La Carboneria e le società segrete nel Risorgimento italiano
Introduzione
L’avvio del processo risorgimentale in Italia è caratterizzato da una particolare tipologia di formazione politica: le società segrete. La principale tra esse è la Carboneria, un’associazione (o meglio, una forma organizzativa usata da una galassia variegata di posizioni politiche) che nasce nel Regno di Napoli intorno al 1807 per poi diffondersi quasi ovunque nella penisola nel decennio successivo. L’azione politica della società, iniziata nel cosidetto “decennio francese”, giunge al punto di massima intensità durante i moti costituzionali del 1820-1821. Estesasi anche ad altri paesi europei, la società ha un ruolo centrale anche nei moti del 1830-1831 tanto francesi che italiani; negli anni seguenti, tuttavia, conoscerà un rapido declino militare e organizzativo.
Il contesto storico
Le origini dell’associazione sono tradizionalmente collegate al panorama creatosi dopo la fine del Congresso di Vienna; in realtà – tuttavia – esse sono più complesse e risalgono alla stagione precedente, ovvero al periodo rivoluzionario e napoleonico. Il XVIII secolo aveva visto diffondersi all’interno della società europea la Massoneria, un’associazione nata nel 1717 in Inghilterra, l’appartenenza alla quale prevedeva, da parte dei membri, una certa “discrezione” (anche se non proprio una vera segretezza) su quanto avveniva all’interno delle “logge”. Vista la sua larghissima diffusione, dovuta anche alla moda ed all’interesse per l’ignoto, la Massoneria diventa presto la copertura per una serie di attività molto diverse fra loro: dalla ricerca esoterica ed alchemica (portata avanti da figure originali come il principe napoletano Raimondo di Sangro o da veri e propri ciarlatani come il sedicente conte di Cagliostro) alla speculazione filosofica e politica. In alcune logge, infatti, alcuni pensatori elaborano progetti di riforma dello Stato e il modello massonico ispira anche la nascita degli Illuminati, un ordine segreto fondato nell’Università bavarese di Ingolstadt dal teologo Adam Weishaupt, il cui programma estremo arriva a ipotizzare la repubblica universale e l’abolizione della proprietà privata.
È necessario precisare, tuttavia, che nessuna delle varianti massoniche del Settecento è una “società segreta politica” poiché, per radicali che potessero essere i loro programmi, esse si proponevano solamente di favorirli diffondendo la cultura e la consapevolezza tra gli uomini (secondo uno stilema tipico dell’Illuminismo) e non organizzare un cambiamento politico concreto, men che mai con mezzi violenti. Per di più, l’atteggiamento dei diversi governi europei nei confronti dell’associazione non è affatto omogeneo e se, come è ovvio, il Vaticano è il primo a condannare i “liberi muratori” della Massoneria, altre dinastie legittime (in primis la casa d’Asburgo), non disdegnano di utilizzare le logge per portare le parti colte della borghesia e dell’aristocrazia ad appoggiare i loro progetti di riforma dello Stato. Il clima di collaborazione è bruscamente interrotto dalla Rivoluzione francese: gli eventi del 1789 parigino costituiscono un vero e proprio ciclone per le corti del continente e i monarchi impauriti interrompono ogni contatto con i philosophes, ritenuti con qualche esagerazione i diretti responsabili della presa della Bastiglia. In tutti i paesi del continente, l’ultimo decennio del secolo vede la proibizione delle logge ed il ritorno a politiche più oscurantiste e repressive rispetto all’epoca delle riforme e del giurisdizionalismo 1. Le guerre delle coalizioni europee contro la Rivoluzione fanno emergere il genio tattico di Napoleone Bonaparte e l’espansione della Francia sul continente avviene non – come le corti europee avevano temuto – tramite il contagio ideale ma piuttosto attraverso le conquiste di un esercito che, per vari anni, appare quasi invincibile agli occhi dei contemporanei.
È nel nuovo panorama disegnato dal confronto fra le potenze dell’Ancien régime e la Francia Napoleonica che l’associazionismo politico clandestino fiorisce in molti dei paesi occupati dalle armate francesi o in lotta contro di esse.Uno dei messaggi del 1789 più celermente recepiti in Europa è il principio di sovranità della Nazione che, accompagnato dal senso romantico per la tradizione e lo “spirito del popolo” (Volksgeist), si ritorce paradossalmente contro le armate napoleoniche, non più viste come liberatrici ma come conquistatrici di una Francia che, divenuta consolare e poi imperiale, ha perso molto del suo fascino anche presso coloro che avevano simpatizzato per la Rivoluzione. Nel primo decennio del XIX secolo, dunque, sorgono le Tugenbund (ovvero le “Leghe della Virtù”) legate alla corona di Prussia e, in Italia, la Carboneria.
