PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (ottava parte)
IX.
Ipocrisia e empietà della Rivoluzione italiana
La Frammassoneria frattanto, risoluta di abbattere il Papato, e nel suo finale scopo, distruggere il Cristianesimo, coi mezzi che ormai ognuno conosce, aveva disfatto tutte le grandi Potenze cattoliche, dominando sovrana in Portogallo, in Spagna, in Francia, e, dopo un lungo e perseverante sotterraneo lavorio, avendo scosso anche l’Impero austriaco, credette giunto il momento di dare un gagliardo crollo a quel grande e secolare Impero cattolico, discacciandolo dall’Italia, onde aver poi buon giuoco coi minori Potentati italiani, provvidenziali antemurali degli Stati della Chiesa. Ma quali furono le cause immediate di questo funestissimo avvenimento? Eccone un rapidissimo cenno.
Campione della rivoluzione in Italia, apparecchiato da lunga mano, fu il Re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, a tal uopo educato dagli antichi amici di Re Carlo Alberto, troppo tardi da esso ripudiati, cui veniva dato a potente sostegno ed alleato Luigi Napoleone Bonaparte, divenuto Imperatore dei Francesi. Costui, disposta a tempo ogni cosa, dava il primo squillo di guerra con le famose parole rivolte all’Ambasciatore d’Austria presso le Tuileries, il primo giorno dell’anno 1859: «Sono dolente, diceva, che le nostre relazioni col vostro Governo non siano più così buone come per lo addietro; ma vi prego di dire al vostro Imperatore che i miei sentimenti personali non sono cambiati» (1).
Vero carattere della guerra di Lombardia
Ogni uomo di mente scorse in quelle parole una mal velata dichiarazione di guerra, che scoppiò infatti non guari dopo tra il Piemonte e l’Austria. E questa volta, credendo maturi ì tempi, la guerra vestiva il suo vero carattere anticristiano, dicendosi apertamente di voler liberare i popoli del Regno Lombardo-Veneto dalla tirannia degli Asburgo, giunta al colmo per il Concordato conchiuso colla Santa Sede… Strana contraddizione! nel 1848 si assaliva l’Austria, perché a danno dei popoli del Lombardo-Veneto minacciava la libertà della Chiesa; dieci anni dopo le si dichiarava la guerra, perché, affrancando la Chiesa, offendeva gli stessi popoli!
(1) Costitutionnel, 4 Gennaio 1859.
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Ma perché non sembri a taluno che da noi si esageri, rechiamo qui due brani di due importanti Documenti, che confermano le nostre asserzioni.
«Si tratta di difendere, scriveva il Ministro Plezza nella sua circolare del 1 agosto 1848, si tratta di difendere le nostre istituzioni, e in particolare la nostra Monarchia della Casa Savoia dallo straniero che la minaccia; imperciocché, se l’Austria prevalesse in Italia, il suo dominio nuocerebbe non solo alle libertà nostre, ma ai diritti dei nostri Principi. Inoltre la Religione Cattolica ne soffrirebbe non poco, essendo noto che l’Austria fu sempre nemica delle prerogative della Santa Sede, e intende a diffondere nei suoi Stati, e in quelli su i quali ha qualche influenza, principii, e massime, e regole di disciplina e di culto poco ortodosse e contrarie alla sovrana autorità della Chiesa. Oltrecchè, se l’Imperatore vincesse in Lombardia, egli non si contenterebbe più degli antichi dominii, torrebbe al Papa le Legazioni, distruggerebbe la sua indipendenza politica con grave danno della libertà ecclesiastica.
Tali sono le considerazioni che debbono indurre tutti i buoni cittadini ed i buoni Cattolici ad aiutare la guerra Lombarda con ogni loro sforzo.
Il Ministro Conte Camillo Benso di Cavour al contrario, trattandosi sempre dello istessissimo scopo di togliere il Lombardo-Veneto all’Austria, nel suo famoso Memorandum del primo Marzo dell’anno 1859 diceva precisamente così: «Per un certo lasso di tempo la condotta ferma e indipendente del Governo austriaco verso la Corte di Roma temperava i sinistri effetti della dominazione straniera. I Lombardo-Veneti si sentivano emancipati dall’impero che la Chiesa esercitava nelle altre parti della Penisola sugli atti della vita civile, del santuario medesimo della famiglia; e questo era per loro un compenso a cui attribuivano una grande importanza. Questo compenso venne loro tolto in forza dell’ultimo Concordato, il quale, come è notorio, assicura al Clero una maggiore influenza e più ampii privilegii che in qualunque altro paese, anche in Italia, eccettuati gli Stati del Papa. La distruzione dei savii principii introdotti nelle relazioni dello Stato colla Chiesa da Maria Teresa e da Giuseppe II fini per far perdere ogni forza morale al Governo austriaco nello spirito degli Italiani.
