Genitori e figli emigrati
Sono figlio di ex emigranti e credo che pochi come me abbiano vissuto interiormente i tormenti della lontananza dai propri genitori nella propria adolescenza.
Come dicevo i miei genitori sono emigrati in Germania che io ancora non ero nato. Per primo andò via dalla nostra natia cittadina mio padre, poi a ruota lo seguì mia madre.
Da come li racconta mio padre gli inizi della nuova vita in Germania non sono stati dei più felici.
Il primo problema che gli si presentò fu quello di cercare una casetta dove poter vivere in maniera dignitosa nei periodi cosiddetti morti. Fu un calvario, ma la soluzione tutt’altro che dignitosa fu trovata in una baracca in legno. Gli inverni rigidi della Baviera chi ha vissuto in Germania sicuramente li rammenta, per giunta con riscaldamenti di fortuna e senza acqua calda. Però mio padre non si era mai lamentato di questo trattamento di riguardo, anche perché la Sicilia degli anni cinquanta specie nei piccoli paesi non offriva situazioni migliori rispetto a quanto loro offerto in Germania.
Nel bene e nel male con piena nostalgia per la lontananza da casa e dalla famiglia ma con la fortuna di avere qualche amico e dei fratelli con se, trascorsero circa 2 anni. Furono due anni pieni di insidie e di dolori. La lingua non conosciuta, il contatto con un mondo completamente nuovo che aveva le proprie radici e la propria cultura, ma restava il fatto e la consapevolezza che se si voleva sopravvivere e non ritornare nella propria città natia bisognava a tutti i costi adeguarsi alla nuova situazione, anche perché il ritorno significava soltanto ritornare a vivere negli stenti della misera vita di provincia siciliana
degli anni ’50. Come dicevo trascorsero due anni, dopodiché finalmente mio padre riuscì a trovare una casa per consentire a mia madre di seguirlo nei suoi passi.
Anche per lei la situazione non si presentò molto felice, ma aveva il vantaggio non indifferente dell’appoggio di mio padre. Ma la nostalgia in certe occasioni si faceva struggente, anche perché ragioni di opportunità e di convenienza aveva fatto optare i miei genitori per lasciare i miei fratelli più grandi giù in Sicilia.
Dopo alcuni anni nacqui io; questo era un problema in più che bisognava affrontare. La decisione migliore fu quella di rimpatriare mia madre con me piccolo al paese. Di nuovo il calvario della solitudine si ripresentava per mio padre.
Non durò a lungo, anche perché mia madre finito il periodo di allattamento dopo un anno, decise di ritornare su. Io crescevo da solo in quella casetta, lontano dai miei fratelli. Le giornate erano interminabili per me. L’ansia che si riproponeva giorno dopo giorno si concentrava alla sera quando aspettavo mia madre che ritornasse dal lavoro.
Non so se posso considerarlo un periodo bello o brutto, ma so solo che la mia infanzia per motivi di lavoro e di scuola l’ho trascorsa senza mai conoscere a fondo i miei fratelli.
La cosa più triste è che questa situazione l’ho rivissuta all’inverso quando io divenni grandicello e in età scolare.
Nel frattempo i miei fratelli avevano concluso la scuola per cui mi ritrovai in Sicilia a vivere con mia nonna, ma lontano dai miei fratelli e dai miei genitori. Finalmente venne il grande giorno del rientro dei miei genitori e dei miei fratelli. Ero già grande, ma la cosa strana era che anche per me da lì a poco si sarebbe ripresentato lo stesso problema che già aveva vissuto mio padre. Il
calvario della mancanza di lavoro, che sotto certi aspetti per un siciliano si presenta come un macigno, mi costrinsero ad emigrare. Questa volta la scelta non cadde per una terra straniera bensì per il nord Italia; questo però non
significa che i problemi da affrontare erano differenti da quelli che ha dovuto affrontare quaranta anni fa mio padre.
La speranza è che questa catena con questi risvolti di storie non comuni per il popolo siciliano finalmente si spezzi.
Gaetano Tizza