Gli antecedenti: Illuminismo e rivoluzione nel Regno di Napoli (1768-1807)
Le origini della società segreta sono geograficamente collocabili nel Regno di Napoli e la sua creazione è indissolubilmente legata alla storia e alle condizioni politiche dello Stato meridionale.
Napoli, infatti, pur nelle modeste dimensioni del regno e nella sua sostanziale arretratezza, aveva vissuto appieno la stagione del dispotismo illuminato e, tanto nella capitale che nelle province, si era sviluppato un dibattito culturale vivacissimo, animato da una minoranza esigua ma decisamente colta di una borghesia che, nel complesso, fa invece fatica ad emergere come classe a causa di un’economia decisamente poco sviluppata.
Dopo il regno di Carlo di Borbone (1734 – 1759) e la reggenza del ministro Bernardo Tanucci, il matrimonio del successore Ferdinando IV con Maria Carolina d’Asburgo (1768) sposta la collocazione internazionale del regno facendolo transitare dalla sfera d’influenza spagnola a quella austriaca. In politica interna, la figlia di Maria Teresa d’Austria (e dunque sorella di Maria Antonietta) avvia un processo di modernizzazione delle strutture del paese e, per instaurare un dialogo tra la nobiltà e la borghesia colta, protegge ed incoraggia la nascente massoneria, pur formalmente proibita dalle leggi del regno.
Anche a Napoli, tuttavia, la regina austriaca cambia radicalmente atteggiamento a partire dal 1789. Non solo ragioni politiche, ma anche l’apprensione per la sorte della sorella a Parigi, trasformano una degli esponenti più celebrate del riformismo asburgico in una vera campionessa della controrivoluzione. La massoneria perde ogni protezione, le logge vengono sciolte d’autorità e tutto il mondo della cultura (che aveva guardato con speranza alla sovrana al suo arrivo) è visto con sospetto. Quando, grazie a una fitta rete di spie e delatori, si scopre il primo circolo di repubblicani che seguono e ammirano clandestinamente la Rivoluzione francese, decine di sospetti vengono esiliati e tre di essi vengono condannati a morte 2.
È l’anno 1799 quello che segna l’apice della violenza politica a Napoli: dopo un infruttuoso tentativo dell’esercito borbonico di invadere la Repubblica Romana, il contrattacco delle truppe transalpine porta in breve tempo alla disfatta e Ferdinando IV e sua moglie fuggono in Sicilia mentre le truppe repubblicane del generale Championnet avanzano verso la capitale. L’armata francese (sostanzialmente disobbedendo alle direttive politiche provenienti dal Direttorio, che infatti rifiuterà categoricamente di riconoscere il nuovo Stato) impianta a Napoli un governo repubblicano affidato ai patrioti locali, molti dei quali, come il giurista Mario Pagano o il medico Domenico Cirillo, erano noti nei circoli illuministi europei per la loro produzione scientifica. La giovane Repubblica Napoletana, tuttavia, non ha il tempo di sviluppare delle istituzioni autonome e una legislazione organica: il governo provvisorio è stretto da un lato dalle onerosissime pretese finanziarie del “liberatore” francese e dall’altro dall’attacco militare de “l’armata della Santa Fede”, un esercito contadino guidato dal cardinale Fabrizio Ruffo che, risalendo dalla Calabria, riconquista il Regno alla casa di Borbone in nome della religione e dei valori tradizionali. La partenza del contingente francese, chiamato a fronteggiare l’avanzata degli austro-russi nella pianura padana, segna il tracollo definitivo della Repubblica Napoletana: i “sanfedisti” entrano a Napoli il 13 giugno 1799, meno di sei mesi dopo la proclamazione del governo rivoluzionario. Una volta riconquistato il Regno, inoltre, Ferdinando IV e Maria Carolina si abbandonano a una repressione particolarmente spietata e moltissimi di coloro che avevano animato la vita repubblicana salgono al patibolo. Altri, come Vincenzo Cuoco, riescono a salvarsi soltanto tramite la fuga e, durante i successivi anni di esilio, non smettono di diffondere la loro dolorosa esperienza e di riflettere sulle cause profonde del fallimento dell’esperimento repubblicano, soffocato da quello stesso popolo in nome del quale era stata fatta la Rivoluzione 3.