La valorosa Armonia di Torino notava, che Plezza e Cavour «sono ora perfettamente uniti, e le opinioni dell’uno possono considerarsi come opinioni dell’altro».
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Sicché nel 1848 si doveva far la guerra all’Austria, perché era poco ortodossa, e nel 1859 doveva farlesi egualmente la guerra, perché troppo ortodossa) nel 1848 si doveva combatterla, perché si opponeva alla sovrana autorità della Chiesa, e si doveva egualmente combatterla nel 1859, perché aveva riconosciuto alla Chiesa una sovranità maggiore che nelle altre parti della Penisola. L’Austria nel 1848 era rea, perché professava i principii di Giuseppe II, ed era rea egualmente nel 1859, perché ha distrutto quei principii!…
Tuttavia la diversità tra il linguaggio che il ministro Plezza teneva nel 1848 e quello tenuto dal Conte di Cavour nel 1859 si spiega facilmente, avvertendo, che il primo scriveva ai molto reverendi Parrochi del Regno, e l’altro a due Governi protestanti, il prussiano e il britannico. Scrivendo ai Parrochi, bisognava manifestare un grande affetto ai diritti e alle prerogative della Chiesa Cattolica, e scrivendo ai Protestanti era necessario dichiarare schietto, che si voleva fare la guerra al Papa e a chi ne sosteneva il dominio. E così nel gergo settario, con alternative dialettiche alla Gioberti, si gabbavano i Cattolici, quando nel 1848 si aveva bisogno di loro, e si accarezzavano i Protestanti, quando si sperava tutto da essi: salvo il distruggere anche questi, quando la Frammassoneria crederà giunto il momento d’innalzare monumenti, come ai tempi di Diocleziano, al nome dei Cristiani distrutto, e di proclamare apertamente il regno sociale del Demonio. – II Congresso dei Socialisti del settembre 1877 tenuto nel Belgio ci è sicuro garante di quanto affermiamo -.
Napoleone III e la setta
Con siffatti auspicii, Napoleone III, il campione di ogni causa giusta, colui che non combatteva che per una idea, scendeva m campo per sostenere il leale e fedele Alleato piemontese, divenendo in uno stesso punto condottiero e arbitro della guerra, che fu incominciata e finita a sua piena balia. E doveva essere così, finché si manteneva fedele alla Setta!
Egli intanto, sollevato all’apogeo del potere dalle scaltrite mene della rivoluzione cosmopolita, coll’aiuto, validissimo, dei troppo creduli Cattolici francesi, era il perno nel quale incentravasi la guerra alla Chiesa e le speranze delle Società segrete in generale, e della Giovane Italia in particolare. A corroborare la quale asserzione, che altri potrebbe dire esagerata e non conforme al vero, venne in buon punto una pubblicazione del signor Leone Pagés, comparsa non ha molto in Francia, nella quale é riportata una Memoria, sottoposta nel 1860 all’Imperatore Napoleone dal suo Ministro dei Culti, signor Rouland, che tracciava lo sciagurato disegno di guerra alla Chiosa Cattolica.
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Il quale disegno, seguito poscia pie o meno fedelmente, a seconda delle circostanze, dal Governo bonapartesco, e assunto oggi dagli uomini di Berlino e dai loro servi italiani, distruggerebbe ogni cosa cristiana, se Iddio, come vorrebbero credere i settarii, non ci fosse. E qui, a edificazione di ohi ci legge, citiamo il seguente brano dell’importante opuscolo del Pgès.
