E “SI VENE ‘O MAMMONE” SU “LA PADANIA DELLA SERA”, MONGIANA FU CHIUSA PER COLPA DEI GRILLINI… di Pino Aprile
Uno sgangherato articolo sulla chiusura delle ferriere di Mongiana è apparso ne “La Lettura”, inserto domenicale della Padania della sera: solito parto della “versione antica e accettata” della nostra storia risorgimentale: di quello che c’era prima dei Savoia, niente va salvato, tutto era sbagliato, sporco e non meritava di esistere. Non si sa quanto questa cantilena sia figlia di pigrizia intellettuale, di sudditanza psicologica o di acritica adesione a quanto “deve” essere detto.
L’autore, Andrea Mammone, risulta insegnare in una università londinese: la nostra solidarietà ai suoi allievi. Peccato, sarebbe utile un vero confronto sulla nostra storia, per correggere i reciproci errori di lettura e analisi, ma l’estensore pare interessato soltanto a usarla per sostenere che i “nostalgici neoborbonici” e i grillini sono la stessa cosa. Brutta, si capisce. Bobbonica o bubbonica, non ricordo bene.
Il guaio è che non sai da dove cominciare con uno così. Prende pari-pari la palla (oggi si direbbe fake news) dell’arretratezza del Regno delle Due Sicilie rispetto al resto d’Italia, per sancire che lo stabilimento siderurgico fu chiuso per suo ritardo tecnologico (pensate che c’è chi ne dà colpa ai piemontesi che spostarono tutte le commesse a casa loro!); ed era anche mal collegato alle linee di comunicazione (quindi i piemontesi non fecero le strade, chiusero la fabbrica. Come ora, diciamo). Se è per questo, si è pure detto che non era più tempo di ferriere di montagna, lontane dal mare e azionate da energia prodotta da salto idrico.
Legga un po’ di più, prof. L’arretratezza del regno delle Due Sicilie fu inventata da Benedetto Croce (lo dimostra il professor John Anthony Davis, dell’università del Connecticut, in “Napoli e Napoleone”), per giustificare le condizioni sempre più disastrose in cui sprofondarono le regioni del Sud dopo l’annessione a mano armata. Il presunto ritardo tecnologico non impediva alle maestranze di Mongiana di fare oggetti così stimati al tempo, che per indicare eccellenza siderurgica, si diceva “ferri di Mongiana!”; e di produrre contatori per mulini perfetti e pure a metà prezzo, rispetto a quelli, che non funzionarono, di raccomandata fabbrichetta sabauda cui fu dato l’appalto. Uno storico dovrebbe forse indagare sulla destinazione delle commesse statali, a Italia unita (basterebbe leggere quanto già scritto da altri: da Francesco Saverio Nitti a Luigi De Matteo, a Paolo Malanima e Vittorio Daniele, a Stephanie Collet, a Carlo Ciccarelli e Stefano Fenoaltea, a Vito Tanzi…, vabbuo’, mica vorremo far perdere tempo prezioso al prof in trasferta), magari scoprirebbe qual era l’uso politico e predatorio del “ritardo tecnologico”: le officine di Pietrarsa risultarono promosse persino dalla apposita Commissione parlamentare (e sarebbe stato difficile il contrario, se lo stesso Piemonte comprò a Napoli le locomotive per la sua rete ferroviaria), ma se ne volle la chiusura, per spostare la produzione industriale al Nord; l’unico ritardo tecnologico accertato fu l’inadeguatezza delle maestranze al respingimento “corporale” delle pallottole sparate dai sabaudi fratelli d’Italia per sedare la protesta contro la fine dell’azienda,.
Gli studi, le prove, i documenti che smentiscono la vulgata dell’arretratezza del Regno delle Due Sicilie sono ormai tanti che ci siamo stufati di citarli e fa impressione che chi ha la responsabilità della formazione di studenti continui a ignorarli, bastandogli un diario di viaggio del Settecento. Il Regno delle Due Sicilie era la regione più industrializzata d’Italia, allora. Questo non vuol dire che fosse al livello economico della Francia o della Gran Bretagna. La potenza industriale, però, non è nella quantità di cose che si fanno (fra un milione di auto e mille, la differenza è solo di numero e ampiezza del mercato, non di competenza), ma nella quantità di cose che si sanno fare. Il Regno delle Due Sicilie era in possesso, e le metteva a frutto, delle più avanzate conoscenze tecnologiche del tempo (siderurgia, cantieristica navale, industria ferroviaria) e aveva più addetti all’industria e il doppio degli studenti universitari del resto d’Italia messo insieme. Ricordarlo, non è rimpiangere un paradiso di cui nessuno ha mai parlato, salvo chi ne vuole attribuire il rimpianto ad altri. Un docente dovrebbe, comunque, chiedersi (come fecero Massimo D’Azeglio, Giuseppe Ferrari) perché al Sud preferirono farsi massacrare nel tentativo di non uscire dall’inferno borbonico (centinaia di migliaia di vittime, deportati, incarcerati) e, fallita questa via, preferirono abbandonare a milioni la propria terra per la prima volta nella storia, pur di sottrarsi al paradiso unitario sabaudo.