Sebbene la Carboneria non fosse, naturalmente, ancora nata è fondamentale ripercorrere le fasi principali della stagione rivoluzionaria per comprendere appieno le ragioni della sua creazione: lungi dal nascere “improvvisamente” alla fine del primo decennio del XIX secolo, infatti, la società segreta è il prodotto di una serie di problemi e contraddizioni che i patrioti italiani si trovano a fronteggiare a partire dal triennio repubblicano (1796-1799). Lo stesso atteggiamento della Francia, dapprima vista come “Repubblica madre” e quasi come una patria ideale, poi dimostratasi cinica e spesso indifferente ai bisogni dei rivoluzionari della penisola, rimodella l’ideale portato avanti da questi rivoluzionari. L’esperienza del 1799 aveva dimostrato in modo lampante che per avere successo la Rivoluzione doveva assumere un carattere nazionale, perché non poteva esservi speranza di successo senza l’appoggio delle masse popolari delle città e delle campagne, fino ad allora restate indifferenti quando non apertamente ostili agli appelli dei rivoluzionari.
Dopo la battaglia di Austerlitz, nel dicembre 1805, Napoleone si trova in una posizione di forza rispetto a tutti i suoi avversari e, dai campi della Boemia, decide di punire la monarchia napoletana che, pur formalmente in pace con Parigi, non aveva cessato di tessere trame internazionali e fomentare l’ostilità contro l’imperatore. Un’armata francese comandata dal generale Masséna invade rapidamente il regno e, per la seconda volta in sei anni, la corte di Ferdinando IV è costretta a rifugiarsi precipitosamente a Palermo. A differenza del 1799, tuttavia, il Regno non è sostituito da una repubblica fragile, senza basi popolari e dipendente dalla permanenza dell’esercito francese. Napoleone infatti pone sul trono napoletano suo fratello Giuseppe, dimostrando inequivocabilmente la propria volontà di fare del meridione italiano un’entità stabilmente integrata nel sistema dell’Impero francese. Questa nuova situazione di stabilità, inoltre, permette a numerosi esuli della stagione rivoluzionaria di rientrare in patria e di collaborare attivamente con l’amministrazione dello Stato. Il nuovo sovrano, per di più, si dimostra propenso ad avviare una decisa modernizzazione delle strutture statali, coinvolgendo tanto gli ex repubblicani appena rientrati dall’esilio quanto una parte consistente del notabilato tradizionale che, vista la stabilità del regime dei “napoleonidi”, teme a ragione il rischio di essere tagliata fuori da ogni decisione nel caso in cui si rifiutasse di collaborare.
Come Maria Carolina alla fine del Settecento, anche Giuseppe Bonaparte sceglie la massoneria come luogo d’incontro privilegiato per le due componenti della nuova élite e, dopo quindici anni di illegalità assoluta, le logge (benché controllate e animate da funzionari statali) vengono riammesse nel Regno di Napoli.
L’oggettivo miglioramento delle condizioni politiche per i patrioti, tuttavia, non significa che chi aveva partecipato agli avvenimenti del triennio si adatti completamente al nuovo stato di cose. non solo molti di costoro consideravano ancora l’instaurazione di una repubblica lo scopo finale della propria attività politica ma, pur adattandosi temporaneamente a collaborare con una monarchia “innovatrice”, ritengono necessario correggerne immediatamente alcuni difetti strutturali. Sul piano interno l’assenza di una costituzione (perché il regime dei napoleonidi è a tutti gli effetti un “assolutismo amministratore”), su quello della politica internazionale il rapporto di subordinazione rispetto all’impero francese, poiché Napoleone considera i “regni federati” solo come uno strumento per il suo progetto principale e non tiene in alcun conto i loro interessi nazionali.
Una tale situazione di ambiguità porta molti patrioti a prendere la via di una “militanza a doppio livello”: il primo, pubblico, prevede la collaborazione con la monarchia per quanto riguarda gli obiettivi condivisi (cioè la modernizzazione della struttura statale), il secondo (naturalmente clandestino) consiste nell’attuare pressioni per la correzione dei due punti più problematici, ovvero l’assenza di una costituzione ed una reale indipendenza del regno dall’impero francese.
È evidente tuttavia che la massoneria non può costituire una cornice organizzativa efficace per il secondo livello poiché, come si è visto, essa è in questi anni una sorta di propaggine iniziatica dell’amministrazione statale, tanto da costituire il paradosso di una “società segreta ufficiale”.