Il cesarismo pagano e il governo napoleonico
«Fino dai primodii dell’Impero, così egli, fu concepito
nelle alte sfere di Corte il progetto di riabilitare il Cesarismo pagano, screditato da Tacito e fatto crollare dalla tradizione cristiana. Si vagheggiò l’idea di farlo risorgere in Francia, e siccome il principale ostacolo sarebbe sorto nel Cristianesimo, ij quale aveva già rovesciato il Cesarismo antico, così non si ebbe ritegno di mirare alla distruzione della Religione cristiana. La guerra d’Italia e l’abbassamento della S. Sede furono parte di questa impresa singolare; ma non si tardò a riconoscere, che l’assunto era inanitàmente superiore a tutti i possibili sforzi. Ciò non ostante si persistè; al quale intendimento si risolvette di corrompere la pubblica opinione. Mezzo principale di azione prescelto fu la pubblicazione di una nuova Enciclopedia, che avrebbe dovuto diffondersi profusamente in Francia e in Europa. I signori Perèire ne avrebbero fatte le spese, il signor Duvevrier ne avrebbe sorvegliata la stampa, mentre un comitato direttore, di cui si sarebbero chiamati a far parte i membri di ciascuna sezione dell’Istituto di Francia, ne avrebbe fornito il materiale. Il comitato fu costituito, e deliberò: in una delle sue deliberazioni fu anzi risoluto, dietro proposta del signor di Sainte-Beuve (il famoso mangiatore di cibi di grasso in Venerdì Santo!) che la parola DIO non figurerebbe nell’Enciclopedia progettata; ma poi, essendo surti gravi dissidii, il Governo imperiale ebbe paura degli inconvenienti che avrebbero potuto nascere. Per conseguenza si rinunciò al progetto di pubblicare un’Enciclopedia; ma fu rispluto invece che ciascuno di coloro, i quali dovevano concorrere alla impresa, dovesse adoperarsi colle pubblicazioni, che riputasse più opportune, a raggiungere il ribaldo intento».
Così sono spiegate le immonde ed empie opere, venute in luce poco di poi, del Rénan, dell’About e di altri scrittori di simile risma: essi non furono se non se gli apostoli salariati dell’empietà e del pravo orgoglio imperiale, tva continuiamo a citare: «La maggior parte dei lettori non avrà certamente perduto la memoria di una circolare, che il Ministro dei Culti dell’Imperatore Napoleone, sig. Rouland, diramava ai Vescovi della Francia
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in occasione detta guerra d’Italia, che allora si andava ad imprendere. In questo suo Documento, affine di rendere favorevole alle imprese imperiali il Clero e le popolazioni francesi, quel Ministro faceva, a nome del suo Sovrano, larghissime promesse all’Episcopato, protestando l’assoluta devozione dell’Impero verso la Chiesa, e pigliando formale impegno, che la libertà, l’incremento e gl’interessi del Cattolicismo sarebbero con ogni zelo promòssi e rispettati. «Il Principe, scriveva tra le altre cose il Rouland, che diede alla Religione cotanti attestati di affetto e di devozione, che dopo i tristi giorni del 1848 ricondusse il S. Padre al Vaticano…. vuole, ohe il Capo Supremo della Chiesa venga rispettato in tatti i suoi diritti di Sovrano temporale.» (1)
Ad attenere le fatte promesse ed a mostrare quanta fosse la lealtà nelle sfere imperiali, lo stesso Ministro sottoponeva, pochi mesi dopo, cioè attuata la famosa Idea Napoleonica colla guerra d’Italia, un Memoriale al suo Sovrano, ohe ne approvò le proposte, e le volle, come in realtà furono, adottate a norma della futura condotta politica dell’Imparo.
A nulla gioverebbe di riportare per intero la prima parte di questo Documento, nella quale il degno Ministro espone le sue vedute ed opinioni intorno all’indole e alle tendenze del Cattolicismo e del Papato. Basterà dire, che sono accumulati nella medesima tutti quegli spropositi, tutte quelle empietà e nefandezze, che formano il fondò del sistema liberalesco il fatto di religione. Si faccia conto di avere sott’occhi un articolo degli odierni organi dell’ateismo, e si avrà una giusta idea del linguaggio adoperato e del criterio, onde fu mosso il Ministro dì Napoleone III nel giudicare e nel riassumere il carattere, la natura e lo scopo di una istituzione divina. Le menzogne e le calunnie non vi fanno difetto, né inferiore a quella dei peggiori nostri liberali si scorge l’invidia, suscitata dall’odio che covava nell’animo del fedelìssimo funzionario dell’Impero, nel vedere, come’egli stesso era costretto a confessare, che sul terreno della pubblica istruzione «all’elemento laicale era impossibile di lottare contro l’elemento religioso, per la ragione che quest’ultimo, in apparenza o in realtà, offre alla famiglia una maggior guarentigia di moralità e di spirito di sagrificio.» Questa semplice confessione, e il molto di più che essa rivelava, sarebbe bastato per mettere sulla buona via un Governo, al quale fosse stato realmente a cuore di vegliare al buon costume ed al vero bene del popolò ad esso affidato.
