L’Italia del 1860 vista da Antonio Gramsci: “Una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale”
- Quello che succede oggi con l’Autonomia differenziata e con la solita sceneggiata del Ponte sullo Stretto di Messina patrocinato dai leghisti ha radici nella disgraziata nascita dell’Italia
Il Risorgimento italiano raccontato da un grande intellettuale
A differenza di quanto avvenne nelle rivolte sanfediste e delle insorgenze, in cui il popolo fu protagonista attivo di quelle lotte e di quelle rivolte, nel Risorgimento, al contrario, registriamo la quasi totale assenza di un consenso popolare e di partecipazione alla sua realizzazione. Insomma, che il popolo non fu mai un soggetto protagonista, ma in alcuni casi avverso alle lotte e agli ideali del Risorgimento, ne è esempio emblematico ciò che accadde a Carlo Pisacane, ucciso e massacrato a Sanza insieme ai suoi compagni dopo la sbarco a Sapri nel luglio del 1857 da quegli stessi popolani e contadini che voleva liberare ed affrancare dalla “tirannide” borbonica. E mal gliene incolse. In questo vuoto di coscienza nazionale e nella estraneità del popolo al moto unitario fu così possibile ai moderati cavourriani dirigere il processo di unificazione, e modellarlo ai propri fini e ai propri interessi in chiave antimeridionalista e a tutela degli interessi del Nord, cosa che dura sino ai nostri giorni, con la creazione di un nuovo Stato che di questi fini e di questi interessi ne fu portatore. Con la “rivoluzione-restaurazione” il Piemonte assume una funzione di “dominio” e non di dirigenza reale e democratica di un processo di rinnovamento che in effetti non ci fu. Si passò, nelle regioni meridionali, dall’assolutismo paternalistico borbonico al costituzionalismo repressivo piemontese. “Dittatura senza egemonia”, opportunamente la definisce ancora Antonio Gramsci, che fece pagare al Sud e alla Sicilia, sotto tutti i punti di vista repressivi ed economici, il prezzo più alto. Ed a proposito delle repressioni e degli eccidi operati dai piemontesi nel Mezzogiorno subito dopo l’Unità d’Italia – repressioni ed eccidi che vanno impropriamente sotto il nome di lotta al brigantaggio, mentre in effetti si trattò di una vera e propri guerra civile, una lotta dei contadini contro i piemontesi – ancora una volta Gramsci, nel 1920, in un suo puntuale articolo su Ordine Nuovo, scrive: “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare chiamandoli briganti”.
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