Proprio la necessità di costituire un nuovo spazio iniziatico, distinto dalle logge massoniche ma fondamentalmente con le stesse caratteristiche, porta alla fondazione della Carboneria. Questa viene probabilmente creata tra la fine del 1807 ed il 1808; subito prima o durante il “lungo interregno” tra la partenza di Giuseppe per la Spagna (dove era stato “spostato” per ordine del fratello) e l’arrivo, quattro mesi dopo, del nuovo re Gioacchino Murat, cognato dell’imperatore.
Dal punto di vista della simbologia, la Carboneria riprende le forme e le parole d’ordine dei bons cousins charbonniers, un’antica associazione di mestiere nata nei boschi della Franca Contea tra i boscaioli ed i carbonai. È probabile che ad introdurre i rituali nel Regno di Napoli e ad adattarli alle finalità politiche della nuova associazione sia stato Pierre-Joseph Briot, un neo-giacobino proveniente dai monti del Giura, da sempre politicamente vicino ai patrioti italiani ed in quegli anni impiegato come intendente negli Abruzzi e nelle Calabrie.
Tra le figure di spicco della Carboneria napoletana si ricorda anzitutto Vincenzo Cuoco che, proprio in quel periodo sedeva nel Consiglio di Stato. Vincenzo Cuoco è quindi un alto dirigente che tuttavia condivide solo in parte il progetto del sovrano con cui collabora e mantiene una parte del proprio programma politico clandestino e riservato alle “vendite” carbonare.
Il regno di Murat e la nascita della Carboneria (1808-1815)
Pur con una gerarchia ed una struttura speculari a quelle massoniche (le “vendite” corrispondono alle logge e la struttura di base è imperniata sui gradi di “apprendista”, “compagno” e “maestro”), la simbologia carbonara ha delle specificità rivelatorie sul programma politico e sulla nuova sensibilità di chi ha deciso di adottarle. Mentre i codici della massoneria sono pieni di riferimenti alla tradizione talmudica, all’antico Egitto e a ogni sorta di culto esotico e ricercato, la Carboneria riprende senza modificarle le tradizioni medievali degli charbonnier della Franca Contea. I suoi catechismi sono fondati sulla figura della passione e del processo di Cristo ed i suoi simboli ispirati al lavoro e alla fauna dei boschi.
Come ogni società iniziatica, inoltre, essa attua una rivelazione progressiva dei propri obiettivi ultimi all’adepto: il neofita appena divenuto apprendista sente parlare unicamente di generiche finalità di mutuo soccorso, generosità e solidarietà, mentre solo i gradi avanzati conoscono il programma politico completo di ogni singola vendita 4.
Due scelte di questo genere mostrano chiaramente che i rivoluzionari napoletani che nel 1807 danno vita alla Carboneria hanno appreso e meditato la lezione ricevuta nel 1799: una delle loro prime preoccupazioni è non isolarsi rispetto alle plebi del regno, completamente analfabete e fortemente legate alla tradizione religiosa. Concetti come “costituzione” e “democrazia”, che nel decennio precedente avevano spaventato e irritato le popolazioni rurali, restano sottotraccia nei catechismi carbonari (come il “Patto d’Ausonia”, redatto probabilmente nel 1810) e vengono descritti ma quasi mai enunciati. Si proclama l’odio contro “il tiranno”, senza specificare chiaramente se si tratti di Murat, del Borbone, o di entrambi.
Se vaghi sono i riferimenti ideali, ancor più difficile è ricostruire l’azione politica concreta dei carbonari durante la prima fase di vita della società segreta: nata nella speranza di manipolare Murat in senso costituzionale, la Carboneria si trova invece (attraverso i suoi uomini inseriti a corte e nel Consiglio di Stato) all’interno di una sorda lotta di potere tra il “partito nazionale”, guidato dal ministro di polizia Antonio Maghella ed il “partito francese”, che riunisce i funzionari transalpini arrivati a Napoli con la corte e, organizzatosi intorno alla regina Carolina, sostiene l’assoluta fedeltà napoletana al diktat napoleonico.
