo a sostegno della veridicità di quanto mostrato. Francesco Forgione, come il suo omonimo di Assisi, come Agostino di Ippona e tanti altri era uno degli “ultimi”, molti dei quali, come Saulo di Tarso (e gli stessi Francesco d’Assisi e Agostino d’Ippona), “militavano” dall’altra parte, quella del male, quella di una vita non retta e non proba, anzi, talvolta decisamente peccaminosa… Ma gli ultimi, è stato detto, saranno i primi.
E questo, anche questo sfuggì al pur dotto e preparatissimo francescano di Milano.
Cosa aveva Edoardo Gemelli da influenzare Agostino Gemelli tanto da indurlo ad errori di questo tipo? Qual era la sua latente, misconosciuta inclinazione, il suo bias, diremmo oggi?
Forse, per lui, i futuri santi devono avere una tensione psichica elevata, meglio se accompagnata da “un naturale piacevole, un occhio penetrante, un’eloquenza proverbiale, un tratto signorile, un parlare franco, un incedere calmo, un operare risoluto”16. Ma se avesse avuto tutto questo, Francesco Forgione (Pio da Pietrelcina) si sarebbe chiamato Giovanni Bosco… che era accompagnato sì da Dio, ma nel modo più consono a quanto ad egli richiesto. Nei disegni di Qualcuno, Giovanni non doveva essere francescano (sia pure un francescano intraprendente come, appunto, Gemelli) e quindi pur avendo già deciso di diventare frate francescano, dovette ritornare sulla sua decisione influenzato come fu da uno dei tanti misteriosi sogni che aveva nei momenti topici17.
Don Bosco fondò la Società Salesiana, ed operò tantissimo dentro un alone, un’aura soprannaturale che sempre lo circondò, avvolse e guidò. Aveva sì una elevata tensione psichica, un pensiero non monotono ed era certamente volitivo: ma per il compito a lui affidato, questo a lui serviva.
A padre Pio era richiesto altro tanto che, per esempio, nella Messa che lui celebrava, l’Elevazione poteva durare anche tre quarti d’ora18 e si svolgeva in un profluvio di lacrime… Questo a lui si richiedeva; questo era l’esempio che lui doveva dare, il modello che lui doveva essere… il compito a lui affidato. La Scienza e l’aiuto costruttivo dei meno abbienti, erano richiesti ad altri: Agostino Gemelli, appunto, e Giovanni Bosco (San Giovanni Bosco19). E ognuno dei due (dei tre!) aveva ricevuto, per l’incarico assegnatogli, l’“armamentario” necessario.
E anche questo sembrerebbe essere sfuggito a padre Gemelli, personalità complessa e variegata…
Si dirà che lui era dentro la vicenda, ne era parte integrante e non poteva certo vederla con la freddezza e il distacco che in questi casi sono necessari.
Resta il fatto, comunque, che un torto fu fatto al futuro san Pio, soprattutto ignorando i fatti soprannaturali che egli catalizzava, soffermandosi, invece, sui timori di imbroglio e i sospetti di speculazione che nemmeno lo sfioravano.
Resta anche la domanda su cosa avesse realmente Edoardo/Agostino Gemelli da indurlo a simili comportamenti nei confronti del futuro santo.
… Mi viene in mente, ma è solo una sensazione personale, quanto soleva ripetere, tra sé e sé, la suora direttrice del pensionato nel cui cortile, su un biancospino, apparve più volte la Madonna dal Cuore d’oro: “Perché così vicino a me… perché così vicino a me…?”20 e – verrebbe da aggiungere – non a me!
Fiorentino Bevilacqua
05.06.24
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- Agostino Gemelli, Contro Padre Pio, Mimesis, 2010, p. 38
- Giorgio Comacini: Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Rizzoli, 1985.
- Anche questo rapporto, come altri due che lo hanno preceduto, è indirizzato al Sant’Uffizio.
- https://www.youtube.com/watch?v=HjDsnF67nng url consultato e salvato il 05.05.24
- https://www.avvenire.it/agora/pagine/padre-gemelli-e-padre-pio-gemelli-non-fu-un-bugiardo-vide-davvero-le-stimmate-di-padre-pio url consultato e salvato il 05.05.24
- Contro Padre Pio, op.cit., p. 9
- Ivi, p. 11
- Vedi nota 5
- Contro Padre Pio, op.cit., p. 21
- Ivi, p. 23
- Ivi, p. 11
- Ivi, pp. 30-31
- Freud, Psicanalisi dell’arte e della letteratura, Newton, 1997
- Contro Padre Pio, op.cit., p. 42
- Freud, op. cit., p. 40
- Molineris Michele, Don Bosco e il soprannaturale, Elledieci, 2010, p. 5
- Ivi, pp 19-21
- La testimonianza di Carlo Campanini qui https://www.youtube.com/watch?v=8naXa4-Xjwo&t=693s
- Giovanni Bosco fu beatificato nel ’29 e canonizzato nel ‘34
- Radio Maria
In difesa di Agostino Gemelli.
Molto dotto e interessante il tema dell’incomprensione tra Padre Pio e Agostino Gemelli. La prima metà mi ha convinto del tutto. Dopo, sono rimasto confuso.
Perché so che la Chiesa ha l’obbligo di essere prudentissima nei confronti del miracolo e di fare, finché non si superano tutti i dubbi, l’avvocato del Diavolo.
La Chiesa inoltre, è eterna, e non ha la fretta di valutare subito positivamente un miracolo anche vero. Il 1918-1920 era solo agli inizi del manifestarsi della santità di Padre Pio. I giudizi di Padre Gemelli vanno, quindi, valutati nel segno della massima prudenza, fino al linite della diffidenza perché il diavolo si può nascondere dovunque. Dati i tempi, in cui il miracoloso Padre Pio non era “luminoso” come è oggi, la diffidenza di Gemelli mi sembra atto dovuto e gradito alla Chiesa del tempo che ha continuato a diffidare per almeno altri trenta anni. Perché prendersela con il solo Padre Gemelli, primo ad analizzare la novità di quella santità inaspettata.
Se mi è permesso, io vorrei ricordare, più che l’Agostino Gemelli che emerge da questo scritto, quell’Agostino Gemelli che ha attaccato come non scientifiche le teorie di Lombroso sull’atavismo dei Meridionali. E se ha fatto qualche altro errore, cristianamente, glielo rimetto. Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori.