La pianificazione della conquista sabauda dell’Italia
Dopo la guerra di Crimea del 1853-6, Cavour era riuscito a portare sul tavolo internazionale del Congresso di Parigi del 1856 la sua (massonica) visione della “questione italiana” per cui, oltre all’effettiva occupazione militare sicula da parte degli inglesi, il Regno di Federico II acquisisce anche ufficialmente un nuovo nemico dichiarato, il Regno di Sardegna. Sempre in questo congresso i potenti d’Europa decisero tra l’altro che la Francia avrebbe dovuto aiutare il Piemonte per la “liberazione” dell’Italia (ovviamente con congruo compenso economico e territoriale), la strada era quindi già segnata.
L’apparente passaggio di consegne tra Inghilterra e Piemonte per la questione italiana, inaccettabile per gli inglesi, che parteciparono più che attivamente alla conquista del sud, va visto semplicemente solo come un’atto formale e di opportunità diplomatica. Prima di tutto nessun’altra potenza europea avrebbe visto di buon occhio la colonizzazione definitiva del sud Italia da parte dell’Inghilterra,e inoltre il Regno di Sardegna godeva dell’appoggio non solo della massonerie elitaria inglese, ma anche di quella reazionaria francese. La massoneria, al governo sia in Francia che in Piemonte, diventa quindi ancora una volta l’unico filo conduttore e piano trasversale agli interessi politici in grado di far collimare le ambizioni coloniali inglesi, con quelle espansionistiche sabaude o quelle anti-austriache francesi.
Bisogna inoltre ricordare che in Inghilterra gli interessi della casa reale e quelli della massoneria erano incredibilmente sovrapposti a tal punto da essere rappresentati da un’unica persona, Lord Palmerston, in qualità allo stesso tempo di Primo Ministro e di capo della massoneria. In ogni caso, dai carteggi dell’epoca, si capisce che l’Inghilterra inizialmente non credeva che il Regno di Sardegna fosse realmente in grado di conquistare il Regno delle Due Sicilie nemmeno con supporto esterno, quindi in un primo momento ha considerato l’opzione piemontese solo come strumentale ad un vero e proprio intervento inglese.
Sempre dal punto di vista massonico è bene ricordare che l’obiettivo principale, prioritario e pure dichiarato rimaneva principalmente la sola sconfitta della Chiesa di Roma (il motto dei garibaldini era infatti “Roma o morte”), la cui influenza andava assolutamente eradicata in tutta la penisola italiana, non solo al sud, per cui la possibilità di raggiungere questo agognato obiettivo ha facilmente prevaricato ogni logica di interesse nazionale franco-inglese. Da questo punto di vista il progetto sabaudo di partire dalla Sicilia forniva inoltre un’occasione di rivalsa contro le storiche repressioni di massoni sull’isola da parte dei cattolici-borboni.
Come visto a metà del 1800 l’opera diplomatica inglese, protestante e piemontese aveva già da tempo cercato di preparare il terreno per l’invasione della Sicilia, screditando con la consueta violenza verbale del gergo massonico-liberale il cattolico regno dei Borboni ed in particolare il suo sovrano Francesco II, per altro cugino di Vittorio Emanuele II. Il governo francese, pur condividendo questa posizione, preferì mantenere pubblicamente una linea più morbida per non inimicarsi l’opinione pubblica cattolica, ancora la maggioranza dei francesi nonostante la recente rivoluzione giacobina (o forse proprio per quella).
Come primo passo Cavour, sempre con il benestare di Napoleone III e Lord Palmerston, ottenne quindi l’imposizione di amnistie dei detenuti politici a re Ferdinando, pretesto per una crisi diplomatica. Seguirono contrattazioni segrete tra Cavour e alti diplomatici inglesi (Clarendon, Hudson e Elliot) per pianificare sin da quel momento l’attacco militare per annettere tutta l’Italia al Piemonte. L’aspetto peculiare di tale pianificazione è che tutta l’operazione militare non doveva passare come guerra o annessione (per altro verso un regno in rapporto di pace con tutte le potenze europee), ma doveva essere necessariamente cammuffato da un’insurrezione popolare. Dato che la popolazione non solo non partecipò in massa come supposto, ma anzi generalmente si oppose, la cosiddetta “unificazione” risulterà di fatto una guerra non dichiarata.
