Rodi sogna un nuovo Colosso
“Dobbiamo ravvivare il mito.” Georges Hatzimarkos, prefetto del Dodecaneso, lo afferma senza ambagi : egli è per la ricostruzione del Colosso di Rodi. Questo gigante bronzeo, classificato tra le Sette Meraviglie del mondo, eretto all’ingresso del principale porto dell’isola, nel 295 a. C., terminato due anni più tardi e caduto al momento del sisma del 227, potrebbe dunque risuscitare, rilanciando l’economia locale.
Dopo aver morso il freno, per quattro anni, nell’opposizione come presidente della camera di commercio, Georges Htzimarkos deplora la mancanza di audacia e le reticenze della comunità scientifica non appena si tocca l’Antichità “Si trova l’idea inutile e troppo cara. Peò occorre a Rodi qualcosa che renda omaggio al passato facendo il ponte con il presente, spiega egli. Apriremo il fascicolo, sin dalla mia presa di funzione, agli inizi di settembre.”
Come tutta l’isola, la città di Rodi, situata alla punta nord, inscritta sulla lista del patrimonio mondiale dall’Unesco dal 1988, vive del suo milione di turisti annuale. Il suo sindaco, Fotis Hatzidiakos si dchiara dunque ugualmente favorevole, ma con delle sfumature.Dove trovare il danaro ? Sono sollecitate le isituzioni culturai internazionali.Lee Minaidis, segretaria generale aggiunta dell’Organizzazione delle città del patrimonio mondiale, segue attentamente il fascicolo. Ella attende un progetto concreto. Non è stato ancora lanciato alcun concorso. Tuttavia, quattro candidati, architetti e scultori, tra cui un americano e un europeo, i cui nomi non sono stati divulgati, sono venuti sul posto e hanno proposto dei bozzetti.
L’altro problema è che non si sa a cosa il Colosso somigliava, Le discussioni sono tanto vane quanto infinite per sapere se esso fosse nudo o se portava una tunica, se teneva una spada, un arco o una lancia, uno specchio o una torcia. “La letteratura scientifica attuale veicola una quantità di versioni differenti,di cui nessuna può tuttavia essere tenuta per completa ed esatta”,avverte Nathan Badoud, ex membro straniero della Scuola francese di Atene e ricercatore all’università di Oxford. Le più recenti ricostituzioni perpetuano una iconografia ereditata dal Medio Evo e dal Rinascimento, senza rapporto con il tipo statuario a cui si riallacciava il monumento.”
Tutto al più si è data questa descrizione, nel 2011, all’Accademia delle iscrizioni e delle belle lettere : testa in oro, petto e braccia in argento, ventre e cosce in bronzo, parte inferiore delle gambe in ferro, piedi in argilla bardata di ferro. In realtà, il Colosso,alto ben 32 metri, pesante almeno 150 tonnellate, raffigurante Elios, il dio del sole, si accordava ad un pilastro scintillante, sormontato da una testa raggiante. Ciò si vede su minuscoli timbri di anfore rodie coniate tra il 235 e il 198 prima della nostra era.
Infine, ultima difficoltà, dove si trovava questo capolavoro per il quale il suo creatore, il bronzista Carete di Lindo, si rovinò e vi lasciò la vita ? Scavalcava il porto come si è cominciato ad immaginare nel XIV secolo ? Si trovava più in altezza (ipotesi tedesca), in prossimità del tempio di Atena, le cui rovine dominano i 125 ettari protetti, ancora troppo poco scavati ? Ovvero, più verosimilmente, al posto del palazzo medioevale costruito dai cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme come avamposto contro i Turchi. Questo edificio è, anch’esso, scomparso nel 1856 al momento dell’eplosione di una polveriera. Ciò che si conosce oggi non è che un simulacro realizzato dagli occupanti italiani, dal 1912 al 1943, per servre di residenza per vacanze a Mussolini.