(1) Circolare ai Vescovi, del 4 Maggio 1859.
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Ma tale non era lo scopo dell’Impero rivoluzionario,e,piuttostochè la verità, strappata al Ministro dal disinganno, servirono ad esso di guida gli empii progetti che quest’ultimo faceva scaturire dalla calunnia, dalla menzogna e dal satanico odio contro la Religione.
Ecco pertanto, senza commenti, che non ne hanno bisogno, codeste proposte, accolte e sancite dall’Imperatore Napoleone, proposte che informarono tutta la condotta avvenire del Governo imperiale, e che ebbero a mano a mano la piena loro applicazione a quel modo che il carattere e le abitudini di quell’infelice Monarca comportavano, e, come il degno suo Ministro suggeriva, non già «apertamente e all’improvviso, perché ciò avrebbe avuto aspetto di persecuzione ed avrebbe suscitato una reazione» ma coll’ipocrisia e colla frode!
«Le misure da adottarsi, scriveva il Rouland, sono le seguenti: «1. Non tollerar più, a meno di bisogni locali perfettamente constatati, nessuna istallazione di Corporazioni religiose d’uomini, sia che si tratti di case conventuali, chiese, cappelle, sia d’istruzione pubblica ed opere di carità generale.
«2. Adoperare, d’ora in poi, la più grande severità nelle autorizzazioni delle Congregazioni di donne, le quali non dovrebbero essere accordate se non a fronte di irrecusabile necessità di carità pubblica e d’insegnamento primario.
«3. Per ciò che riguarda le Congregazioni autorizzate di uomini e di donne, ricondurre il Consiglio di Stato a una grande severità nel giudicare intorno ai doni, ai legati e alle liberalità che abbisognano d’autorizzazione.
«4. Mantenere il più che è possibile, senza violare la libertà di scelta dei Consigli Municipali, l’insegnamento laico primario». – A questo proposito il bravo Ministro fa osservare, che nelle scuole cattoliche non si fa quel conto che si dovrebbe dei famosi principj dell’89, e che nelle scuole laiche e governative soltanto si ode il grido di Viva l’Imperatore –
«5. Sostenere energicamente l’insegnamento dello Stato, e sussidiarlo in modo che possa estendersi e consolidarsi. –
«6. Tornare, per quanto si può, e senza spingere le cose all’estremo, all’esecuzione delle disposizioni organiche, le quali frappongono ostacolo allo sviluppo del potere del Papa sul Clero e sullo Stato; a tale uopo gioveranno le seguenti norme:
«Regolare le funzioni del Nunzio Pontificio in Francia come quelle di qualunque altro Ambasciatore, e non soffrire per nulla che esso corrisponda in nome del Papa coi Vescovi francesi, né
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che faccia verun atto di giurisdizione, né che abbia la minima influenza sulla scelta dei Vescovi.
«Dar prova della maggiore energia, affinché nessun atto della Corte di Roma possa essere pubblicato, ricevuto e distribuito in Francia, senza l’autorizzazione del Governo.
«Sopprimere a poco a poco la facoltà lasciata, da dieci anni, ai Vescovi di adunare periodicamente Concilii provinciali, senza la speciale autorizzazione del Governo.
«Scegliere risolutamente i Vescovi tra Ecclesiastici pii ed onorevoli bensì, ma conosciuti pel sincero loro attaccamento all’Imperatore ed alle istituzioni della Francia.
«Sopprimere i giornali religiosi».
Finalmente l’egregio Ministro napoleonico richiama la diffidenza del suo Sovrano sulle Associazioni religiose dei laici, come quella di S. Vincenzo di Paoli, (che fu soppressa effettivamente due anni dopo) quella di S. Francesco Saverio, ed altre, lamentando che esse si trovino nelle mani del Clero e del partito legittimista.
Questo Documento, del quale è indiscutibile l’autenticità, basta a porre in chiaro la scienza perversa dei Consiglieri dell’Impero, e la servile docilità del Sovrano nell’iniqua guerra contro la Chiesa, che cominciò in Francia nel 1860, e che non cessò se non quando ai ribaldi suoi iniziatori mancarono i mezzi di proseguirla.
