Luca Giordano, dalla natura alla pittura. Al Museo e Real Bosco di Capodimonte a Napoli
La mostra di Luca Giordano (1634/ 1705), reduce dal successo parigino, ora si trova finalmente a Napoli, a Capodimonte. Si poteva pensare che questo perfetto esponente del barocco napoletano (se si vuole etichettarlo così) non avrebbe avuto successo a Parigi, che, all’epoca non aveva di certo apprezzato Gian Lorenzo Bernini, (1598/1689), l’altro napoletano che il barocco ce l’aveva nel sangue (materno).
Appunto l’esperienza che allora ebbe il Bernini testimonia l’insofferenza verso il naturalismo barocco dell’ambiente parigino dell’epoca, dominata dal razionalismo di Cartesio (1596/1650) e da quello del Colbert (1619/1683), che, Controllore Generale delle Finanze dello Stato, certo con la ragione ci sapeva fare.
Gian Lorenzo era stato accolto in Francia con tutti gli onori, per costruire, nientemeno, che il Palazzo del Re, ed era poi stato con tutti gli onori rimandato a casa. Al suo progetto di un palazzo con rocce naturali, acque di fontane e curve ridondanti (e ridondanti spese), sarebbe poi stato preferito il classicismo della colonnade, le colonne tutte d’infilat
a del Perrault (1613/1688), che ancora ornano la facciata del Louvre.
Anche Luca Giordano era stato chiamato in Francia all’incirca nello stesso periodo. Aveva avuto l’incarico di alcuni dipinti ma non ne aveva fatto nulla, non rispettando l’impegno. “Una gran brutta figura” ha commentato Stefano Causa, curatore della mostra napoletana, insieme alla brava Patrizia Piscitello. E stupisce un po’ l’insistenza con cui il Re Sole Luigi XIV si rivolgeva a un ambiente artistico che considerava classico, mentre l’evoluzione verso il barocco era dirompente.
Un’incomprensione di fondo. Perché anche Luca aveva lo stesso programma artistico di Gian Lorenzo, quello espresso dal titolo della mostra napoletana: “Dalla natura alla pittura”. Anche Stefano Causa, forse ereditato dall’amore per il Seicento del grande Raffaello Causa, il barocco ce l’ha nel sangue, come ha già dimostrato curando la mostra, mesi fa a Capodimonte, di Jan Fabre, definito un artista barocco contemporaneo.
E forse perciò il suo apporto è stato determinante per tradurre in una mostra il pensiero e la sensibilità di Luca Giordano e del Seicento napoletano. Era un’impresa non facile, ma è perfettamente riuscita. Portarla a Napoli avrebbe potuto sminuire l’attesa. Invece no. È una mostra sconvolgente, che supera qualsiasi aspettativa. Anche se i napoletani conoscono il barocco, in effetti anche senza saperlo, vivendo in una città popolata da tanti edifici di quell’epoca ridondante di fantasia. E se già conoscono Luca Giordano anche senza conoscerlo, anche senza guardarlo. ma sentendo sulla pelle, entrando nelle chiese, quell’atmosfera calda di fede e di umanità che la pittura giordanesca concorre a creare.
La mostra delle opere di Giordano al Petit Palais parigino era diversa da questa ora a Napoli. “Qui, – ha detto il direttore Sylvain Bellenger – Giordano è stato raccontato come non lo è mai stato prima”. La mostra parigina fidava sulla spettacolarità, espressa anche dal titolo “Il trionfo della pittura napoletana”. Nella mostra napoletana la straordinaria spettacolarità è sovrastata dall’espressività, dall’esaltazione dell’umanità che butta in faccia ai visitatori una caterva di pensieri, sentimenti, attrazioni, ascetismi, preghiere e carnalità.
Quella che, a volte, con la sostituzione della realtà con la rappresentazione digitale, con l’accentuazione dell’interesse per il denaro, sta diventando sempre più astratta e sembra stia per morire. Mentre le museruole che ora coprono i volti trasformano in maschere intoccabili quelli che prudentemente si aggirano nelle strade, qui in mostra c’è invece l’umanità che gioisce, che prega, che soffre.
E non è senza ragione che vi sia l’immissione nella mostra del dipinto del largo del Mercatello (=piazza Dante) di Domenico Gargiulo, alias Micco Spadaro, con la peste del 1656, quando a Napoli morirono migliaia di persone, anche artisti celebri come Bernardo Cavallino (nato nel 1616) e Massimo Stanzione (nato nel 1586).
“Dalla natura alla pittura” è stata posta nella stessa sezione del museo dove Caravaggio (mesi fa) mostrava la sua inquieta umanità, fatta di violenza, rimorso, fede e disperazione, nel buio notturno dei vicoli di Napoli e dell’animo dell’artista. Ora qui, invece, il buio esalta la luminosità di una pittura che è espressione di natura e di vita.
Una mostra che forse potrebbe anche dirsi pirotecnica, perché così scintillante e varia. E stupisce ancora, nell’ultima sala, la sconvolgente video installazione, opera di un altro grande artista napoletano: Stefano Gargiulo.
(foto Amedeo Benestante)
Adriana Dragoni
fonte
Luca Giordano mi fa pensare agli affreschi sulla vita di S. Benedetto della Basilica di Montecassino, colpevolmente distrutta da aerei americani su richiesta inglese a seguito delle errate e colpevoli pressioni dei neozelandesi. Affreschi distrutti e mai più sostituiti, se non in piccola parte, da Pietro Annigoni negli anni 70!