Fotis Hatzidiakos pensava di investire un’isoletta deserta, a due miglia nautiche del porto, per “una semplice evocazione armoniosa, un equilibrio sottile tra archeologia e creazione, tra economia e cultura”.Questo segnale sarebbe illuminato da lasers. Un ristorante si aprirebbe ai suoi piedi. Sarebbe un nuovo polo di attrazione, con un piccolo museo pedagogico.Qualunque cosa sia, rassicura egli, spetterà agli archeologi decidere. Se essi si oppongono,non si farà niente. Così il Colosso è, a Rodi, l’oggetto di discussioni infiammate. Benché invisibile, lo si rintraccia sui tee-shirts, sui portachiavi, sui saponi ed anche sulle palle da neve delle innumerevoli botteghe di ricordi. Il mito continua a suscitare un impressionante e molto lucrativo fascino. “Un inglese mi ha detto che era desolato ad aver passato tutte le sue vacanze nel sud dell’isola e che rimpiangeva di aver così mancato la visita del Colosso !”, testimonia Maria Michalaki Kollia. Questa archeologa in capo di Rodi ,appena andata in pensione, si rattrista nel veder quanto, per contrasto, i mezzi mancano per la ricerca e per il patrimonio, dopo la crisi.
Lei sogna un Norman Foster o un Ieoh Ming Pei che verrebbe alla riscossa a costruire uno spazio didattico. Soprattutto, rimpiange di non poter scavare sotto il palazzo.”Un suolo di marmo, menzionato da Filone di Bisanzio (il retore e non l’ingegnere, n. d. r.) verso il V secolo dopo Gesù Cristo, sarebbe stato notato dagli italiani.Esso si troverebbe sotto la torre nord-ovest. Peraltro, noi presentiamo al Museo archeologico una testa di Helios messa in luce sul posto.Certamente essa ornava il frontone del tempio che dominava il Colosso. E’ la migliore rappresentazione di quello che è potuto essere.”
Questo Helios, personificazione dell’astro, mezzo Apollo, mezzo Alessandro, proteggeva l’isola. Esso era stato probabilmente fabbricato a pezzi da due a tre metri nelle due fosse di una bottega, la più importante di tutta la Grecia, localizzata nel 1970 in prossimità dell’acropoli. Esistono sempre delle tracce nel parking di un immobile della strada Diagoridon. Nel 304 a.C. i rodii erano usciti vincitori da un assedio di un anno condotto da Demetrio il Macedone. Questo comandante era equipaggiato di macchine da guerra come l’elèpoli, una torre d’assalto mobile, di 118 tonnellate, bardata di ferro sui suoi nove ripiani. Secondo Plinio il Vecchio, i rodii riuscirono ad accumulare la somma necessaria all’edificazione del Colosso vendendo questo materiale abbandonato sul posto.
Celebrando Helios, divinità tutelare dell’isola , essi proteggevano il loro suolo e la loro capitale fiorente e cosmopolita. Rodi poteva allora essere considerata l’Atene del sud del Mar Egeo. I suoi 80.000 abitanti vivevano nella prima cornice urbana strutturata a scacchiera, con spianate fino alla riva. Essi disponevano di necropoli, riscoperte nel 1989, di uno stadio da 30.000 spettatori, di un odeon, di una biblioteca, di un ginnasio e di parecchi templi. Dopo il terribile sisma del 227 a. C., che aveva buttato giù questo colosso di bronzo, dai piedi d’argilla., i rodii avevano rinunciato per sempre a ricostruire il loro gigante, affermando che glielo proibiva un oracolo. Le rovine erano state lasciate sul posto fino a quando, nove secoli più tardi, precisamente nel 653, degli arabi le rubano al momento di un raid mirando a quello che era divenuto un importante arcivescovado. Un ebreo di Emesa (l’odierna Homs) avrebbe poi ricomprato il bronzo, l’avrebbe portato via con una carovana formata da novecento cammelli… Era già nata la leggenda. Salvador Dalì ne ha fatto un quadro, Sergio Leone un peplum. E il Colosso, simbolo del modernismo e della libertà, ha ispirato lo scultore francese Frédéric Auguste Bartholdi per la sua statua in bronzo della “ Libertà che illumina il mondo”, alta m. 43, dominante il porto di New York Essa, scolpita nel 1886, è installata a duecento chilometri dallo Stato di… Rhode Island.
Alfredo Saccoccio