Il 1° agosto 1857, con l’avvallo di Cavour e dei governi di Londra e Parigi, venne fondata a Torino la Società Nazionale Italiana ad opera di Daniele Manin e di Giuseppe La Farina, organizzazione che doveva fornire il supporto al movimento unitario italiano. Il primo presidente Manin morì pochi mesi dopo, lo sostituì il suo braccio destro Giorgio Pallavicino Trivulzio e Garibaldi venne eletto come vicepresidente onorario.
In realtà l’uomo chiave della Società Nazionale era sempre il siciliano Giuseppe La Farina (1815-1863), storico massone e capo rivoluzionario per il moto scissionista massonico siciliano del 1848. Fu lui ad organizzare materialmente la spedizione militare garibaldina, a rifornirla di armi e munizioni (dagli arsenali Ansaldo), ma anche a fare da mediatore tra Garibaldi e il governo piemontese che mal lo sopportava. Il rapporto tra La Farina e Cavour era quotidiano e segreto, si svolgeva rigorosamente prima dell’alba nelle stanze private di Camillo Benso. Il ruolo cruciale di La Farina nell’impresa dei Mille è confermato dallo stesso Garibaldi per esempio con la seguente lettera del 1859: <circa all’organizzazione convenuta io la lascio interamente a voi. Medici e chiunque de’ miei hanno ordine di non fare nulla senza consultarvi. Lo stesso ho raccomandato a quei di dentro. Vogliatemi bene e comandatemi>.
I comitati sovversivi della Società Nazionale erano diffusi su tutta la penisola: Milano, Genova, Venezia, Firenze, Roma, Napoli e Palermo. Partì dunque una coordinata campagna di propaganda ancora più violenta contro il governo borbonico, i papi, gli austriaci e i rimanenti staterelli indipendenti italiani. La forza di fuoco mediatica in mano alla massoneria era totale e comprendeva tra gli altri pubblicazioni nazionali come Siècle, Presse, Messager, Times, Morning-Post, Unione e Independance Belge.
Il 23 aprile del 1859 il Piemonte riuscì a provocare la reazione militare austriaca schierando le proprie armate lungo il confine. L’esercito austriaco varcò il Ticino nell’intento di sconfiggere le armate piemontesi prima dell’arrivo di quelle francesi che in realtà erano già in Piemonte. L’intervento francese (che costò inizialmente al Piemonte 50 milioni di franchi, poi la cessione di Savoia e Nizza) infatti era già stato pianificato e in breve tempo riuscì da solo a confinare gli austriaci in Veneto.
Nello stesso periodo cominciarono nuove sommosse popolari simultaneamente in tutta la penisola e indipendentemente dall’azione garibaldina. Il 26 aprile in Toscana i rivoluzionari spodestarono Leopoldo II e il Piemonte inviò come regio commissario il massone Bettino Ricasoli (1809-1880) per prendere il controllo e depredare finanze utili per l’unificazione.
L’11 e il 12 giugno scoppiarono rivolte contemporanee in molte città dall’Emilia alle Marche, ma spesso trovarono l’opposizione spontanea della popolazione locale, oltre che delle guardie pontificie, e molti insorti dovettero scappare in Toscana. Ma a luglio i piemontesi a comando di Massimo d’Azeglio (1798-1866) occuparono Bologna, Ravenna, Forlì e Ferrara e instaurarono il loro commissariato che anche in questo caso si appropriò di fondi locali pari a 13 milioni di lire. La reazione e la richiesta di aiuti di papa Pio IX a tutti gli stati europei non portò questa volta a nessun effetto. Ma Napoleone III dovette scendere a compromessi per la forte spinta popolare francese e fu costretto a sostenere una proposta di facciata di una confederazione italiana con a capo il pontefice.
