Posted by altaterradilavoro on Apr 24, 2020
Pirandello era ritenuto grande filosofo, mente acuta, penetrante e analitica. E, nonostante le tante critiche malevole mosse contro lo scrittore, la giuria svedese del Nobel riconosceva in lui un attaccamento all’ideale, una valorizzazione dell’uomo, un anelito alla vita. La lucida coscienza critica e la domanda di comprendere la verità non annullavano mai in lui la speranza di trovare risposte.
– L’ESERCITAZIONE
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Posted by altaterradilavoro on Mar 31, 2020
Nel mondo delle arti mai si era vissuta una rottura così netta con la tradizione come nella rivoluzione culturale europea agli inizi del XX sec. Alla base di tale rivoluzione c’era un devastante scenario post bellico ereditato dalla prima guerra mondiale, che già di per sé imponeva una necessità di ripartire da zero. Periodo segnato da una radicale trasformazione sociale, politica, tecnologica e comunicativa, quindi una perfetta miscela esplosiva per la nascita di una vera e propria rivoluzione spontanea culturale come mai nella storia. In particolar modo proprio la Germania, distrutta dalla guerra, devastata dall’iperinflazione sotto la Repubblica di Weimar, umiliata nei trattati internazionali ed ora caduta in mano ai socialdemocratici, divenne il terreno più fertile per un rinnovamento culturale.
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Posted by altaterradilavoro on Nov 11, 2019
“È un successo!” informa da Parigi Carmine Romano e il tono entusiasta delle sue parole non lascia dubbi. La mostra “Gemito. le sculpteur de l’ame napolitaine” di cui è uno dei curatori, ha conquistato pubblico e critica. La Parigi razionalista e giacobina comprende e ammira l’accorata realtà dell’artista napoletano. La mostra (dal15/10.al 26/1) è nel Petit Palais, il Musée des Beaux Arts de la Ville, un edificio, nient’affatto petit, costruito per l’esposizione universale del 1900, che non sfigura al cospetto del Grand Palais, che gli sta di fronte con la sua copertura in vetro e acciaio la più grande d’Europa.
La mostra è a cura di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais e di Silvain Bellenger, direttore della Reggia-Museo e del Real Bosco di Capodimonte e ha la curatela scientifica di Jean Loup-Champion, Cécilie Champy-Venan e Carmine Romano. Oltre alla mostra delle 120 opere di Gemito e degli artisti a lui vicini, vi sono in programma concerti, film e le conferenze di Jean Loup Champion, Cecilie Champy-Venan, Angela Tecce, Isabella Valente e Carmine Romano. Queste manifestazioni saranno accolte anche nell’Istituto di Cultura Italiana e nell’Ambasciata d’Italia, dove si aspetta il presidente Emmanuel Macron.
Con Gemito si apre a Parigi “la stagione napoletana”, che durerà quattro mesi, comprendendo una grande mostra su Luca Giordano (1834/1705): “Il trionfo della pittura napoletana” (dal 15/11.2019 al 23/2.2020), che ha la curatela di Stefano Causa e Patrizia Piscitello con Leribault e Bellenger.
Il motore di questi eventi è Bellenger, sempre impegnato nella missione che si è imposto: quella di promuovere Napoli e la sua arte nel mondo. Così la mostra Parade, di Picasso (1881/1973), che tenne a Capodimonte nel 2017, indicava come la creatività del pittore spagnolo fosse stata stimolata dalla cultura popolare napoletana. Così la mostra su Caravaggio (1573/1910), di quest’anno, riproponeva la grandezza del pittore lombardo e dimostrava come fosse stato influenzato dall’ambiente e dalla pittura della Napoli capitale spagnola.
Ora, con queste mostre parigine, Bellenger capovolge questo rapporto tra Napoli e il resto del mondo ed esalta direttamente i grandi napoletani, Gemito e Giordano, che hanno influenzato l’arte europea. Il grande amore che dimostra per la loro città ha reso popolare Bellenger presso i napoletani. Molti sono i commenti su facebook di persone che gli esprimono ammirazione e riconoscenza anche per avere restituito, dopo decenni di degrado, decoro al Museo e al Real Bosco di Capodimonte.