Dichiarazioni settarie
Tali abbominevoli disegni, maneggiati nel mistero della Setta anticristiana, altro non erano se non che una più o meno pedantesca ripetizione delle sataniche trame dall’Apostata Giuliano alla vigilia della guerra Persiana. Ma quella fu la fine, mentre la guerra d’Italia è stata invece il principio della presente generale persecuzione della Chiesa. Gli arrecati Documenti lo dicono abbastanza; ma i fatti che narreremo lo proveranno fino alla evidenza. Il vero è che, in Francia come in Italia, la guerra alla Chiesa procedeva di pari passo con l’opera dello spodestamento dei Principi italiani, per detronizzare il Papa, e distruggere la divina istituzione del Papato; e si stringevano i nodi dell’alleanza Franco-Italiana, a mano a mano che si sviluppava l’azione settaria contro Roma. In Francia si procedeva posatamente, in Piemonte scapigliatamente; ma da per tutto con calcolo al grande scopo settario. Ora a mò di corollario raccogliamo alcune dichiarazioni autorevoli di autorevolissimi Settari, che serviranno di convincente chiusa a questo nostro sguardo alla rivoluzione italiana.
Mentre scrivevamo queste pagine (Decembre 1873) giungeva da Roma il deputato Cairoli, festeggiato dentro e fuori del Parlamento.
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Costui, il 19 di Giugno 1867, poco prima del furioso attentato contro Roma, dal quale Iddio benedetto ci ha prodigiosamente liberati, nell’Ottobre di quell’anno, doppiamente memorando e pel Centenario di S. Pietro e per la invasione garibaldina, in piena Camera dei Deputati, diceva: «Noi consideriamo il Papato come un pericolo; sì, lo consideriamo come un permanente attentato contro l’Italia…. Ma il Papato è una istituzione che ha profonde radici, e che non si abbatte coi colpi di fucile; lo so, ci vogliono anche i colpi delle idee…. Imperocché crediamo che il Papato, anche profugo da Roma, finché dominerà la superstizione fanatica delle masse, non rinunoierà all’audacia delle solite cospirazioni, esse ci sono provate dalle sue dichiarazioni di guerra, e da recenti anatemi contro la civiltà (1)». (Poteva dir chiaro contro la Frammassoneria; poiché il Papa non ha mai anatematizzato la vera civiltà, cui invece ha sempre promosso e benedetto). Ma si era già parlato chiaramente, molto prima di quest’epoca.
Il 5 Febbraio 1858, il patrono delle generose, Deputato Salvatore Morelli, diceva schietto così: «Io non m’illudo, io credo che chi é con la fede non è con la scienza, e chi é col Papa non é con la libertà…. Lo sappia il paese, lo sappiano le madri, lo sappia il mondo: il Catechismo cattolico, dato alla prima età, infatua e non illumina i loro figliuoli (2)».
Più schietto ancora era il famoso Petruccelli della Gattina, e l’istesso mese, in cui si proclamava Roma Capitale del così detto Regno d Italia, gridava nella Camera: «Il principio generale della rivoluzione Italiana é stato l’abolizione del Papato» (3). E il 20 di Luglio 1862 aveva svolto meglio il suo pensiero in questi termini: «A Roma non v’è la nazione, v’é una idea: questa idea si combatte con una idea opposta, della quale l’incarnagione è Garibaldi!… Questo pontefice del popolo, scaccerà il Pontefice di Cristo… Noi dobbiamo combattere la preponderanza cattolica nel mondo, comunque, con tutti i modi. Noi vediamo, che questo Cattolicismo é uno strumento di dissidio, di sventura, e dobbiamo distruggerlo…. La base granitica della fortuna politica d’Italia deve essere la guerra contro il Cattolicismo su tutta la superficie del mondo (4).
(1) Atti Uff. della Camera N. 209 pag. 818.
(2) Atti Uff. della Camera N. 624. pag. 246
(3) Atti Uff. della Camera N. 1076 pag. 4187.
(4) Atti Uff. della Camera N. 772. pag. 2094.
