LA MADONNA DI ATELLA
Il 14 agosto 1851, a Melfi, sotto un azzurro e sereno cielo estivo, senza un alito di vento e una temperatura soffocante, alle due e mezzo pomeridiane s’intese d’improvviso un gran boato e ci fu una scossa di terremoto così violenta, pari solo a quella del 27 marzo 1638 e del 5 febbraio 1783 nelle Calabrie di cui ne è ancora oggi testimone la Certosa di San Bruno,[1] i cui resti con i suoi pinnacoli ruotati, ricordano il triste evento.
Al ripetuto sbattere delle finestre e al suono stridente e penetrante dei cardini delle porte spalancate, che si aprivano e si chiudevano ripetutamente, crollavano rovinosamente al suolo gli edifici. Tutto era andato in rovina:
—l’antichissimo castello di Federico II,
—il Duomo di Melfi, costruito da Roberto il Guiscardo, già distrutto e interamente ricostruito dopo il terremoto del 1694;
— il maestoso campanile edificato nel 1151;
—le quattro Chiese parrocchiali della Città (S. Teodoro, di S. Niccola, di S. Lorenzo, e del Carmine); la Chiesa ed il convento degli Osservanti; la Confraternita laicale dei Morti; il monastero delle Chiariste sotto il titolo di S. Bartolomeo e l’Orfanotrofio.
Non rimase intatto un solo edificio pubblico o privato e quelli in parte crollati furono abbattuti, tanto erano rovinati. La Chiesa di S. Agostino, dietro alla quale erano le prigioni, cadde completamente. Nel crollo delle carceri morirono 18 detenuti, e quelli che non morirono si adoperarono prontamente per salvare gli altri. Quantunque in pessime condizioni e in parte crollati e rovinati in più punti, il castello di Melfi, l’Episcopio ed il campanile del Duomo erano ancora lì, diroccati, a testimoniare la loro antica grandezza.
In Atella[2], nella chiesa di Santa Lucia cadde una parete, e dopo secoli di oscurità venne alla luce un antico affresco del 1389 circa della Madonna delle Grazie, nell’atto che protegge dall’ira dell’Eterno Padre coloro che si sono rivolti a lei.
Il 17 settembre, il re Ferdinando II andò ad Atella e si recò subito ai ruderi della chiesa di Santa Lucia per venerare l’immagine della Madonna delle Grazie, rimasta in piedi tra i ruderi della chiesa. Ordinò al direttore del Museo Stanislao D’Aloe[3] di far venire da Napoli il regio disegnatore di Pompei Giuseppe Abbate per fare una riproduzione del dipinto. [4] Al ministro dei Lavori pubblici, che era presente, ordinò altresì la completa ricostruzione della chiesa. Tutti i muri erano distrutti, tranne quello della SS. Vergine Maria, che sovrastava l’altare maggiore. I padri Agostiniani, che avevano un ospizio adiacente alla Chiesa di Santa Lucia, dopo il terremoto del 1694 restaurarono completamente la chiesa non tenendo conto del disegno orginario. Infatti, dietro l’altare maggiore della chiesa vi era una nicchia piana con un affresco della Madonna delle Grazie che i monaci agostiniani chiusero con una parete sottile per porre esporre ai fedeli la statua di Santa Lucia. La parete era così sottile che i chiodi usati per sostenere gli ex voto donati alla santa avevano rovinato in più punti l’immagine sottostante della madonna. [5]
Il dipinto
Guardando l’affresco,[6] fra le persone rappresentate, che ricorrono alla protezione della Vergine, si riconoscono a sinistra la figura del Papa Urbano VI,[7] il Cardinale Francesco dei Tibaldeschi, che rimase fedele al Papa fino alla sua morte, il vescovo Tommaso di Rapolla alla cui Diocesi apparteneva Atella, il Vescovo di Melfi e di Lavello, due monaci dell’ordine verginiano,[8] il re Carlo III di Durazzo con i suoi familiari, colpito da un fulmine di Dio. Carlo Durazzo fu eletto re da Urbano VI con la nobile missione di combattere i nemici della Chiesa. Dopo aver preso possesso del regno, insuperbito combatté contro il Papa assediato nel castello di Nocera presso Salerno. L’uomo con la barba corta è, forse, il pittore che ha dipinto l’affresco. L’uomo colpito mortalmente è Niccolò Spinello, ministro della regina Giovanna I, che spinse i cardinali francesci a contestare l’elezione di Urbano VI e ad eleggere un altro papa (Clemente VI); fu egli la causa dello scisma. A destra, sul lato opposto, c’è la regina Margherita del Balzo, moglie di Carlo III Durazzo,[9] con le quattro dame di corte e sette damigelle. Dopo la morte di Carlo, avvenuta nel 1386, Margherita governò il regno in pieno accordo con il Papa. Sul cartello spiegato, tenuto dagli angeli, ci sono otto sigle A. M. M. G. L. N. C. A., che dicono: Ave Maria Madre delle Grazie Libera la Nostra Città di Atella.[10]
[1] Interamente riedificata dopo il 1638, la certosa fu completamente distrutta nel 1783.