“Devo dirgli grazie per aver fatto riscoprire Capodimonte e la sue bellezze e aver coinvolto al meglio e fatto appassionare centinaia di migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo. Napoli cresce anche e soprattutto con la cultura. C’è un gran movimento in questa direzione e volentieri mi unirò ai tanti che in questi mesi stanno creando le condizioni perché Bellenger diventi cittadino onorario di Napoli. Credo che meriti in pieno questa onorificenza” ha scritto su facebook Diego Venanzoni, consigliere comunale.
E sembra che ora finalmente proprio il sindaco Luigi De Magistris abbia intenzione di concedere la cittadinanza al francese-normanno direttore di Capodimonte. Un’iniziativa che farebbe risaltare sulla Stampa internazionale il nome di Napoli.
Vincenzo Gemito ebbe una vita travagliata. E fu malato di schizofrenia, da cui guarì dopo molti anni. E anche la sua nascita ebbe un dramma. Quello di una mamma che lo depositò nella Ruota dell’Annunziata. Vincenzo, infatti, era un “figlio della Madonna”, un trovatello come tanti napoletani, che si chiamarono Esposito o Esposto; oppure Genito (= generato), come lui, che, per un errore di trascrizione, fu chiamato Gemito. Fu adottato da una coppia di povera gente. Mamma gli fu una popolana, che, prima con un marito, poi, da vedova, con un altro marito, lo allevò.
Gemito è cresciuto da libero scugnizzo, per le strade di Napoli con il suo amico pittore Antonio Mancini (1852/ 1929), detto ‘Totonno”. che frequentò anche più tardi, cosicché si ritrovarono entrambi a Parigi negli anni 1877 e 1878. Vincenzo è “un ragazzo che si guarda attorno e con estremo realismo ritrae quello che lo circonda, dai pescatori agli scugnizzi, traendo ispirazione anche dalle antichità studiate al Museo Archeologico – dice Bellenger. Che ora aggiunge: “È la prima volta che qui a Parigi viene organizzata una mostra su Vincenzo Gemito, eppure quello di Gemito può definirsi un ‘ritorno’.
Fu proprio a Parigi, infatti, che l’artista, all’età di 25 anni, incontrò la fama internazionale partecipando prima al Salon e l’anno successivo, nel 1878, all’Esposizione Universale, dove presentò ‘Il pescatore napoletano’. Fu proprio a Parigi che Gemito divenne l’artista invidiato da Rodin, guardato da Degas, famoso in tutta Europa.”. Dove, poi, fino a oggi, era stato assolutamente dimenticato.
“Ogni mostra è valida soprattutto se dà un nuovo apporto agli studi.”- ha detto più volte il direttore Bellenger. “Ritraggo quello che esiste” – diceva Vincenzo Gemito. Una visione del mondo profondamente diversa da quella del citato Eduard Degas (1834/1917), che pure disprezzava gli accademismi, che pure cercò di essere realista e tentò di imitarlo. E forse, dal paragone, riusciamo a comprendere meglio il realismo naturalistico di Vincenzo, così diverso, anche per condizione familiare, da Eduard, che era di famiglia nobile e danarosa. Il nonno di Eduard, che, infatti, si chiamava René Hilaire de Gas, con la nobiliare “d” minuscola, durante la Révolution scappò dalla Francia e riparò a Napoli. Qui comprò il grande Palazzo Pignatelli di Monteleone, nel centro antico, chiamato dal popolo napoletano, che ne ricorda, ancora una volta storpiandolo, il nome, “ ‘O Palazzo d’ ‘o gas”.
Degas, anche lui innamorato della realtà, cercò di studiarla attentamente e di rappresentarla precisamente. Famose, in pittura, sono le ballerine che lui, amando un realismo senza orpelli, rappresentò nella loro vita quotidiana, quando, affaticate, si grattano la schiena o finalmente fanno un bagno ristoratore. Ma non esprimono il ristoro, la piacevolezza di questo bagno. Il fascino dell’arte di Degas è nell’eleganza e nel ritmo ben calibrato della composizione più che nel corpo delle ballerine, le quali, generalmente, si librano leggere solo nel colore.
