PROF. GIUSEPPE GANGEMI SCRIVE AD ALDO CAZZULLO
Egregio dottore Aldo Cazzullo.
Leggo con piacere la sua rubrica sul Corriere della Sera nella quale risponde ai lettori. Amo la sua arguzia, la sua capacità di comunicazione, il suo stile di scrittura. Qualche volta non mi sono trovato d’accordo con Lei, soprattutto quando tratta il tema del modo in cui è stata costruita l’Unità d’Italia. Questo non ha mai diminuito la stima che ho per Lei, e non la diminuirà nemmeno adesso. Solo che questa volta, qualcosa mi ha disturbato e l’impulso mi ha spinto a scriverLe.
Le chiedo scusa se questa e-mail sarà lunga. Del resto, non voglio che le mie parole o una selezione di esse siano pubblicate sulla rubrica del Corriere. Quello che vorrei è tentare, senza approfittare troppo dei suoi impegni, di invitarla a una discussione privata. La considero eticamente necessaria per una grande lezione che, 50 anni fa, mi fece il mio professore di religione delle medie (al tempo studiavo in collegio, a Pesaro, pur essendo io Meridionale). Questo santo uomo, Padre Pietro Calvino Damiani, che aveva fondato una Casa del Fanciullo con 2.000 bambini ospitati, tutti profughi in fuga dalla guerra e dalla Dalmazia, un giorno volle spiegarci quale fosse la differenza tra l’ignoranza e l’inscienza. Nella sua semplice e pratica visione, ignorante è colui che deve sapere una cosa perché gli serve per la professione, ma non la sa. Mentre insciente è colui che non deve sapere una cosa che, anche se gli dovesse risultare utile, egli non la sa.
L’ignoranza non è assolutamente il suo caso e non mi soffermo. Mi limito a ricordare che padre Damiani non era molto tenero con gli ignoranti. Perdeva proprio la pazienza. Me ne accorsi quando mi interrogò dal banco e mi chiese qualcosa che io dovevo sapere e, invece, mostrai di non avere studiato. Mi lanciò addosso l’astuccio dei suoi occhiali, con gli occhiali dentro.
Con gli inscienti era comprensivo e caritatevole. Io questa lezione credo di averla appresa e di averla applicata nella mia vita di accademico (gli ultimi 30 anni ho insegnato all’Università di Padova). Da adulto, la stessa lezione l’ho ritrovata in un grande filosofo napoletano, Giambattista Vico, la cui filosofia è ancora continuamente fraintesa e stravolta perché le sue opere minori sono state definite, da Benedetto Croce e Giovanni Gentile, espressione della filosofia dell’umiltà. I due grandi filosofi sostengono che vale la pena di leggere solo la Scienza Nuova che è l’unica grande opera filosofica di Vico perché è l’unica che esprime la filosofia della superbia.
Mi permetta di dirlo, un grande errore di comprensione, da parte dei due grandi filosofi, sia dell’opera di Vico, sia della funzione della filosofia.
Nella sua prima importante orazione, il De Ratione, Vico spiega quale sia il compito dei “togati”, cioè di quanti di noi hanno avuto modo accedere agli studi e di trasformarsi in intellettuali. Essi parlano al popolo e lo influenzano notevolmente. Vico dice che devono avvicinarsi al modo di pensare e di ragionare del popolo, producendo così quella che è la dottrina civile, senza la quale nessuna nazione può reggere e si rischia la Seconda Barbarie, ben peggiore della prima (la calata dei Barbari).
I miei colleghi di Scienza Politica sostengono che questa scienza sia stata inventata da Nicolò Machiavelli, che poi è stata dimenticata e rifondata da Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Robert Michels. Io, nel libro che ho scritto su Vico, quattro anni fa, ho detto la mia fornendo una nuova visione delle varie rifondazioni della Scienza Politica.
La prima fondazione di questa scienza è dovuta al genio incommensurabile di Machiavelli, autore che ho amato moltissimo e amo ancora e che ho cominciato a leggere a 13 anni in un testo senza note. Machiavelli è il migliore autore che ci possa far capire cosa fare quando ci si trova in una posizione di Seconda Barbarie: abbandonare i paternostri, le preghiere e i profeti disarmati alla Savonarola; individuare i responsabili e farli fuori, senza pietà; governare come un leone e come una volpe, mentire, non rispettare la parola data, sempre però con l’attenzione di dare di sé fama di uomo grande e di ingegno eccellente. Senza quest’ultima capacità, la ricetta di Machiavelli è vana.
La seconda rifondazione della Scienza Politica o, meglio, una funzione complementare della Scienza Politica, utile quando si è lontani dal pericolo di una Seconda Barbarie, è dovuta al genio incommensurabile di Vico: costruire una dottrina civile per la nazione, dialogare avvicinandosi al modo di pensare della gente semplice, considerare sempre significativi i punti di vista del popolo. Non disprezzare mai quello che non nasce da scienza e conoscenza, ma nasce dall’insoddisfazione per la situazione esistente. Fare di questa insoddisfazione il problema centrale della politica. Solo così si potranno evitare la boria delle nazioni, la boria dei dotti e la boria di tante altre categorie che hanno saperi staccati dalla vita del popolo, perché questo distacco avvicina la Seconda Barbarie.