Dal 1808 fino alla fine dell’avventura murattiana, la Carboneria meridionale è sostanzialmente costretta ad adattare il proprio programma politico alle vicissitudini del Regno e, tenendo fermi i punti principali dell’adozione di una costituzione e dell’indipendenza dall’influenza straniera, le “vendite” finiscono per accogliere una pluralità tale di orientamenti politici che, più che di un’unica società segreta, è più pertinente parlare di una forma organizzativa di cui si servono contemporaneamente varie fazioni. Non tutti i carbonari, infatti, provano a collaborare con lo Stato murattiano: alcuni ritengono che un governo autonomo e costituzionale sia più facilmente ottenibile affidandosi ai nemici della Francia che, dal canto loro, non lesinano promesse per poter utilizzare anche elementi del patriottismo italiano contro Napoleone.
All’interno della società nascono dunque tre fazioni che, pur mirando a uno stesso fine, adottano approcci tattici assolutamente diversi:
- la Carboneria murattiana: continua ad avere come orizzonte lo Stato dei “napoleonidi” ed offre al sovrano l’aiuto dei patrioti italiani in cambio delle riforme desiderate;
- la Carboneria inglese: considera prioritaria l’uscita del regno dall’orbita napoleonica e si affida alla Gran Bretagna ed alle promesse del suo rappresentante in Sicilia, Lord William Bentinck, sotto il cui auspicio sognano di instaurare un regime simile a quello di Londra in cambio dell’aiuto nel duello internazionale per la supremazia nel Mediterraneo;
- la Carboneria borbonica: nonostante le passate repressioni e la pervicacia nel mantenere intatto lo Stato assolutista, questa branca della carboneria auspica un ritorno di Ferdinando IV, consideranto “autenticamente nazionale”, e l’estensione della costituzione concessa da questi (per la verità su impulso inglese) in Sicilia.
Due tentativi insurrezionali sono organizzati in Abruzzo e Calabria ma la disorganizzazione della società segreta e lo scarso seguito di cui gode ne determinano il fallimento e la repressione nel sangue 5. In realtà, nessuna di queste correnti è in grado di acquisire una diffusione e un potere tale da rendersi appetibile a una delle tre potenze, col risultato di non riuscire ad influire in modo significativo sul destino del Regno. Benché il rapporto tra i carbonari e Murat sia più conflittuale che collaborativo, tuttavia, il tracollo del re francese e il ritorno dei Borbone segnano anche la prima grande sconfitta delle “vendite”. Non solo il nuovo Regno delle Due Sicilie è governato da un monarca assoluto, che prende il nome di Ferdinando I, ma, nel panorama creatosi dopo il Congresso di Vienna, il paese è di fatto uno Stato vassallo di Austria e Gran Bretagna.
La Restaurazione ed i moti costituzionali (1815-1821)
Le campagne militari portate avanti da Murat nell’Italia centro-settentrionale, per altro, avevano diffuso la Carboneria anche in altre zone della penisola italiana. A partire dal 1814-1815, infatti, la società è attestata nelle Marche, nel Polesine, in Lombardia e Piemonte.
Nonostante le promesse fatte ai patrioti da tutte le potenze durante le ultime fasi delle guerre napoleoniche, il nuovo ordine progettato dal cancelliere austriaco Klemens Von Metternich esclude radicalmente qualsiasi concessione ai liberali ed agli indipendentisti. In accordo con il principio di legittimità i sovrani assoluti di tutta la penisola sono tornati sui loro troni, decisi a reprimere qualsiasi tentativo di insurrezione o di semplice innovazione; in più, in ossequio al principio di equilibrio l’impero d’Austria 6 ha notevolmente ingrandito i propri possedimenti nell’Italia settentrionale ed ora controlla direttamente o indirettamente quasi tutta la penisola.
Benché (come succede a Napoli, in Piemonte e nel Lombardo-Veneto) le modalità della restaurazione abbiano deluso tanto le élites liberali quanto i ceti popolari, la Carboneria non riesce ad espandere le proprie fila ed è oggetto di sorveglianza continua da parte delle diverse polizie. Per cercare di dotarsi di una minima struttura militare, è spesso costretta a scendere a patti con vere e proprie bande di briganti, come quella pugliese dei Vardarelli, utilizzate come forza militare della società segreta. Nel Sud e nello Stato pontificio, inoltre, nascono delle vere e proprie società segrete reazionarie (i Calderari ed i Concistoriali) con lo scopo di combattere la Carboneria uccidendone i membri o consegnandoli alle autorità. Per queste ragioni, nel primo lustro che segue la restaurazione, la Carboneria è quasi completamente incapace di organizzare azioni rivoluzionarie e, quando un’ondata di moti investe la penisola nel 1820, l’impulso non viene dalle società nazionali ma da un avvenimento esterno: la rivoluzione spagnola ed il ripristino della Costituzione di Cadice.