Purtroppo l’artista francese via via perse la vista. Allora abbandonò la pittura dandosi alla scultura. Anche le sue ballerine a tre dimensioni esprimono la bellezza nel ritmo della struttura più che nella naturalezza del movimento, che invece è propria delle figure di Gemito. Il quale sa che dentro i corpi di questi suoi ragazzini, le bocche socchiuse, gli occhi profondi di vivaci pensieri, c’è la forza del vivere, anche tra le lacrime. Gemito comprende la sensazione inconsapevole della vitalità corporea che anche lui ha provato, anche lui è stato un libero scugnizzo felice, a volte, pienamente, pur nella miseria.
Quei ragazzini appollaiati sugli scogli, quelli che per la strada portano una mummera d’acqua non esprimono fatica ma l’inconsapevole gioia dell’essere vivi, di sentirsi agili e sciolti, di muoversi liberamente, come libera è l’anima napoletana. Non per niente la mostra si intitola Gemito lo scultore dell’anima napoletana.
fonte http://www.agenziaradicale.com/index.php/cultura-e-spettacoli/mostre/6025-gemito-le-sculpteur-de-l-ame-napolitaine-a-parigi-la-mostra-che-apre-la-stagione-napoletana
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Posted by altaterradilavoro on Ott 27, 2019
“È
un successo!” informa da Parigi Carmine
Romano e il tono entusiasta delle sue parole non lascia
dubbi. La mostra “Gemito.
le sculpteur de l’ame napolitaine” di cui è uno dei curatori,
ha conquistato pubblico e critica. La Parigi razionalista e giacobina comprende
e ammira l’accorata realtà dell’artista napoletano. La mostra (dal15/10.al
26/1) è nel Petit
Palais, il Musée
des Beaux Arts de la Ville, un edificio, nient’affatto petit,
costruito per l’esposizione universale del 1900, che non sfigura al cospetto
del Grand
Palais, che gli sta di fronte con la sua copertura in vetro e
acciaio la più grande d’Europa.
La
mostra è a cura di Christophe
Leribault, direttore del Petit Palais e
di Silvain
Bellenger, direttore della Reggia-Museo e del Real Bosco di
Capodimonte e ha la curatela scientifica di Jean Loup-Champion, Cécilie Champy-Venan e
Carmine Romano. Oltre alla mostra delle 120 opere di Gemito e degli artisti a
lui vicini, vi sono in programma concerti, film e le conferenze di Jean Loup
Champion, Cecilie Champy-Venan, Angela
Tecce, Isabella
Valente e Carmine Romano. Queste manifestazioni saranno
accolte anche nell’Istituto di Cultura Italiana e nell’Ambasciata d’Italia,
dove si aspetta il presidente Emmanuel
Macron.
Con
Gemito si apre a Parigi “la
stagione napoletana”, che durerà quattro mesi, comprendendo una
grande mostra su Luca
Giordano (1834/1705): “Il trionfo della pittura napoletana”
(dal 15/11.2019 al 23/2.2020), che ha la curatela di Stefano Causa e Patrizia Piscitello con
Leribault e Bellenger.
Il
motore di questi eventi è Bellenger, sempre impegnato nella missione che si è
imposto: quella di promuovere
Napoli e la sua arte nel mondo. Così la mostra Parade,
di Picasso (1881/1973),
che tenne a Capodimonte nel 2017, indicava come la creatività del pittore
spagnolo fosse stata stimolata dalla cultura popolare napoletana. Così la mostra su
Caravaggio (1573/1910), di quest’anno, riproponeva la
grandezza del pittore lombardo e dimostrava come fosse stato influenzato
dall’ambiente e dalla pittura della Napoli capitale spagnola.
Ora,
con queste mostre parigine, Bellenger capovolge questo rapporto tra Napoli e il
resto del mondo ed esalta direttamente i grandi napoletani, Gemito e Giordano, che hanno
influenzato l’arte europea. Il grande amore che dimostra per la loro città ha
reso popolare Bellenger presso i napoletani. Molti sono i commenti su facebook di
persone che gli esprimono ammirazione e riconoscenza anche per avere
restituito, dopo decenni di degrado, decoro al Museo e
al Real
Bosco di Capodimonte.