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E Giuseppe Ferrari: «Le raccomandazioni, diceva, che erano fatte dal Presidente del Consiglio Conte di Cavour di attenerci alla Religione cattolica, di essere sempre più religiosi nell’atto stesso che è da noi spogliato il Pontefice…. non sono conformi alle tradizioni della moderna civiltà Non con eccessi di devozione, non con dottrine teologiche; ma colle idee proclamate dalla Rivoluzione francese si può vincere la causa che diciamo di Roma. Questi principii sono quelli degli Enciclopedisti, di Rousseau, di Voltaire, dei liberi pensatori, e ci possono redimere dal Pontefice, perché riscattano la ragione (1)».
Gli Atti ufficiali della Camera subalpina su ciò ne offrono la più copiosa materia, e le affermazioni le più esplicite e chiare si confondono insieme con le più esecrande bestemmie: un’Assemblea di demonii non saprebbe dire niente di più infernale ed abbominevoìe. Di fatto il Miceli diceva: «L’abolizione dei Conventi e la soppressione del Clero, a noi nemico, è la rivoluzione grande, la rivoluzione italiana, la rivoluzione politica, che dobbiamo tutti volere, per abbattere il Papato, che circonda ed allaccia colle sue reti il mondo» (2).
E il Deputato Andreotti dichiarava: «Noi abbiamo bisogno di e una rivoluzione fatta a nome di tutti i culti contro il Culto Cattolico (3)» II deputato Macchi, trovando contraddizione tra il principio di Nazionalità e la Chiesa Cattolica Apostolica Romana (4), ne trae la conseguenza doversi abbattere il cattolicismo pel trionfo della Nazionalità! E il deputato Castiglia, protestava: «Il Cattolicismo, come sta, è il nostro nemico»……. «L’Italia preferisce al Cattolicismo il principio di camminare sempre innanzi (5)».
Si Deputato Crispi, il famoso Crispi, che ha fatto tanto parlare di sé in questi giorni col suo viaggio in Germania e col suo triplice matrimonio, affermava: «Il Cattolicismo, come ogni opera umana, ha fatto il suo tempo (6)». Giuseppe Ferrari nella sua Federazione Repubblicana, pag. 3. scriveva: «L’Europa ha dichiarato e intimato a Roma una guerra di religione né potremo avanzare di un passo senza rovesciare la croce». Il Diritto finalmente (giornale democratico, al giorno delle segrete cose della Frammassoneria, e per conseguenza del Governo italiano)
(1) Atti Uff. della Camera N 41. pag: 144 145.
(2) Atti Uff. della Camera N. 154. torn: 17 Febbr. 1866.
(3) Atti Uff. N. 300 tornata 3. Luglio 1867.
(4) Atti Uff. 12 Marzo 1863.
(5) Atti Uff. 12 Luglio 1867.
(6) Atti Uff. N. 518. anno 1867.
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con orribile bestemmia dichiarava francamente scopo finale della rivoluzione essere, il far prevalere le porte d’inferno!».
Dedichiamo queste satanesche dichiarazioni a quei dabben uomini, che insistono a dire, che la Rivoluzione Italiana non è poi la così malvagia cosa, e che a torto la Chiesa la condanna, e le persone timorate se ne allarmano.
A dir breve, con siffatti intendimenti, che sono appunto il programma ormai chiaramente confessato dal Governo italiano, che mai disdisse, né protestò contro alcuna delle succitate e mille altre simili proposizioni, s’intraprendeva, con l’aiuto potente di una Nazione vicina, e con le più scellerate arti di una setta cosmopolita, la guerra d’Italia, che non fu e non è altro, che guerra a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Ora, guidati da tale sicuro criterio, noi entreremo risolutamente nel non facile arringo, narrando i fatti di questa empia lotta, i quali, principiati con la guerra di Lombardia, continuarono con la invasione del Regno delle Due Sicilie e con la presa di Gaeta. Finché tolto al Papa l’ultimo baluardo e l’ultimo sincero Alleato, calpestato in piena pace ogni diritto e ogni legge, mascherando attentati i più mostruosamente violenti sotto lo specioso e ribaldo titolo di questione Romana, la Santa Sede si trovò in balia de’ suoi più fieri nemici: e, dopo dieci anni di penosa agonia, Roma soccombeva sotto le bombe parricide del Governo Piemontese; ma per risorgere a nuova e più rigogliosa vita, quando la società moderna, prostrata e umiliata sotto il peso delle sue iniquità, delle sue aberrazioni, ma più ancora dei meritati castighi, confesserà finalmente di aver peccato.
fonte
eleaml.org
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