Vengo adesso al punto: Lei ha pubblicato sulla sua rubrica del Corriere della Sera quanto ha scritto il lettore Alfio Vasta, che non è certamente un “togato”, non ha la possibilità di parlare al popolo; la sua inscienza è innocua, non produrrà mai danni di alcun genere. Ha parlato di favola consolatoria neoborbonica, ma è insciente del fatto che viene attribuita a Giovanni Giolitti la franchezza di avere detto che tutto il Risorgimento italiano è stato raccontato con favole belle che è bene, per la nazione, non disvelare; ha detto che il moderno ed efficiente esercito borbonico si sciolse come neve al sole, ma è insciente del fatto che si sciolsero come neve al sole solo i comandanti e che la truppa si portò al Volturno per l’ultima battaglia facendo una lunga marcia dalla Calabria; ha detto che i Garibaldini erano 1.084, ma è insciente del fatto che alla fine risultarono, invece, 45.000; dice che si trattava di panettieri, falegnami, agricoltori, etc., ma è insciente del fatto che erano, per lo più, soldati della guerra del 1859 smobilitati e, quindi, esperti nell’arte di combattere (per non dire, poi, che erano armati con armi modernissime: fucili a canne rigate e formidabili revolver che sparavano sei colpi mentre il soldato borbonico ne poteva sparare solo uno); ha affermato con verità che i Borboni cannoneggiarono dal mare la popolazione insorta, almeno due volte, ma è insciente del fatto che lo fecero anche i Sabaudi, cannoneggiando la popolazione in fuga a Castellammare del Golfo (primi giorni di gennaio 1862), i cittadini di Palermo (Rivolta del Sette e Mezzo del 1866) e nel 1849 anche i cittadini di Genova in rivolta.
Chiudo con alcuni accenni alla Sua inscienza, che è, ai miei occhi, problematica in quanto Lei, secondo l’accezione di Vico, è un “togato”. Lei afferma: la rivalutazione del Borbone rappresenta il più gigantesco falso storico degli ultimi venti anni e cita Alessandro Barbero, Juri Bossuto, Carmine Pinto, ma è insciente del fatto che il libro di Juri Bossuto e Luca Costanzo è citato da Barbero per sostenere che partirono per Fenestrelle 1.200 prigionieri tra i quali ci furono 4 morti, ed è anche insciente nel fatto che, nel passo citato da Barbero (ha letto male visto che toglie 100 persone al numero dichiarato da Bossuto e Costanzo?), i due parlano di 1.300 prigionieri partiti per Fenestrelle (e già questo, siccome ne arrivarono solo 1.184, porterebbe i morti a 120); cita i 4 morti di Barbero, quelli che risultato dai fogli matricolari del Reggimento, ma è insciente del fatto che dal Registro della Parrocchia risulta un morto n. 5 (Barbero nel segnalare il fatto si arrampica sugli specchi per dire che esercito e chiesa collaboravano e, quindi, avendo denunciato il fatto la Parrocchia non era il caso di sottilizzare; solo che Barbero ha torto, se la Parrocchia segnala un morto che i militari non trascrivono sui loro registri, vuol dire che i militari hanno nascosto e che la Parrocchia li ha beccati nel farlo); cita Carmine Pinto e fa bene in quanto è ottimo storico, molto documentato, ma è insciente del fatto che Salvatore Lupo nel numero di Meridiana dedicato al Centocinquantenario (numero che ospita anche un saggio di Pinto), nella tavola rotonda pubblicata nel numero, sostiene che Pinto studia solo un triangolo di Campania e ignora la Sicilia (cosa che lo porta a ignorare Il Gattopardo, ma soprattutto il genio assoluto di Leonardo Sciascia che ha dedicato cinque stupendi saggi al Risorgimento in Sicilia); Lei dichiara che discutere con i neoborbonici, non è difficile, è inutile, ma è insciente del fatto che così dicendo Lei si rivela solo Machiavellico, cioè convinto che si sia in una situazione di Seconda Barbarie (la inviterei a essere più Vichiano perché di discutere abbiamo sempre bisogno).
Come, tuttavia, discutere? Le invio la mia modesta proposta: ho letto più documenti su Fenestrelle di qualsiasi altro storico; ho pubblicato un libro (In Punta di Baionetta) in cui stimo, sull’esclusiva base dei Fogli Matricolari, in circa 17.000 soldati napoletani i morti nascosti nell’Archivio di Stato di Torino. Se lei mi fornisce un indirizzo postale, le invierò a stretto giro di posta una copia di questo libro e, poi, se vorrà ne discuteremo.
Come dico sempre a ogni inizio di discussione, nel presentare il mio metodo (ho insegnato Metodologia per 40 anni): sono un praticante della Metodologia della peace research, ma non sono un missionario, non ho l’obbligo di convertire tutti; sento solo la necessità di esprimere la mia testimonianza; se a qualcuno o a tutti non interessa, amici come prima; a me basta la buona coscienza di avere fatto il mio dovere di “togato” che cerca dialogo e confronto con altri “togati”.
Grazie dell’attenzione e mi scuso ancora per la lunghezza.
16 novembre 2023
letterealdocazzullo@corriere.it
Giuseppe Gangemi
continua…..
Caro prof Gangemi, dalle mie partivsibdice: ” A lavà a cap’ o ciuccio se perd’ acqua e sapon’..”
( senza offesa per il nobile – e intelligente, animale)
Lezione di garbo, di stile, di metodologia e, non da ultimo, di Storia!
Temo però che si debba citare il passo evangelico (Natteo 7:6): per fortuna la lettera non è stata inviata al solo destinatario , ma è stata condivisa su questo sito!
L’ilare Barbero è proprio adatto ad una televisione d’intrattenimento ma non certo di approfondimento… caterina
Che lezione di garbo! Che modo di far capire come presentare la “scienza”!
Complimenti per l’esposizione e per il certosino lavoro di ricerca.