“Devo
dirgli grazie per aver fatto riscoprire Capodimonte e la sue bellezze e aver
coinvolto al meglio e fatto appassionare centinaia di migliaia di visitatori
provenienti da tutto il mondo. Napoli cresce anche e soprattutto con la
cultura. C’è un gran movimento in questa direzione e volentieri mi unirò ai
tanti che in questi mesi stanno creando le condizioni perché Bellenger diventi cittadino
onorario di Napoli. Credo che meriti in pieno questa
onorificenza” ha scritto su facebook Diego
Venanzoni, consigliere comunale.
E
sembra che ora finalmente proprio il sindaco Luigi De Magistris abbia
intenzione di concedere la cittadinanza al francese-normanno direttore
di Capodimonte. Un’iniziativa che farebbe risaltare sulla Stampa
internazionale il nome di Napoli.
Vincenzo Gemito ebbe una vita travagliata. E fu malato di schizofrenia, da
cui guarì dopo molti anni. E anche la sua nascita ebbe un dramma. Quello di una
mamma che lo depositò nella Ruota dell’Annunziata. Vincenzo, infatti, era un
“figlio della Madonna”, un trovatello come tanti napoletani, che si chiamarono
Esposito o Esposto; oppure Genito (= generato), come lui, che, per un errore di
trascrizione, fu chiamato Gemito. Fu adottato da una coppia di povera gente.
Mamma gli fu una popolana, che, prima con un marito, poi, da vedova, con un
altro marito, lo allevò.
Gemito
è cresciuto da libero scugnizzo, per le strade di Napoli con il suo amico
pittore Antonio
Mancini (1852/ 1929), detto ‘Totonno”. che frequentò
anche più tardi, cosicché si ritrovarono entrambi a Parigi negli anni 1877 e
1878. Vincenzo è “un ragazzo che si guarda attorno e con estremo realismo
ritrae quello che lo circonda, dai pescatori agli scugnizzi, traendo
ispirazione anche dalle antichità studiate al Museo Archeologico –
dice Bellenger. Che
ora aggiunge: “È la prima volta che qui a Parigi viene
organizzata una mostra su Vincenzo Gemito, eppure quello di Gemito può
definirsi un ‘ritorno’.
Fu
proprio a Parigi, infatti, che l’artista, all’età di 25 anni, incontrò la fama
internazionale partecipando prima al Salon e
l’anno successivo, nel 1878, all’Esposizione Universale, dove presentò ‘Il
pescatore napoletano’. Fu proprio a Parigi che Gemito divenne
l’artista invidiato da Rodin,
guardato da Degas, famoso in tutta Europa.”. Dove, poi, fino a oggi, era stato
assolutamente dimenticato.
“Ogni
mostra è valida soprattutto se dà un nuovo apporto agli studi.”- ha detto più
volte il direttore Bellenger. “Ritraggo quello che esiste” – diceva
Vincenzo Gemito. Una visione del mondo profondamente diversa da quella del
citato Eduard
Degas (1834/1917), che pure disprezzava gli accademismi,
che pure cercò di essere realista e tentò di imitarlo. E forse, dal paragone,
riusciamo a comprendere meglio il realismo naturalistico di Vincenzo, così
diverso, anche per condizione familiare, da Eduard, che era di famiglia nobile
e danarosa. Il nonno di Eduard, che, infatti, si chiamava René Hilaire de Gas,
con la nobiliare “d” minuscola, durante la Révolution scappò
dalla Francia e riparò a Napoli. Qui comprò il grande Palazzo
Pignatelli di Monteleone, nel centro antico, chiamato dal popolo
napoletano, che ne ricorda, ancora una volta storpiandolo, il nome, “ ‘O
Palazzo d’ ‘o gas”.
Degas,
anche lui innamorato della realtà, cercò di studiarla attentamente e di
rappresentarla precisamente. Famose, in pittura, sono le ballerine che lui,
amando un realismo senza orpelli, rappresentò nella loro vita quotidiana,
quando, affaticate, si grattano la schiena o finalmente fanno un bagno
ristoratore. Ma non esprimono il ristoro, la piacevolezza di questo bagno. Il
fascino dell’arte di Degas è nell’eleganza
e nel ritmo ben calibrato della composizione più che nel
corpo delle ballerine, le quali, generalmente, si librano leggere solo nel
colore.
