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Padre Ludovico da Casoria e la bontà dei Borbone di Napoli

Posted by on Apr 26, 2024

Padre Ludovico da Casoria e la bontà dei Borbone di Napoli

Quando vidi, forse per la prima volta, alcuni anni fa, il ritratto di padre Ludovico da Casoria su una parete del convento francescano “Santa Maria degli Angeli” di Nocera Inferiore, rimasi colpito per la sua luminosa e viva espressione.

Doveva essere il ritratto di qualche Padre Provinciale che avevo conosciuto e più non ricordavo, pensai. Da subito, infatti, ebbi la sensazione di averlo già incontrato, ma quando e dove? Fin dal lontano 1961 ho frequentato i padri francescani, numerosissimi sono stati carissimi miei amici, oggi quasi tutti defunti. Questo padre io l’avevo già visto… ma nessuna risposta trovai nei miei ricordi lontani.

Qualche mese fa, scorrendo la Rassegna Nazionale del 1888, un articolo sulla vita di “Padre Lodovico da Casoria”, mi ha illuminato la mente. Ecco la bella figura che mi aveva colpito nel convento di Nocera e che forse avevo già veduta nella mia adolescenza in qualche altro convento francescano.

L’undici marzo 1814, da «Vincenzo Palmentieri, onesto e agiato vinaio, e da Candida Zenga» nacque a Casoria Arcangelo, il terzo di cinque figli. Volendo avviarlo a un mestiere, il padre lo mandò, dodicenne, a Napoli, ove rimase tre anni ad apprendere l’arte del falegname.

Morta la madre, Arcangelo (Ludovico) tornò a Casoria e riprese gli studi ma non bastandogli più il maestro del luogo, andò ogni giorno a piedi alla scuola dei frati Francescani in Afragola. A 18 anni mise l’abito francescano e a 24 anni, nel 1838, fu ordinato sacerdote e prese il nome di Lodovico.

Come Padre Rocco al tempo del re Carlo III di Borbone in Napoli, Ludovico divise la sua cella nel convento di S. Pietro ad Aram in tre parti, di cui la più piccola destinò a sé, la seconda a laboratorio e la terza a farmacia per la cura dei confratelli infermi. Quantunque non amasse mendicare, andò questuando per le vie di Napoli per avere quanto gli occorreva per il suo piccolo laboratorio farmaceutico. La farmacia infatti fu la sua prima opera di carità per gli infermi. In seguitò creò nel corridoio del convento di S. Pietro una farmacia per i sacerdoti poveri e infermi della provincia di Napoli.

Pur non avendo soldi, Ludovico decise di comprare una casa con giardino per ospitare i sacerdoti malati. Dopo tanto cercare, trovò alle falde di Capodimonte, alla salita Scudillo, una bella casa e superando ogni difficoltà riuscì a comprarla al prezzo di 7000 ducati, che furono in parte pagati dalla famiglia Pellegrini, e le diede il nome di Casa della Palma Serafica. Dopo aver raccolto cinquantamila lire, padre Ludovico allestì all’interno della Palma Serafica un’infermeria con l’annessa farmacia e un piccolo convento per i frati Minori Riformati, dove Ludovico visse per vent’anni in un’umile cella.

Nel 1866, parlando alla Camera delle carceri e dei carcerati, il deputato Bellazzi dichiarò che si trovavano nelle case governative di custodia 11.000 detenuti mino­renni. «Badate bene, o signori, disse, che quando dico 11 mila mi modero, che invero ho ragione di credere che oltrepassino questo numero». L’enorme numero di fanciulli detenuti evidenzia bene quanto fosse diffusa a quel tempo la povertà in tutto il nuovo regno d’Italia, dal Piemonte alla Sicilia. Basta, per esempio, ricordare l’opera pia svolta da Don Bosco (1815-1888) a Torino e da padre Ludovico da Casoria in Napoli. Ma se l’opera del primo è di dominio pubblico, quella del secondo è nota a pochi.

Narrava padre Ludovico: «Un giorno, camminando per la via Toledo, m’incontrai con due piccoli moretti, che menava seco un sacerdote. Di botto mi venne il pensiero dell’Africa, tanto amata da S. Francesco d’Assisi. Mi avvicinai al sacerdote e gli domandai di pigliarmeli per educarli e istruirli; me li condussi alla Palma. Ecco l’origine dei Moretti. Questi moretti erano stati condotti in Napoli da un prete Genovese, chiamato Padre Olivieri, il quale comprava moretti e morette in Cairo d’Egitto; e li menava in Italia e in Francia; i moretti li collocava nei conventi e seminarî e le morette nei monasteri delle monache e negli istituti femminili».