Il primo Stato della penisola ad essere contagiato dalla rivolta costituzionale è, ancora una volta, il Regno delle Due Sicilie. Per ragioni dinastiche, Ferdinando I è anche, formalmente, erede al trono di Spagna ed in quella veste è chiamato a giurare fedeltà alla carta riportata in vigore da suo nipote Ferdinando VII. La firma da parte del re di Napoli mette in effervescenza il mondo liberale meridionale ed in particolare la Carboneria che, tuttavia, nel regno è divisa in due fazioni contrapposte. La prima formata da elementi radicali ed egualitari ed attiva soprattutto nella provincia di Salerno; la seconda, che raccoglie alti ufficiali che in precedenza avevano combattuto con Murat e ricchi borghesi, riunita intorno al generale Guglielmo Pepe. Una terza corrente, minoritaria e facente capo al nobile giacobino Orazio de Attellis, ha posizioni politicamente e socialmente ancora più radicali, in quanto vuole la proclamazione della repubblica ed una riforma agraria che divida i latifondi tra i contadini poveri.
Benché sostanzialmente organizzata e iniziata dall’ala radicale, la sollevazione di Nola del 2 luglio 1820 riesce a costringere Ferdinando I a concedere la costituzione spagnola ma viene ben presto egemonizzata dall’ala moderata. Pepe diventa ben presto la figura principale del governo costituzionale e il notabilato che lo sostiene comincia a dimostrare insofferenza verso la società segreta. Nel neonato Parlamento, infatti, i deputati espressione della società segreta non sono che una ridotta minoranza rispetto a quelli eletti tramite i tradizionali canali di clientela. Non sono però i dissidi interni il maggior pericolo per il nuovo Stato costituzionale: Ferdinando I ha concesso la costituzione, ma solo perché costretto e non ha evidentemente intenzione di favorire il regime costituzionale. Sul piano internazionale, inoltre, l’Austria e le potenze che avevano sconfitto Napoleone sono più che mai decise a non permettere una nuova ondata rivoluzionaria.
Un congresso della Santa Alleanza è convocato a Lubiana e Ferdinando I viene meno alla propria parola e invoca l’intervento armato delle potenze per riportare l’ordine a Napoli. Un corpo di spedizione austriaco guidato dal generale Frimont attraversa la penisola e, nella battaglia delle Gole di Antrodoco (7 marzo 1821), travolge le difese preparate in tutta fretta dal governo costituzionale. Ferdinando I torna così per la terza volta nella propria capitale da sovrano assoluto e, mentre un’ennesima ondata di fughe ed esili spinge i liberali napoletani nelle diverse capitali europee, due ufficiali responsabili della sollevazione di Nola del luglio 1820, Michele Morelli e Giuseppe Silvati, sono rocambolescamente catturati, sommariamente giudicati e giustiziati il 12 settembre 1822.
I moti in Piemonte, il processo Pellico-Maroncelli, i moti in Cilento (1821-1828)
Il secondo episodio rivoluzionario nella penisola italiana riguarda il Regno di Sardegna dove, all’inizio del 1821, alcune manifestazioni studentesche di segno antiasburgico ricevono la solidarietà ufficiosa del principe Carlo Alberto di Savoia Carignano. A seguito del moto meridionale, anche i carbonari ed i liberali piemontesi decidono di muoversi, contando sul fatto che le truppe austriache in Italia, impegnate sul fronte napoletano, non avrebbero potuto marciare direttamente su Torino e si sarebbero successivamente trovate tra due fuochi.
Santorre di Santarosa, un militare affiliato alla Carboneria, prende ripetutamente contatti con lo stesso Carlo Alberto e con diversi generali dell’armata sarda e, nonostante l’atteggiamento ambiguo ed altalenante del principe, un pronunciamento militare è fissato per il 10 marzo 1821.
Il re Vittorio Emanuele I, piuttosto che concedere la costituzione del 1812 come richiesto dai militari, preferisce abdicare in favore del fratello Carlo Felice. Poiché questi, campione dell’assolutismo ed esplicitamente contrario a qualsiasi carta, si trova però in visita a Modena, ad assumere la reggenza è Carlo Alberto, che accondiscende alle richieste degli insorti 7. Santarosa viene nominato ministro della guerra nel governo provvisorio.
