L’ITALIA UNA E INDIVISIBILE, UN’IDEA CHE NASCE NELLA FRANCIA RIVOLUZIONARIA
Non ci risulta che nessuno abbia sinora messo in evidenza il concetto davvero incredibile di “indivisibilità dello Stato”, che i giacobini di tutte le risme ripetono aprioristicamente, per far intendere ai Veneti che non devono sperare in altro se non di estinguersi con il tricolore sulla bara.
Si noti che gli Stati Cristiani nella loro storia millenaria avevano dato per scontati gli spostamenti di confini (mutamenti politici che, in effetti, c’erano sempre stati e sempre ci saranno): i territori, un tempo venivano conquistati, perduti, scambiati, talvolta addirittura acquistati con somme di denaro. Mai i sudditi furono in precedenza fagocitati contro il loro consenso da Stati Uniti ed Indivisibili, con diritto di vita e di morte su di loro: la gente viveva da sempre in piccoli ambiti territoriali, dotati di una forte autonomia basata sulla tradizione locale.
C’è da domandarsi di quale natura sia il possesso esercitato dalla “Repubblica una ed indivisibile”… Guarda caso, la formuletta viene inserita nel 1947 anche all’interno dell’art. 5 della Costituzione Italiana (ma la sua derivazione è francese: il 21 settembre del 1792 i deputati della Convenzione alla prima seduta votarono all’unanimità l’abolizione in Francia della monarchia; il nuovo regime non venne proclamato, ma dal 25 settembre 1792 la Repubblica è definita come “una ed indivisibile”). Così, anche l’Italia diviene per decreto “una e indivisibile” nel 1948, benché abbia appena perduto vari territorî in seguito ad una capitolazione senza onore in una guerra disastrosa: anzi in quel tempo non sa neppure che fine farà la zona “A” (il Triestino) e la zona “B” (l’Istria). “Una e indivisibile”: che diamine vuol dire?
Tale impostazione poteva scaturire solo dall’intento illuminista di cancellare la storia, per “far uscire l’uomo dalla caverna” dell’oscurantismo (cattolico, naturalmente). Infatti, la menzione più antica del concetto di indivisibilità la rinveniamo nel “Contratto Sociale” di Jean-Jacques Rousseau: «Quando il popolo intero statuisce in merito al popolo intero, allora esso prende in considerazione soltanto se stesso; si forma così un rapporto tra l’oggetto intero, preso da un certo punto di vista, e l’oggetto stesso, preso da un altro punto di vista – senza alcuna divisione al suo interno».
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