Alta Terra di Lavoro

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I Cappuccini e la Rivolta di Masaniello

Posted by on Apr 29, 2025

I Cappuccini e la Rivolta di Masaniello

Eccoci ad un punto importante della Storia Napoletana e della nostra monastica Provincia al contempo. D’essa abbiamo tale un racconto che sopravanza quanti n’esistono e si sono pubblicati sinora, e il quale speriamo di pubblicare un giorno. Qui però non riportiamo che le notizie le quali ci riguardano, facendoci quella giustizia che la storia ci consente, ma che la parzialità degli storici ci ha negato sin ora.

La rivolta di Masaniello cominciò in Napoli la mattina del 7 luglio 1647, ed ebbe principio tra i venditori Puzzolani di frutta, ed i compratori Napoletani delle stesse, per sorto diverbio intorno a chi dovesse pagare la gabella per dette frutta, che fu risolto dall’eletto del popolo a danno dei compratori, onde l’andar rovesciata una sporta di frutta per un calcio lanciatole da un compratore, tra il chiasso dei fanciulli, ed il menar di mani tra quei di Napoli e di Pozzuoli. Il subitaneo moto divenne in seguito rivolta coll’accorrere di Tommaso Aniello Amalfi di Napoli, pescivendolo, già marito ad una della famiglia Donnarumma, figlio d’un venditor di pesci, giovane a venticinque anni, pieno di genio e di spirito, soldato della Milizia Urbana sotto il comando del Principe di Bisignano, D. Tiberio Carafa, Maestro di Campo. Costui, debole ma spiritoso, usufruttuando di quel moto, si pose alla testa del popolo, e giunse in breve a dominarlo, seguendone poi quello che seguì. Però siam di parere che tutto quanto avvenne, non sarebbe avvenuto, se un tal Giulio Genoino, sacerdote, già esiliato in Sardegna dal Duca d’Ossuna, non avesse soffiato nella rivolta, persuadendo Masaniello ed il popolo a dimandare il Privilegio di Carlo V alla Città di Napoli che comincia colle lettere d’oro, e quello dei Re Aragonesi, che concedeva grazie ed esenzioni al nostro popolo.

La rivolta dunque cominciava il 7 luglio, e passò quel giorno come il seguente nell’ordinarsi alla lotta, all’incendio, ed al sangue. Carmelitani, Teatini, Gesuiti scesero in piazza pacieri; tutto fu inutile: quest’ultimi furono ancora rimproverati e minacciati. Il sangue cominciò il giorno 10; però noi non descriveremo la rivolta, ma la parte che vi ebbero i nostri.

Tra i primi ad essere ucciso fu D. Peppe Carafa, fratello del Duca di Maddaloni, il 10 luglio. Costui fu trovato con altri nel Convento di S. Maria la Nuova, congiurare contro il popolo; ma udendo il popolo cercar di lui, per una porta segreta fuggì, correndo a nascondersi in una casa di donna di mal affare.

Qui fu scoperto  da un macellaio gli fu troncato il capo, indi il corpo fu trascinato per la strada. Buon arnese costui non era, conciossiachè varii anni innanzi, una tal morte gli era stata annunziata dal P. Andrea da Morra Cappuccino, residente nel Convento d’Arienzo, feudo d’esso D. Peppo.

  Nel giorno 11 l’E.mo Cardinal Arcivescovo di Napoli portossi nel Convento del Carmine Maggiore per trovar modo di sedare il popolo; e si trovò colà, quando i banditi raccolti dal Duca di Maddaloni vennero per uccidere Masaniello. Però l’Arcivescovo non venne solo; con lui eravi un altro che la storia ha taciuto, il celebre Padre Francesco M. Filomarino da Napoli, Cappuccino, tenuto dal popolo, come era difatti, per un santo. Questi due trattavano la causa dei Napoletani.

Nel giorno stesso un drappello di popolo armato fu al Convento di S. Eframo Nuovo per cercarvi i banditi, ed avendovi trovato uno schiavo di Segovia, a tutti i conti lo vollero ucciso, né i Cappuccini valsero a salvarlo con loro sommo dolore, tanto più che non era nemico del popolo.

Nello stesso giorno fu salvato dai nostri D. Tiberio Carafa, Duca di Maddaloni, il quale per essersi dichiarato contro il popolo, causa l’uccisione di suo fratello D. Peppo, da Masaniello fu sentenziato a morte, bandendo un taglione di 8,000 scudi in oro a chi il prendesse vivo, di e 4,000 a chi l’uccidesse. Il Duca fuggì in S. Eframo Nuovo, di dove travestito fu accompagnato dai Frati per vie nascoste sino a Piedimonte d’Alife, dal qual luogo passò sano e salvo nel suo feudo di Cerreto. Masaniello, saputo questo fatto, si portò al nostro Convento per incendiarlo a tutti i costi; senonché fattosigli innanzi il P. Angelico da Napoli Acquaviva, dei Marchesi di Tripuzzi, disse: Noi siamo Sacerdoti: quello che abbiamo fatto col Duca di Maddaloni, l’avremmo fatto con voi, se il signor Vicerè v’avesse perseguitato a morte. Ed a queste parole Masaniello si rabboni e risparmiò il Convento.

La sera poi di quel giorno, osservando il Cardinal Filomarino che le cose prendevano una cattiva piega, mandò tre Cappuccini, benveduti dal popolo, a Masaniello, cioè il Padre Francesco suo fratello, un altro P. Francesco, primogenito dei Principi d’Orte-Pignatelli, Barone di Iuffillo, e il P. Antonio Maddalena da Brindisi, fratello del Comandante di Castel Nuovo, ad assicurare il popolo, che la città non sarebbe stata invasa dai Regi, e che il Vicerè non desiderava altro che il bene del popolo. E così finì quella giornata.