Anche in Piemonte il movimento rivoluzionario è diviso e, se Santarosa è assimilabile, per posizioni politiche, agli esponenti più moderatidel liberalismo meridionale, elementi come Michele Gastone e Carlo Bianco di Saint Jorioz, propugnano misure più radicali, addirittura ispirate a quelle che Filippo Buonarroti stava propagandando con la società segreta dei Filadelfi.
Appena una settimana dopo lo scoppio del moto, tuttavia, il rientro precipitoso di Carlo Felice a Torino cambia radicalmente lo scenario politico e, di fatto, pone fine alla sollevazione: il sovrano revoca la costituzione, sconfessa l’operato del nipote e lo relega a Novara.
Santarosa tenta ugualmente di proseguire la Rivoluzione e, dalla sua posizione di ministro della guerra, apre le ostilità con l’impero d’Austria. Il tentativo è tuttatvia infruttuoso: un piccolo contingente di truppe asburgiche entrate in territorio piemontese, sconfigge e disperde le poche truppe che avevano accettato di seguire Santarosa. Prevedendo, a ragione, che Carlo Felice avrebbe dato inizio alla repressione e di essere tra le vittime designate, Santarosa decide di salvarsi con la fuga e ripara in Francia.
Pur in assenza di un vero e proprio moto, la repressione della Carboneria colpisce anche il Lombardo-Veneto ed in particolare, la “vendita” milanese. Questa unione, animata dal musicista forlivese Pietro Maroncelli, dal letterato di origini piemontesi Silvio Pellico e dal conte lombardo Federico Confalonieri, coincide in maniera quasi completa con la redazione della rivista scientifico-letteraria Il Conciliatore 8. Scoperti grazie all’intercettazione da parte della polizia politica di alcune lettere di Maroncelli, i carbonari milanesi vengono arrestati uno dopo l’altro e condannati a morte. La pena viene poi commutata in reclusione nella fortezza morava dello Spielberg 9.
Dal punto di vista politico, dunque, i moti del 1820-1821 si chiudono con un completo fallimento, tanto in Italia che in Europa: i costituzionalisti spagnoli vengono sconfitti definitivamente nella battaglia del Trocadero ed il moto decabrista russo del 1825, che può essere considerato una propaggine tardiva di quel movimento, viene rapidamente sconfitto e represso nel sangue 10. La stessa triste sorte tocca al tentativo portato avanti nel Cilento nel 1828 da una società che, pur prendendo il nome di Filadelfi come quelle buonarrotiane, ha tutte le caratteristiche di una filiazione carbonica. La repressione borbonica è, anche in questo caso, pesantissima: i dieci capi della rivolta vengono giustiziati ed il villaggio di Bosco è completamente raso al suolo.
Dal punto di vista politico, al contrario, le diverse esperienze insurrezionali dimostrano come in Europa siano vive e attive forzeche, per quanto mal organizzate, discordi e inefficaci, sono decise a non considerare definitivo l’ordine stabilito dal Congresso di Vienna e, soprattutto, non si rassegnano all’assolutismo delle corti italiane.
Gli ultimi moti ed il declino (1830-1832)
L’ultima stagione politica che vede la Carboneria protagonista dei movimenti europei è quella delle insurrezioni del 1830-1831. Esattamente un decennio dopo l’ondata di sommosse iniziate in Spagna, l’Europa è di nuovo sconvolta da una serie di moti di carattere costituzionale e nazionale: la rivoluzione parigina del 1830 non solo abbatte il trono assolutista dei Borbone e impone Luigi Filippo d’Orleans come re costituzionale ma innesca una miccia che ben presto fa sollevare il Belgio e la Polonia.
In Italia gli Stati interessati da tentativi rivoluzionari sono lo Stato Pontificio ed il Ducato di Modena. Nella città emiliana, la vendita carbonara capeggiata dal patriota Ciro Menotti, che ha preso contatti con il duca Francesco IV. Questi, benché personalmente contrario a ogni riforma costituzionale, aveva ambiguamente deciso di servirsi dell’azione dei cospiratori per ingrandire il proprio Stato ed ergersi a monarca di una porzione ben più consistente dell’Italia settentrionale.
