Il racconto di Concetto Gallo V
Quando Concetto Gallo, il capo militare dell’EVIS catturato a Monte San Mauro, anni dopo si decise a parlare, riferì che quando si trasferì a Caltagirone trovò la zona “infestata”, soprattutto dalla banda dei Niscemesi, sebbene qualche altro fuorilegge locale ci bazzicasse pure.
Allora cominciò a prendere contatto con le varie compagini criminose, siglando dei patti di non belligeranza ai quali molti aderirono.
Raccontò anche di un caso di conflitto a fuoco tra Separatisti e banditi e qualcuno di questi ci lasciò le penne. In effetti il 22 giugno del 1945 sul monte Soro, la cima più alta dei Nebrodi, l’evista Francesco Ilardi con altri commilitoni ebbe uno scontro a fuoco con la banda di Giovanni Consoli che, abusando del nome dell’EVIS, compiva estorsioni. “E le forze dell’ordine si fecero belle…” concluse ironicamente.
Qualche malvivente addirittura si presentò come volontario nel campo e a quel punto Gallo doveva scegliere, non potendo lottare tra due fronti: banditi e carabinieri.
Parlando poi della banda Canaluni disse che una volta fece legare nudo a un albero proprio Rosario Avila perché si era comportato male.
Ovviamente non sappiamo quanto di vero ci sia nelle sue parole. Così come non possiamo essere certi che affermi il vero quando dichiara che “il bandito Rizzo, dipinto come un uomo feroce, era in effetti servizievole e devotissimo”.
In un’intervista concessa dopo tantissimi anni parlerà anche degli introiti derivanti dalla vendita del suo olio, aggiungendo che dopo la battaglia ne scomparvero ben 25 quintali. A chi poi donava generi di prima necessità veniva rilasciata una ricevuta con il timbro dell’Evis e la firma del Gallo con lo pseudonimo “M.Turri”.
Le ricevute erano numerate e datate e in ognuna veniva specificato se le donazioni erano “volontarie” oppure “forzate”. Ovviamente furono incalzanti le domande sulla commistione separatisti-banditi.
La risposta del Gallo fu molto evasiva: parlò di sei “malfattori” che erano stati accolti nel campo, ma che al momento della battaglia la metà era andata via, mentre chi rimase prese attivamente parte al conflitto. Ammise che durante la notte i banditi uscivano dal campo per commettere reati, ma per quanto a sua conoscenza non si accompagnavano agli evisti nelle scorrerie.
Quanto ai momenti del suo arresto, ricorda di essere stato stordito da una bomba e di essersi ritrovato bloccato da alcuni carabinieri. Infine conferma il numero esatto dei suoi “soldati”: 53 più 3 banditi.
Addosso a Gallo fu rinvenuto un cifrario, diverse lettere a firma “Vento”, una tessera falsa intestata a certo Franco Buscemi e una patente falsa.
In una di queste lettere, datata 2 dicembre 1945, uno sconosciuto, del quale Gallo si rifiuterà di fare il nome, lo avvertiva che cinquecento uomini erano stati inviati contro di lui (a dimostrazione che l’Evis aveva un servizio di intelligence). A conferma che il Gallo dipendeva da un “comando supremo” la lettera così concludeva: in caso di successo prima di proseguire avverti e attendi ordini.
Ci sono voluti quasi trent’anni perché Gallo rivelasse l’autore di quella missiva: in un’intervista rilasciata nel 1974 dirà che il capo del comando militare da cui dipendeva e perciò l’autore di quella missiva che gli preannunciava l’attacco e che si fermava “Vento” era Guglielmo Carcaci, separatista e nobile, appartenente a quell’ala politica che per convenzione viene chiamata “di destra”.
In parallelo erano in corso trattative tra il MIS e il governo italiano: a Roma col ministro Romita e a Palermo col generale Berardi, comandante militale dell’Isola.
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I Separatisti erano consapevoli che la situazione poteva precipitare in un bagno di sangue e così prospettarono all’alto ufficiale l’idea di mettere sul piatto dell’accordo una vasta amnistia, specie in favore dei giovani che avevano aderito all’EVIS (o GRIS che dir si voglia), lasciando fuori dal provvedimento di clemenza i banditi e lasciando soprattutto le forze di repressione libere di agire verso costoro.
Queste trattative semiclandestine diedero l’impressione che il generale fosse persona debole, al punto da ritenere che lo scontro di monte San Mauro non avrebbe ottenuto l’esito sperato perché gli ordini impartiti sarebbero stati quelli di tenere un comportamento blando, senza forzare la mano.
Il Carcaci peraltro aveva raggiunto con quest’ultimo un accordo: non ci sarebbe stato alcun intervento militare nel campo di San Mauro sino a quando erano in corso le trattative. Ma così non fu.
E quando l’assalto avvenne, Carcaci si precipitò a muso duro dal generale, il quale si scusò dicendo che l’ordine era stato dato da Aldisio, approfittando della sua assenza dall’Isola.
Questo è quel che racconta in un’intervista, nella quale ripercorre quel che accadde quel giorno e il racconto appare intriso di autoreferenzialità per la narrazione di momenti eroici probabilmente mai avvenuti.
Gallo parla di un proiettile che lo colpì al petto, ma venne deviato da una medaglietta, di un colpo di mitra che si limitò a sbucare il giaccone e di un colpo di fucile che gli fece volare il berretto, lasciandolo indenne.
A questo punto, vista la fine imminente, decise di suicidarsi, estraendo dalla tasca una bomba a mano e lanciandosela ai piedi.
