GLI OPIFICI DELLA VALLE DEL LIRI IN ALTA TERRA DI LAVORO
La valle del Liri rappresenta un esempio virtuoso della nascente industria borbonica, dove a partire dal 1835 sorsero numerosi opifici (soprattutto cartiere e lanerie) che sfruttavano l’acqua del fiume Liri come forza motrice. In questa terra l’uomo è riuscito a inserirsi in maniera armonica con la natura e le industrie borboniche non penalizzavano il territorio bensì glia davano lustro sviluppandone le potenzialità.
La struttura del fiume, oltre alla sua portata e a quella dei suoi affluenti, era particolarmente adatta a generare forza idraulica, inoltre le acque chiare del Fibreno (affluente del Liri) potevano essere impiegate per la fermentazione degli stracci che all’epoca venivano usati al posto del legno per la produzione della carta. Il processo partiva dalla scelta degli stracci (di cui si preferivano quelli bianchi) e il loro taglio per ridurli a fibre di uguale lunghezza. Seguiva la macerazione per ridurre gli stracci in una pasta di cellulosa spesso quasi pura. Per questo veniva utilizzato un macchinario detto “macchina olandese” costituito da una macchina a lame rotanti, combinate ad altre lame presenti sul fondo che sminuzzava le fibre degli stracci riducendole in una poltiglia omogenea.
Grazie all’utilizzo di una “forma” (con base retinata) e di un “cascio” (contenitore che determina le dimensioni e lo spessore foglio) si dava alla poltiglia la forma voluta. Il foglio così ottenuto veniva poi trasferito su una superficie curva e pressato da entrambi i lati prima attraverso feltri di lana poi assieme ad altri fogli; questo serviva ad eliminare gran parte dell’acqua che lo avrebbe reso deperibile e vulnerabile agli insetti e alle muffe. A questo punto la carta vieniva asciugata attraverso l’esposizione al sole o all’aria, dopodiché il foglio era pronto per l’immagazzinamento e la maturazione che gli avrebbe permesso ( in caso di fogli di alta qualità) di durare anche per secoli.
La carta prodotta nella valle era tra le prime all’interno e all’esterno del regno borbonico per qualità, quantità e diversificazione dei prodotti e le cartiere vennero amministrate diligentemente prima da Murat e poi dai Borbone. Lo sviluppo industriale venne sostenuto attraverso la concessione di prestiti, sgravi fiscali e anche grazie al sostegno di investitori stranieri. Questo era possibile anche grazie al protezionismo del Regno delle Due Sicilie che difendeva la produzione locale dalla concorrenza straniera. Purtroppo questo clima favorevole venne a mancare dopo l’unità d’Italia con l’introduzione del libero scambio e il mancato ammodernamento degli impianti che causò la crisi e la conseguente chiusura degli opifici. Ora le cartiere sono entrate a far parte del patrimonio architettonico locale.
testo e foto fonte https://illuxi.altervista.org/?p=73