[2] Ci fu un terremoto il 5 dic. 1456, il 5 giugno1688, 8 sett. e il 30 ottobre1694, il 4 gennaio 1695
[3] Stanislao D’Aloe, autore del libro La Madonna di Atella nello scisma d’talia, Napoli 1853,
[4] Il dipinto si riferisce allo scisma che travagliò la Chiesa Cattolica nel XIV secolo. Clemente V, Bertrand de Goth, arcivescovo di Bordeaux, divenuto Papa nel 1305, spostò la Santa Sede a Avignone. La causa dello scisma avvenne quando nel gennaio 1377 Papa Gregorio XI trasferì la sede apostolica da Avignone a Roma, dopo 77 anni di permanenza in Francia. L’8 aprile 1378 fu eletto Papa il napoletano Bartolomeo Prignano, Arcivescovo di Bari, che prese il nome di Urbano VI. I Cardinali francesi elessero un altro Papa, Clemente VII ad Avignone e ci fu lo scimasma della Chiesa Cattolica. Un primo tentativo di risanamento della Chiesa avvenne con il Concilio di Pisa del 1409, che non risolse il problema. Solo con il Concilio di Costanza (in Germania) del 1414 ci fu la riappacificazione della Chiesa con l’elezione del romano Oddone Colonna, che prese il nome di Martino V.
[5] «Era dipinta nella nicchia piana e centinata del muro del maggior altare di questa chiesa, un’antichissima effigie della gran Madre di Dio, che stava in atto di riparare col manto delle misericordie moltissime persone, su le quali l’Eterno Padre Scagliava i suoi celesti fulmini. E fa pena il dover narrare come i frati Agostiniani ebbero allora la stranissima idea di chiudere con un muro di poca spessezza tutto il vano di quella nicchia, facendo scomparire per sempre agli occhi supplicbevoli de’ devoti l’immagine santa di Maria riparatrice. Ciò fecero per aprire nel mezzo di quel muro medesimo (renduto interamente piano con aver chiuso la nicchia) una cona sporgente, con dentrovi la statua in legno di s. Lucia; e per ventura peggiore accadde che i chiodi, co’ quali si venivan sospendendo, sul sottil muro supplito, gli ex voto offerti alla Santa, trapassavano sino al dipinto prezioso, talchè in mille parti villanamente il bucherellarono.» Stanislao D’Aloe, La Madonna di Atella nello scisma d’talia, Napoli 1853, p. 4.
[6] Ivi, pp. 29-32
[7] Che istituì la festa della Madonna delle Grazie del 2 luglio. Urbano mori a 72 anni il 15 ottobre 1389.
[8] Congregazione degli eremiti di Montevergine. Uno d’essi è l’Abate di Montevergine a cui apparteneva la chiesa, che ordinò il dipinto.
[9] Ucciso nel castello di Buda il 13 giugno 1386, in Ungheria.
[10] «Ave Maria Mater Gratiarum Libera Nostram Civitatem Atellae».
segnalato da
Vincenzo Giannone