Ma la bomba non esplose. Continua il suo racconto romanzato: svenni e un militare era sul punto di spararmi una raffica di mitra, quando intervenne il maresciallo Manzella, che rivolto al milite disse “se tiri contro quell’uomo ti ammazzo”.
Fu quindi ammanettato e condotto in cella, dove rimase da solo per due giorni, senza cibo né acqua. Assieme a lui vennero catturati due indipendentisti: Amedeo Boni e Giuseppe La Mela.
Raccontò anche un episodio inedito: uno dei generali che comandavano le truppe si complimentò con suo padre (anch’egli separatista ed eletto sindaco di Catania negli anni Cinquanta) dicendogli ho avuto l’onore di stringere la mano a suo figlio.
Si tratta di verità o di invenzione messa in giro per creare un mito? Non si saprà mai: di certo i suoi lo veneravano, al punto di soprannominarlo u liuni di santu Mauru.
Tra i protagonisti della battaglia il niscemese Totò Salerno.
Nell’intervista rilasciata da Gallo viene ricostruito come, quando e perché avviene l’incontro con i “banditi” e con Giuliano in particolare. Per come anticipato, tutto accade dopo la morte del primo capo dell’Evis, Antonio Canepa.
Questo il racconto di Gallo, che parla in prima persona: Il 17 giugno, mentre sto per lasciare Catania, ricevo una telefonata da Guglielmo duca di Carcaci, comandante della Lega giovanile e comandante generale dell’EVIS.
Mi dice: « Hanno ammazzato Canepa. Non ti muovere. Ti verrò a prendere io ». Partimmo insieme verso Cesarò e ci rifugiammo nella ducea di Wilson, presso Bronte. Trascorsi alcuni giorni, arriva un’automobile. Alla guida c’è un ammiraglio della marina degli Stati Uniti.
Accanto una bella signora. Dietro, Guglielmo di Carcaci con in testa un cappello da commodoro (una sorta di ammiraglio -n.d.a.). Entro in fretta e furia nell’automobile, m’infilo una giacca da ammiraglio degli Stati Uniti, metto in testa il berretto da commodoro e l’automobile s’avvia.
La città è circondata da polizia e carabinieri. Un vero presidio con posti di blocco ovunque. Ovunque uomini e barriere che si alzano solo dopo che la polizia ha controllato i documenti di chi vuole lasciare la città. Noi arriviamo al posto di blocco di Ognina. L’ammiraglio si fa riconoscere e la pattuglia dei carabinieri ci fa un perfetto saluto aprendo la barriera.
Qui Gallo e gli altri vengono ospitati dal comando militare degli USA e qui parla con uomini dei Servizi Segreti a stelle e strisce. Ne nasce una riflessione ad alta voce: gli Americani vedono di buon occhio il movimento separatista! Il racconto continua poi con l’incontro tra lo stesso Gallo e il capo della banda, il “mitico” Salvatore Giuliano.
Tutto nasce da una riunione a Palermo, nel corso della quale gli indipendentisti si dividono in due fazioni: chi intende rinunciare alla lotta armata e chi invece vuole mantenerla sino ad ottenere l’indipendenza.
Alla fine non viene presa alcuna decisione. A quel punto il Gallo chiede ad un altro esponente di rilievo del Movimento, il conte Tasca, di incontrare Giuliano al fine di trovare una sistemazione dei giovani dell’EVIS nella sua zona, nel caso di necessità.
La risposta è ironica: sì, ora fai il numero di telefono e ti risponde Giuliano. Il giorno dopo Gallo – assieme ad altre tre persone – si mette a girare alla ricerca del bandito imprendibile.
Ci riesce: incontra Giuliano e si meraviglia di vederlo solo, visto che i giornali lo descrivono come accompagnato sempre da guardie del corpo. I due si conoscevano reciprocamente solo di fama: si salutano e ben presto nasce un rapporto di rispetto, che diventa subito simpatia.
Ma i due hanno un passato e anche un presente diversi e questa differenza la si coglie anche nel linguaggio relazionale: Gallo dà del tu a Giuliano e questi contraccambia col classico Vossia. Ora io dormo un’ora e vossia fa la guardia. Poi, quando io mi sveglio, si appisola vossia. E gli consegna il mitra. Ha così inizio il matrimonio tra la banda e l’Evis.
I due stanno assieme due giorni e si lasciano con queste parole pronunciate da Concetto Gallo: Io ti prometto che se tu in questa lotta ti comporterai bene, dimenticando tutto il resto e guardando all’ideale dell’indipendenza, soltanto a quello, ti prometto che se vinceremo noi avremo una giusta considerazione per te e tu sarai giudicato per quelle che sono le tue vere colpe.
Gallo – a distanza di quasi trent’anni – vuole marcare ancora le distanze. Si dilunga molto su questo punto.
E racconta di avere voluto tenere ben distinti gli scopi delle due compagini: vedi, tu sei qua sopra le montagne per i tuoi motivi; noi siamo sulle montagne per altri motivi.
Noi potevamo stare benissimo nelle nostre case. Invece abbiamo deciso di batterci per un ideale di libertà e di indipendenza. Libertà e indipendenza che se la Sicilia avesse avuto prima, avrebbero inciso sul suo sviluppo economico e, certamente, tu, oggi, non saresti qui, in questa situazione.
L’arrivederci del Gallo sarà in realtà un addio e dopo un abbraccio Turiddu lo rassicura. A modo suo: Cu tocca a vossia mori.
GLI ANNI DELLA RABBIA 1943-46… BANDITISMO E SEPARATISMO TRA NISCEMI E CALTAGIRONE.
segue….