RIBELLI E BRIGANTI (VI)
I PRIMI SUCCESSI DEGLI INSORTI LUCANI
La rotta subita dai francesi a Maida ha immediate ripercussioni nei paesi in cui opera, emissario del Viggiani, Donato Micucci. L’8 luglio l’ex alfiere borbonico si reca a Sarconi. Ha un rapido incontro con Carlo de Mauro, antico capomassa al seguito di Sciarpa nel 1799.
Assicuratosi che questi, con i figlioli Ciro, Michele e Nicola, s’avevano già procurate le armi per fare una seconda rivoluzione, il Micucci convoca i notabili locali e comunica loro, che le armate francesi, battute dagli inglesi, sono in rotta, che la Calabria e tutti i paesi del versante lucano del Pollino sono in armi e che Francesco di Borbone è tra gli insorti per guidarli alla riconquista del Regno. Alla riunione dei notabili segue una manifestazione antifrancese cui partecipa l’intera popolazione di questo piccolo centro abitato. Nello stesso giorno, dopo aver dichiarato decaduto il governo francese e ripristinata l’autorità della dinastia borbonica, il sindaco Nicola Lattaro e Nicola di Mauro, commissionati dal Popolo di Sarconi si recano oltre Lagonegro per incontrarsi nei pressi di Maratea con emissari borbonici dai quali ottengono incoraggiamenti, armi, danaro e promesse. Da Sarconi, ormai borbonica, il Micucci si reca sul Raparo dove sono le bande che qualche giorno prima hanno assalito Carbone e, assumendone il comando e il controllo affida loro il compito di raggiungere paesi delle valli del Sinni e dell’Agri dove il movimento antifrancese ha già i suoi agenti. Gli ottocento uomini raccolti sul Raparo vengono distribuiti in più colonne. Alcune scendono a Castelsaraceno, altre, lungo il Cogliandrino, s dirigono verso Lauria dove un reparto francese controlla ancora la situazione nonostante Giuseppe Pesce abbia già organizzato un centro insurrezionale a Laura Inferiore. Accolti favorevolmente dalla popolazione di Lauria, il 13 luglio gli insorgenti – preciserà il giudice Lombardi nella relazione da lui redatta nel gennaio del 1807 sui fatti di Lauria – assalirono il Comandante francese che con trenta uomini era in guarnigione, lo fugarono verso Rivello e pochi suoi soldati rinchiusero in prigione. Padroni della situazione, gli insorti controllano ormai la zona e il giorno successivo affrontano un reparto polacco che si ritira dalla Calabria: di questi – preciserà il giudice Lombardi – molti fecero prigionieri e molti ne uccisero. Ed accolgono poi la colonna calabrese del Necco che vi giunge il 18 luglio.
A Castelsaraceno, dove notabili e popolani hanno accolto gli insorti scesi dal Raparo manifestando la loro avversione ai francesi, le bande si dividono ancora, alcune per dirigersi nella valle del Sinni, altre in quella dell’Agri. Le prime si portano a San Chirico Raparo dove i Magaldi, noti come antichi giacobini ed amici dei francesi, hanno abbandonato il paese agli insorti. Da San Chirico, dopo aver riportato al dominio borbonico Episcopia, raggiungono Roccanova dove contano su Fabrizio di Pietro il quale, già agente del Rusciani, mantiene ora contatti col Micucci. Da Roccanova, insorta contro i francesi, partono uomini per controllare gli insorti di Castronuovo, l’attuale Castronuovo SantAndrea, e quelli di Santarcangelo che hanno già innalzato i vessilli borbonici.
Mentre l’insurrezione si estende in tutti i centri della valle del Sinni che accolgono emissari provenienti dalla pianura jonica e dai paesi della valle del Sarmento, da Castelsaraceno partono uomini armati diretti a San Martino d’Agri per unirsi alle forze del Viggiani, che il 15 luglio hanno riguadagnato all’obbedienza borbonica Corleto Perticara, e dirigersi poi verso l’insorta Laurenzana per controllare la valle del Serrapotamo. A rincorare gli animi giunge la notizia nei paesi dalla Lata al Pollino che i ribelli hanno occupato Lagonegro e che è insorta anche Montemurro dove Domenico e Pasquale Robilotta compiono ogni sforzo per accrescere i nemici dei frances. A contribuire alla diffusione del movimento insurrezionale in tutti i paesi della Basilicata dalla Lata al Pollino sono le notizie che il generale Vernier non è più in grado di far fronte alle forze realiste ormai padrone della costa jonica della Basilicata.
Lo sbarco degli insorti calabresi alla foce del Canna nord di Cassano minaccia infatti seriamente il generale Vernier: egli teme di essere accerchiato e, anziché attendere nella Piana di Sibari le truppe del generale Reynier che non sono riuscite a mantenere il marchesato, risale verso Oriolo. Egli conta di fermarsi a Rocca Imperiale per tentare di arginare la rotta francese. Ma respinto dagli insorti che, risalito il Canna hanno occupato l’omonimo centro abitato e puntano verso Oriolo, il Vernier riesce ad evitare l’attacco e, rinunciando a Rocca Imperiale, paese ancora fedele ai francesi, si ritira verso Matera evitando, però, i centri abitati che hanno già innalzato il vessillo borbonico.
La notizia della ritirata del Vernier ha notevoli ripercussioni in tutti i paesi della Basilicata sud orientale: Francesco Pannarese, un ricco proprietario terriero e fedele suddito dei Borboni al cui servizio si era distinto nel 1799, ha assunto il comando degli
insorti che hanno costretto il Vernier ad abbandonare Oriolo e, spintosi oltre la Pietra di Roseto, minaccia seriamente Rocca Imperiale, l’unico centro della costa jonica a sud del Sinni dove non è stato ancora possibile innalzare il vessillo borbonico. È convinzione generale che i francesi stiano per abbandonare il paese e lo conferma, tra gli altri, un merciaiuolo pugliese, tal Vincenzo Celano di Capurso in Terra di Bari, il quale, presentandosi come antico gregario del cardinale Ruffo, girando per la provincia di Matera allarma e semina massime contrarie all’attuale governo annunziando la rotta dei francesi e i successi degli insorti calabresi.
La situazione precipita: la stessa Matera è minacciata. Il comandante militare dispone la leva a stormo di tutta la gioventù della Provincia e con gli uomini accorsi da Picerno e da Avigliano cerca di contenere il moto che minaccia di estendersi ovunque. Mentre su richiesta del Pignatelli da Trani vengono inviati reparti della Milizia provinciale nella zona di Venosa e di Montemilone minacciate da bande armate che non sembrano avere rapporti con il movimento insurrezionale, dai paesi del Vulture giungono notizie poco rassicuranti: a Melfi i fratelli Leopoldo e Raffaele Palumbo hanno promosso manifestazioni antifrancesi e a Rionero in Vulture preoccupa seriamente la condotta di Savino Valenzano, di Raffaele e Francesco Catena, dei fratelli Anastasia, dei fratelli Italiano e di altri galantuomini e civili manifestamente antifrancesi. Nell’impossibilità di inviare armati nel Melfese, da Matera si richiede l’intervento del preside dell’Udienza di Capitanata il quale provvede ad inviare a Melfi soldati della sua Milizia Provinciale.
L’ottimismo è ormai scomparso: l’insurrection a éclaté sur la frontière de la Calabre Citerieure et de la Basilicata – comunica il Pignatelli il 13 luglio al capo dello Stato Maggiore Generale – Il parait que Cenne est le cheflieu de l’insurrection qui s’est ètendue jusqu’à la Rocca Imperiale.