Il 16 giugno il complice gen. Carlo Filangieri (1784-1867), presidente del consiglio e ministro della guerra del Regno delle Due Sicilie, concesse una amnistia generalizzata ai cospiratori del Regno di Napoli con ovvie conseguenze. Il 7 luglio a Napoli venne repressa una rivolta di mercenari svizzeri lautamente pagati dai piemontesi, come ricostruito dalle indagini. Con quel pretesto Filangieri sciolse l’intero corpo di armata svizzera in servizio a Napoli, assecondando Cavour che stava facendo pressioni alla Svizzera affinchè ritirasse le proprie armate. Pochi mesi dopo Filangieri chiese le dimissioni lasciando re Francesco II senza ministro della guerra e armate mercenarie proprio alle soglie dell’invasione della Sicilia.
Nell’agosto 1959 infiltrati piemontesi sollevarono sommosse a Modena e a Parma riuscendo infine a mettere in fuga i regnanti Francesco IV e Maria Luisa Borbone. Il copione era il medesimo: dopo violenze e furti arrivarono i regi commissari piemontesi, Diodato Pallieri (1813-1892) a Parma e Luigi Carlo Farini (1812-1866) a Modena, del furto complessivo di 10 milioni di lire delle casse dei due stati furono incolpati i sovrani in fuga. Ad emblema della falsità della propaganda liberal-democratica degli invasori massonico-sabaudi si può considerare il fatto che il 9 novembre Farini assunse la carica di “dittatore delle provincie provvisorie”, il 1° gennaio divenne governatore delle Regie Provincie dell’Emilia e per finire a metà del 1860 venne designato prima “dittatore delle provincie meridionali”, poi luogotenente di Napoli.
Nel settembre del 1859 si cercò di giustificare l’annessione piemontese nelle regioni del nord italia come se fosse l’espressione della volontà popolare: i plebisciti farsa vennero pilotati da una lega con a capo Farini, Garibaldi e Fanti. Le truppe francesi, ufficialmente presenti per difendere gli interessi del papa, ovviamente non intervennero. Napoleone III avanzò al papa la proposta assurda di prendere in cambio gli Abruzzi che però non erano sotto il suo dominio ma facevano parte del Regno borbonico.
Il 27 novembre 1859 il capo della polizia siciliana, Salvatore Maniscalco, era stato assassinato dal mafioso Vito Farina, poi catturato con ancora 600 ducati d’oro. Il 5 gennaio 1860 la raccolta fondi di cui erano stati incaricati i massoni Giuseppe Finzi e Enrico Besana raccolse due milioni di lire che servirono per comprare dei fucili, poi nascosti nella caserma S.Teresa di Milano. Gli inglesi avevano trovato larghe intese anche con la borghesia locale facendo leva sulla loro ambizione di espandersi verso Napoli.
Intanto nel marzo 1860 la Francia regolò i conti in sospeso con il Piemonte annettendo la Savoia e Nizza, ancora una volta attraverso plebisciti “controllati” questa volta dalle milizie francesi (nei bandi non si parlava di “annessione” ma di “riunione”).
Degli ultimi preparativi per l’invasione siciliana si incaricarono tra gli altri anche i famosi massoni Gerolamo “Nino” Bixio, Francesco Crispi e Ippolito Nievo, quest’ultimo nella funzione di tesoriere delle cospicue donazioni delle fratellanze massoniche inglesi e nord americane che ammontavano a circa 3 milioni di franchi. Rosolino Pilo, Giovanni Corrao e lo stesso Francesco Crispi giunsero a Messina il 10 aprile per controllare le reazioni locali in vista dell’invasione e soprattutto per coordinare l’intervento delle varie fazioni mafiose con cui era stato accordato il supporto alle camicie rosse. Il 13 aprile vi furono gli ultimi moti preparatori nelle campagne del palermitano.
Anche la camorra di Napoli verrà coinvolta dai piemontesi: gli verrà affidata la gestione dell’ordine pubblico nella capitale del Regno Borbonico. Come già accennato un altro mito da sfatare è che l’unificazione nazionale sia stata supportata dall’azione popolare, ma lo tratteremo meglio in seguito.
L’unica vera colpa imputabile a Ferdinando II in questo contesto si rivelò la sua politica di forte indipendenza, poiché dal punto di vista militare si ritrovò isolato e privo di alleati.