Purtroppo
l’artista francese via via perse la vista. Allora abbandonò la pittura
dandosi alla scultura. Anche le sue ballerine a tre dimensioni esprimono la
bellezza nel ritmo della struttura più che nella naturalezza del movimento, che
invece è propria delle figure di Gemito. Il quale sa che dentro i corpi di
questi suoi ragazzini, le bocche socchiuse, gli occhi profondi di vivaci
pensieri, c’è la
forza del vivere, anche tra le lacrime. Gemito comprende la
sensazione inconsapevole della vitalità corporea che anche lui ha provato,
anche lui è stato un libero scugnizzo felice, a volte, pienamente, pur nella
miseria.
Quei ragazzini appollaiati sugli scogli, quelli che per la strada portano una mummera d’acqua non esprimono fatica ma l’inconsapevole gioia dell’essere vivi, di sentirsi agili e sciolti, di muoversi liberamente, come libera è l’anima napoletana. Non per niente la mostra si intitola Gemito lo scultore dell’anima napoletana.
Adriana Dragoni
fonte http://www.agenziaradicale.com/index.php/cultura-e-spettacoli/mostre/6025-gemito-le-sculpteur-de-l-ame-napolitaine-a-parigi-la-mostra-che-apre-la-stagione-n
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Posted by altaterradilavoro on Set 18, 2019
Il 28 luglio 1830, un giovane pittore di
trentadue anni, già conosciuto, marcia in Parigi sollevata da una sommossa. In
agosto, egli scrive :”Siamo stati tre giorni nel mezzo della mitraglia e delle fucilate, poiché ci si batteva dappertutto. Il semplice
passeggiatore come me aveva la possibilità di buscarsi una pallottola né più né
meno quanto gli eroi improvvisati che marciavano contro il nemico con pezzi di
ferro muniti di manici di scopa”. E in ottobre : “Per lo spleen, esso se ne va
grazie al lavoro. Io ho intrapreso un soggetto moderno, “Una barricata”… Ciò mi
ha rimesso di buon umore”.
“La liberté guidant le peuple”, di Delacroix, è questa barricata. E’
probabilmente, con il “Guernica” di Pablo Picasso, una delle più grandi
riuscite della pittura della Storia. Un’insurrezione o una distruzione nella
realtà trovano la loro corrispondenza in pittura. Il caso è raro, si dovrebbe
chiedersi di puiù perché. Nessun dubbio che Victor-Marie Hugo, per esempio,
“vedeva” questo quadro quando scriveva più tardi “ I Miserabili”. Gavroche, sì,
eccolo, la pistola in mano. E’ la colpa a Voltaire, è la colpa a Rousseau. La
Repubblica discende dal Parnaso, i seni nudi, come una figlia del popolo. La
libertà consiste nel saper vivere e parlare nello stesso tempo che si svolgono gli avvenimenti. “una cosa vista”
da Hugo sarà così molto più di una cosa
: “Si entra più profondamente nell’anima dei popoli e nella storia interna
delle società umane per la vita letteraria che per la vita politica”. Ed anche
: “Il più eccellente simbolo è la pietra. Si marcia sopra fino a quando essa non vi cada sulla testa”.
E ancora : “In Francia c’è sempre una rivoluzione possibile allo stato di
calorico latente”.