In breve tempo padre Ludovico raccolse nove moretti ma ciò gli sembrava poco e chiese al Re Ferdinando II di riscattare per l’amore che portava a Dio un certo numero di bambini africani e li donasse al Collegio. «Il re, che lo aveva in molta stima, assentì tosto; e ordinò al suo Console in Egitto, che comperasse i dodici moretti, i quali per mezzo di un Francescano sarebbero stati consegnati al Padre Lodovico. Avuta la notizia, questi decise di andarli a prendere lui stesso; e imbarcatosi per l’Egitto, scese ad Alessandria, ove fu dal Console accolto con onori quasi regali, ed ottenne dodici moretti, ai quali vollero spontaneamente aggiungersi due Egiziani».

Il 10 maggio 1859, con l’aiuto di Ferdinando II, il quale acquistò a sue spese una casa attigua alla Palma, padre Lodovico fondò e inaugurò il collegio dei moretti. Ma ben presto il suo pensiero si rivolese anche alle fanciulle che in Africa erano oggetto di «un infame e turpe mercato». Avuto il permesso dal Generale dell’Ordine e dall’Arci­vescovo di Napoli, padre Ludovico prese in affitto una casa ai Pirozzoli e, largamente soccorso dalla carità dei Napoletani, vi aprì un collegio per le Morette. Riportava La Rassegna nazionale del 1888: «Dalle povere fanciulle nere il Padre Lodovico volse pietosamente lo sguardo a certe fanciulle bianche e poverelle, che orfane dei parenti o abbandonate, andavano accattando per le vie di Napoli, e cominciò a raccoglierne due, e le pose in compagnia delle morette, come lor sorelline. Così nacque in lui il pensiero di un convitto delle Accattoncelle; né volse gran tempo, che poté essere effettuato. Già la defunta regina di Napoli, Maria Cristina di Savoia, aveva cominciato ad edificare al Tondo di Capodimonte due Ospizi e una Chiesetta per le Orfanelle. Se non che quei due Ospizii, incompiuti per la morte della santa Regina, rimasero disabitati, finché il figlio di lei, Francesco II, venuto al governo e conosciuto il desiderio del Padre Lodovico, glieli donò il 20 Giugno 1860. Padre Ludovico accettò con grande gioia il dono del re Francesco e concepì subito il disegno di adoperare uno dei due ospizi per le orfane e l’altro per gli orfani. Primo a sorgere fu l’ospizio delle Accattoncelle, che poteva dirsi iniziato fin da quando le due fanciulle furono affidate alle Stimatine, che già avevano le morette».

Nello stesso anno 1860, insieme all’opera delle Accattoncelle, nasceva un’altra delle più benefiche e feconde istituzioni di padre Ludovico: la Congregazione religiosa dei “Frati della Carità”, detti Bigi dal colore grigio del loro abito, riservata agli uomini laici (e, nel 1862, alle donne “Elisabettine Bigie”).

Numerose furono le opere compiute da padre Ludovico, si ricordano in particolare la colonia agricola per gli orfanelli o l’opera del Deserto presso Sorrento e l’istituto dei Sordo-muti e Ciechi in Assisi.

L’ultima opera compiuta prima della sua morte fu l’Ospizio marino di Posillipo. Fin da quando aveva fondata la colonia agricola del Deserto, presso Sorrento, Ludovico aveva cominciato a pensare ai poveri marinai, vecchi e impotenti. La condizione dei vecchi marinai e pescatori, ridotti a passare inoperosi gli ultimi giorni della loro vita lungo la riviera di Napoli dopo anni di fatiche e di stenti, aspettando dalla pietà dei congiunti o degli amici un po’ di pesce o di frutti marini era la grande preoccu­pazione di padre Ludovico. Solo nel 1868 gli riuscì di raccogliere dodici vecchi pescatori in una casa di carità, prima in S. Nicola Tolentin, insieme agli Accattoncelli, poi al Tondo di Capodimonte.

Dopo vane speranze, riuscì a comperare all’asta una casa detta Lazzaretto sulla riviera di Posillipo. Dopo il restauro della casa e dell’annessa chiesa, nel 1874 vi trasferì i vecchi pescatori. Questa casa divenne il centro di tutte le opere di carità da lui fondate. Dapprima vi istituì un convitto di fanciulli poveri, poi un Albergo ecclesiastico per i bagni marini e nel 1883 l’Ospizio per accogliere i fanciulli scrofolesi. In principio ne accolse 24 provenienti dai bagni di Casamicciola, che si salvarono dal terremoto, che poco tempo dopo devastò l’isola d’Ischia.[1]

Padre Ludovico da Casoria morì il 30 marzo 1885, lunedì santo.


[1] Vincenzo Giannone. Notizie tratte da «La rassegna nazionale», Anno X, vol. XLI, 1° maggio 1888, Firenze 1888, p. 225 e ss.

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