I cattivi collegamenti con le coste non avevano impedito a Mongiana di diventare il più grande stabilimento siderurgico d’Italia, pur in montagna e a caduta d’acqua. Dopo la sua chiusura, fu costruito quello di Terni, più lontano dal mare, sempre in montagna e alimentato da una cascata. E furono le maestranze di Mongiana, lì emigrate, ad avviare lo stabilimento (tecnologicamente e di colpo migliorate); altri finirono nell’industria bresciana delle armi (prima dell’unità, emigravano da Brescia in Calabria) e nella siderurgia degli Stati Uniti: non male per arretrati bobbbonici.
Conoscere per deliberare…, ricordate? (Non sono parole mie). Mammone ne fa a meno, per il passato e per il presente, ora ironizzando sul, ora preoccupato del “clima” che c’è al Sud e che attribuisce a propalatori di fake news (pensi: ci sono storici che da un secolo e mezzo ci raccontano la barzelletta dei mille e non ci dicono niente delle decine di paesi rasi al suolo, del ruolo della Gran Bretagna, dei saccheggi, degli stupri), fra cui mi annovera per quel che scrivo “bizzarramente e lacunosamente”. E che lui comunque (e giustamente!) non legge, a occhio, ma su cui è in grado di sare il suo (pre)giudizio. Altrimenti non si capisce come non sia stato sfiorato dal dubbio per i lavori di quei suoi colleghi che cito nei miei libri, si faccia scivolare addosso il rapporto del ministro Manna al re sui 458mila censiti in meno, in un anno, per “la guerra”, nelle “provincie che abbiamo appena conquistato”; gli studi dei demografi Cesare Correnti e Pietro Maestri che nell’immediatezza dei fatti scoprono che appena arrivano le truppe sabaude, in quelle province, la popolazione smette di crescere più che nel resto d’Italia, come prima, e diminuisce di 120mila; o quelli del capo della Statistica, Luigi Bodio, che scopre la sparizione di 110mila giovani e renitenti alla leva…
E sulle proteste di oggi e il successo elettorale dei cinquestelle al Sud, rispolvera il “vittimismo” (che palle, prof! E fatela finita una buona volta, sforzatevi di tirar fuori qualche altra espressione per riproporre il dogma “Tutta colpa del Sud”!). Almeno leggete i rapporti della Svimez, o l’inchiesta della Swg di Trieste che segnalò, allarmata e inascoltata, il “clima preinsurrezionale” al Sud, per “la rabbia”, “il disgusto”. Altro che meravigliarsi per il mio “Il Sud si è rotto i coglioni”! Dato che non la capite, e non la volete capire con le parole costumate, ho provato a dirvelo con quelle scostumate. Sprecate pure quelle, se ancora pensate che il “cataclisma elettorale” del 4 marzo (dal vostro punto di vista, ovvio, ché per altri, è un clamoroso successo. Non per me se la Lega è tornata al governo) sia dovuto a quello che io e altri scriviamo. Tre anni fa il Sud votò lo stesso, in blocco, per un solo partito, il Pd: esattamente negli stessi ex confini delle Due Sicilie, ma allora non fecero schifo. Fece schifo il Pd renziamo con il Sud, che quindi ha votato per altri in blocco, il M5S, e questa volta al prof è venuto il conato.
Quella rabbia, quel disgusto e quel clima preinsurrezionale derivano pure dalla stanchezza di essere raccontati per frasi fatte, al servizio di una vulgata risorgimentale che non sta in piedi manco più con le stampelle, ma va difesa a tutti i costi, anche a rischio di fare figuracce. Anche a costo di non vedere, e non voler vedere, treni ad alta velocità solo al Nord, autostrade, magari vuote e inutili, solo al Nord, opere faraoniche e dannose, buone solo a produrre tangenti (due euro di mazzette, ogni euro speso in lavori), come per il Mose, solo al Nord. Stufo di essere raccontato poco e solo per il male, dal Tg1, dalla Padania della sera e Repubblica. Immagino lei non abbia letto nemmeno “La parte cattiva dell’Italia”, ricerca di due sociologi veneti, Cremonesini e Cristante, su 30 anni di tv di Stato (e dei due maggiori quotidiani), da cui emerge che al Sud viene dedicato solo il 9 per cento dell’informazione, limitata a mafia, cronaca nera, malasanità, e quant’altro di negativo di ieri e di oggi, salvo rare eccezioni. Ci aggiungeremo un’altra pagina, prof, la sua. Sai che novità! (Pino Daniele l’aveva già risolta a divin modo suo: “E si vene ‘o mammone, si vene ‘o mammone chiudimmo ‘a porta”. Sì lo so, non si fa, è come replicare ad argomenti con: “pesce d’Aprile”; ma Flajano diceva che è meglio perdere un amico che una battuta. E noi manco siamo amici).
Pino Aprile
fonte
p.s. l’articolo scritto da Mammone su “La Lettura” inserto del Corriere della Sera mi è stato segnalato dal Prof. Fernando Di Mieri, il più importante esponente della cultura Sanfedista, e Pino Aprile dalla redazione contattato ci ha permesso di pubblicare il suddetto articolo.