Straordinario Ottocento, che termina senza
dubbio sotto i sotto i nostri occhi nella commemorazione grigiastra del
Maggio ’68. Il dipinto di Delacroix,
come per caso, sarà stato il penultimo
biglietto francese di 100 franchi prima del passaggio all’euro, via il
seppellimento colorizzato di Cézanne. Noi accumuliamo i racconti realistici
affrettati, le testimonianze abborracciate, le foto, le pellicole, e non esce
da questa messinscena che una penosa impressione di bianconero, di polvere
evacuabile sotto le lastre pubblicitarie. Nel 1830, alcuni giganti sono là. Sono ancora là nel 1848. Sempre là dopo la
settimana sanguinosa del 1871. Grande silenzio. E poi il surrealismo e poi il
’68. In questo mese, Malraux tituba,
Sartre se la cava giustamente (“Sii breve”), Aragon scopre che ha peso il
proprio tempo a “Mosca la decrepita”. Risorgono delle barricate, la poesia è
nella strada, si libera l’amore. E poi
silenzio. Si è là, cioè, insomma, non più lontano dalla tesi 162 de “La Società
dello spettacolo”, di Guy Debord,, libro
che resta da leggere : “Sotto le mode apparenti che si annullano e si
ricompongono alla superficie del tempo pseudo ciclico contemplato, il grande
stile dell’epoca è sempre in quello che è orientato dalla necessità evidente e
segreta della rivoluzione.”
Il grande stile ? Esso non è obbligatoriamente 2Rivoluzionario”, come lo
prova, per esempio, la strana attualità di Chateaubriand. Pronunciate il suo
nome e tutti si anima. Pivot non sta più nella pelle, Jean d’Ormesson freme da
una estremità all’altra, Marc Fumaroli diviene lirico e pronuncia anche il nome
di Lautrémont dinanzi a un Michel Rocard sbalordito. Come ? Chateaubriand
avrebbe influenzato Lautrémont ? Eh, sì. Questoe non ha impedito a Lautrémont,
giustamente, di classificare Chateaubriand nelle Grandi Teste Molli della sua
epoca, soprannominandolo “il Mohicano Malincolico”. Ci si sovviene senza dubbio che Victor-Marie Hugo è “Il Funebre Spilungone
verde”, George Sand “l’Ermafrodito circonciso” e Lamartine “La Cicogna
lamentosa”. Ecco dei regolamenti di conti al vertice, se si può dire. Ed essi
sono tanto ben letterari quanto politici. Mitterrand ammirava Lamartine ? Non ci si stupisce quando si leggono i suoi
poveri tentativi poetici (e il primo romanzo di sua figlia, ove figura la molto
imprudente dichiarazione
che dice che la gioventù odierna
avrebbe 68 “dietro di sè”, non ci fa avanzare di un passo fuori dalla
convenzione più ammuffita).
Ciò non impedisce che Chateaubriand, Lamartine, Hugo (senza parlare
degli altri) sono gigantesche barricate, da soli, contro l’ignoranza, la stupidaggine
e la regressione in corso. “La Vie de Rancé” e le “Memprie d’oltretomba” non
hanno una grinza, l’azione politica di Lamartine è sempre tanto sorprendente,
le annotazioni più brevi di Hugo valgono oro. E’ Baudelaire che parla del “brio
di incredulità” di Delacroix, aggiungendo : “Il cielo gli appartiene, come
l’inferno, come la guerra, come la voluttà.” Anche Meissonnier aveva fatto una
barricata, ma è quella di Delacroix che si sentirà sempre.
Lamartine, è buffo, era francamente megalomane. Egli si prendeva anche
per il Messìa : “E’ evidente che Dio ha la sua idea su di me, poiché io sono un
vero miracolo ai miei occhi. Io non posso comprendere altrimenti che per un
soffio di Dio, l’inconcepibile popolarità di cui godo qui.” Ciò detto, ecco un
poeta che, nel febbraio del 1848, ha tenuto Parigi nella sua mano. Cattiva
poesia, azione efficace. La formula “la Francia si annoia” è anche di lui. Sul
giornalismo e la libertà della stampa, sull’insegnamento, sull’abolizione
necessaria della pena di morte, molte delle formule felici sono da ricordare
(era un eccellente oratore). La sua “Storia dei Girondini” ha cullato la mia infanzia. La sua difesa
della bandiera tricolore contro la bandiera rossa vale la svolta. IL 25
febbraio, avete questa scensa stupenda :
Lamartine, fondatore della Repubblica, accogflie Hugo all’Hotel de
Ville. Una fucilata rompe il quadretto di vetro. La folla, fuori, è come un
mare. Lamartine trascina Hugo in un’altra stanza e pranza rapidamente dinanzi a lui, senza
coperti.
Alfredo Saccoccio
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