La sollevazione avrebbe dovuto coinvolgere anche le Legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna, appartenenti allo Stato pontificio ma che si sarebbero unite al nuovo Stato. Francesco IV, tuttavia, si rende ben presto conto che il governo austriaco (con la cui casa imperiale, oltretutto, è strettamente imparentato) non avrebbe mai permesso una simile modifica territoriale, per di più ai danni del potere temporale dei pontefici. Con un tradimento esplicito, quindi, fa arrestare Menotti ed alcuni dei suoi complici il 3 febbraio 1831. Il moto scoppia comunque, due giorni dopo, nei territori papalini, si estende alle Marche e culmina con la proclamazione delle Province Unite Italiane con capitale Bologna. Dopo alcune effimere vittorie, tuttavia, i carbonari emiliani e marchigiani, che avevano sperato invano nell’aiuto della nuova monarchia costituzionale francese come era successo in Belgio, vengono sconfitti dalle truppe austriache e, dopo la caduta di Ancona, le Province Unite cessano di esistere. Francesco IV di Modena, per mostrarsi agli occhi dell’Austria come strenuo difensore dell’assolutismo e soprattutto per eliminare l’unico pericoloso testimone dei suoi ambigui progetti di espansione, fa processare sommariamente e giustiziare Ciro Menotti il 26 maggio 1831.
Il fallimento del tentativo nell’Italia centro-settentrionale del 1831 comporta, di fatto, la decadenza della Carboneria in Italia. La società, pur avendo rappresentato un pericolo reale per l’equilibrio sancito a Vienna, si è rivelata uno strumento inefficace per portare concretamente avanti una rivoluzione nazionale. Come rileverà Giuseppe Mazzini (in gioventù pure affiliato alla Carboneria ma poi fondatore della Giovine Italia, una società dal carattere e dall’organizzazione profondamente diversi), la debolezza della Carboneria è consistita principalmente nella vaghezza dei suoi propositi, poiché spesso, a parte pochi punti comuni molto generali, le diverse “vendite” avevano obiettivi politici anche molto diversi tra loro. Questo ha impedito la creazione di un forte movimento popolare anche perché, proprio a causa del meccanismo della rivelazione progressiva, le masse contadine sono rimaste estranee ai i reali scopi politici e alle conseguenti azioni che i capi si prefiggevano e progettavano. Anche se la sua forma organizzativa viene progressivamente abbandonata a metà del Risorgimento, tuttavia, la Carboneria è protagonista della prima parte del processo di unificazione nazionale e la sua evoluzione nelle differenti zone della penisola è sintomatica della trasformazione del movimento rivoluzionario italiano dalle aspirazioni politico-sociali eredi dirette della Rivoluzione francese a quelle, più marcatamente territoriali e nazionali, che caratterizzano la seconda parte del periodo.
1 Questa politica porta da un lato alla criminalizzazione di comportamenti che non costituiscono alcun pericolo per lo Stato (come la lettura e il commento di documenti e gazzette provenienti dalla Francia) sulla base del principio che la semplice conoscenza degli avvenimenti possa costituire un vettore di contagio rivoluzionario, dall’altro porta le frange più estreme dell’Illuminismo, deluse dall’interruzione di ogni collaborazione ed anche dai risultati limitati del dispotismo illuminato, a dar vita ai primi “club” clandestini e passare dalla speculazione alla pratica rivoluzionaria
2 Si tratta di Emmanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitagliani, impiccati il 18 ottobre 1794.
3 A Vincenzo Cuoco si deve, in particolare, il Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, scritto in prima stesura nel 1801 e in versione definitiva nel 1806. L’opera, oltre a far conoscere le vicende della Repubblica Napoletana, introduce il concetto di “rivoluzione passiva”, una rivoluzione cioè portata avanti su impulso straniero ed estranea agli interessi profondi del popolo.
4 Questa caratteristica viene ereditata dagli Illuminati di Baviera.
5 In particolare la condanna ed esecuzione di Giuseppe Federici, detto Capobianco, capo dei carbonari calabresi, determina un odio irreconciliabile di una parte della Carboneria per il sovrano francese.
6 A spese della millenaria Repubblica di Venezia: fatta scomparire col trattato di Campoformio nel 1797 e, a dispetto del principio di legittimità, non ricreata col Congresso di Vienna.
7 L’entusiasmo per l’evento sarebbe alla base della composizione di Marzo 1821 da parte di Alessandro Manzoni.
9 Da questa reclusione quasi decennale Silvio Pellico trarrà la celebre opera autobiografica Le mie prigioni, pubblicata nel 1832.
10 L’unica eccezione in questo panorama è l’insurrezione greca contro il governo ottomano. Le particolari condizioni politiche e religiose, oltreché l’appoggio concreto alla causa greca di molti governi europei, rendono questa insurrezione fondamentalmente diversa.
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