Dileguatosi il pericolo d’un attacco, stato Masaniello ricevuto dal Vicerè, Duca d’Arcos, con molta cortesia, il giorno 14 luglio, il Vicerè invitò il medesimo di andare con lui all’Arcivescovado per leggere i capitoli della conchiusa concordia tra il Governo ed il popolo siccome avvenne: indi con una nobile cavalcata il condusse a suo fianco a Posilipo per dargli un banchetto. Ivi gli fu propinato il veleno per dementarlo.

Ed il giorno 15 luglio Masaniello era matto; e da quel suo uscir pazzo, preso animo i Regi, mandarono otto facinorosi ad ucciderlo, come l’uccisero difatto con quattro archibugiate nella chiesa del Carmine. Indi mozzatogli il capo, e trascinarono il cadavere, all’uno ed all’altro diedero inonorata sepoltura.

Però il popolo nel giorno 17 all’ucciso Cappolo prestò onori reali. Il Vicerè fece cantare un Te Deum all’Arcivescovado per l’avvenuta uccisione; e pensò subito dappoi a vendicarsi dei Napoletani con grande astuzia, cioè non contrastandolo sino alla venuta di nuove truppe, ed istigandolo, onde si portasse da ribelle: essendocchè sino a quel punto, se Napoli voleva essere spravata dalle imposte, non per questo s’era ribellata al Re. Uniti al Vicerè contro il popolo erano i Nobili: solamente il Cardinale e gli Ecclesiastici, mentre erano in favore del popolo oppresso, volevano la pace ed instavano presso il Vicerè affinchè non la turbasse.

Fra questo mentre si giunse al 20 settembre, e mentre il popolo armato in numero di 40,000, pensava a non farsi tranellare e tradire dal Vicerè, questi pensava appunto a tranellare il popolo per massacrarlo.

Nel quale giorno F. Bonaventura dalla Torre, laico in pria dei MM. Osservanti, e poi per protezione del Cardinale Boncompagni, laico Cappuccino, ed uomo di Dio, questuando col suo compagno per la strada di S. Lucia, disse ai popolani colà accolti: Sta attento, popolo mio, perchè sei tradito. Fra breve comparirà l’armata del Re di Spagna, e voi sarete tagliati a pezzi dalla rabbia del Vicerè. State con Dio, confessatevi e provvedete alle cose dell’anima vostra.

Il Vicerè, che avea fra il popolo fedelissime spie, fatto arrestare il Frate, e condottolo al Castelnuovo, ve lo fece strozzare.

Intanto il 1.° ottobre apparve l’armata a fronte di Napoli, numerosa di quarantasette vascelli e dodici galere, con molta truppa da sbarco, comandata da D. Giovanni d’Austria d’anni diciannove: così il Vicerè fu alla vigilia di sfogare la sua rabbia contro del popolo.

Il Cardinal Filomarino allora mandò a dissuadere il Vicerè da tanta strage il P. Chiroga, Cappuccino Spagnuolo, notissimo per la sua dottrina, dappoi vi si portò lui personalmente. Tutto fu inutile; ed il giorno 5 ottobre, di sabato, cominciò l’attacco dei Regi contro Napoli per mare e per terra, preso pretesto dal non aver voluto i Napoletani lasciar le armi; ed in verità non vollero, ma per propria difesa e non per offesa altrui, sapendo quanto traditori fossero il Vicerè ed i suoi.

Il 19 ottobre il nostro P. Francesco Filomarino col P. Antonio Maddalena da Brindisi, fratello del Castellano di Castelnuovo, furono a supplicare il Vicerè in favore del popolo e per la pace, affermando che peroravano ancora per l’interesse della stessa Vice-reggenza.Ma il Vicerè, sempre duro, promise come al solito, ma per ingannare: egli voleva il sangue, e sangue si ebbe. La lotta fu accanita, ed il popolo questa volta non si fece imporre.

Scoperto perciò che il Principe di Massa Toraldo, elettosi a capo, se l’intendeva col Vicerè, lo pose a morte; e vieppiù inasprito, dal gridar la abolizione delle gabelle, passò a gridar evviva alla Repubblica, abbattendo le statue e le insegne di Filippo IV.

Conosciutasi dappoi la necessità della protezione francese, il popolo si rivolse alla Francia, onde venne in Napoli Enrico di Lorena, Duca di Guisa, come protettore della Repubblica Napoletana; dal quale poi, soverchiamente impostosi, disgustati i Napoletani ben presto se ne alienarono.

In prosieguo, mercé la saggezza di Giovanni d’Austria che prometteva con un editto perdono ed indulto, nonchè l’abolizione delle gabelle, introdotte dopo il regno di Carlo V, editto seguito dall’allontanamento del Vicerè, Duca di Arcos, anche perchè buon consigliere è il tempo, l’intera città di Napoli, il 3 aprile 1648, ritornò all’obbedienza del governo spagnuolo ed aure di pace si respirarono.

Il Duca d’Ognatte, succeduto al Duca d’Arcos, poteva però risparmiare quel sangue che di su i patiboli versò sino al termine dell’anno succitato. E così terminò la popolare rivoluzione da Masaniello cominciata, durante la quale tanto operarono i nostri.

Articolo tratto dal libro

“ IL PROTO CONVENTO ED I CONVENTI CAPPUCCINI DELLA CITTA’ DI NAPOLI”

Memorie storiche raccolte ed annotate
Dal P.Bonaventura da Sorrento Cappuccino
Analista della Provincia e socio di varie Accademie
Stampato da A & Salvatore Festa anno 1889

ricerca a cura di Antonio Forgione

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