SAN LEUCIO, UN SOGNO REALIZZATO
(notizie tratte da “Le industrie del Regno di Napoli” , Napoli, Edizioni Grimaldi, 2002).
“Rivolsi dunque altrove le mie mire e pensai di ridurre quella Popolazione, che sempre più aumenta, utile allo Stato, utile alle famiglie ed utile finalmente ad ogni individuo di esse in particolare […].
Utile allo Stato, introducendo una manifattura di sete grezze e lavorate di diverse specie finora qui poco o malamente conosciute, procurando di ridurle alla migliore perfezione possibile,e tale da poter servir di modello ad altre più grandi.
Utile alle famiglie, alleviandole de’ pesi che ora soffrono e portandole ad uno stato da potersi mantener con agio […] togliendosi loro ogni motivo di lusso con l’uguaglianza e semplicità di vestire; e dandosi a’ loro figli fin dalla fanciullezza mezzo da lucrar col travaglio per essi e per tutta la famiglia, del pane da potersi mantenere con comodo e polizia” (1).
Sono le parole usate nel 1789 da Ferdinando IV di Borbone per introdurre le regole per la manifattura e la colonia di San Leucio, presso Caserta, luogo “ameno e separato dal rumore della Corte”.
Il progetto era già stato avviato circa quindici anni prima, dopo il completamento di quello vanvitelliano della reggia e delle sue adiacenze voluto da Carlo di Borbone.
“Avendo pertanto nell’anno 1773 fatto murare il
bosco,nel recinto del quale eravi la vigna, e l’antico Casino de’
Principi di Caserta, chiamato di Belvedere, in un’eminenza feci
fabbricare un piccolissimo Casino per mio comodo nell’andarvi a caccia.
Feci anche accomodare un’antica e mezzo diruta casetta ed altra nuova costruire […].
Nell’anno 1776 il Salone di detto antico Casino fu ridotto a Chiesa,
eretta in Parrocchia per quegli abitanti cresciuti al numero di altre
famiglie diciassette, per cui mi convenne ampliare le abitazioni come
feci anche della mia.
Ampliato che fu il Casino incominciai ad
andarci ad abitare e passarci l’inverno: ma avendo avuto la disgrazia di
perdere il mio primogenito e per questa ragione più non andandoci ad
abitare, stimai quell’abitazione farne altro più utile uso…” (2).
Per “l’utile dello Stato e delle famiglie”, quindi, si progetta la manifattura delle sete e l’istituzione di una comunità sorprendentemente “socialista” (nel senso solo etimologico del termine), per la quale si prevedono case (“con tutto ciò che è necessario pe’ comodi della vita”), scuole, parrocchia, organi di governo e elezioni, diritti e doveri, modalità di assunzione per gli “artisti esteri”, orari di lavoro, fino alle modalità per i matrimoni e le promesse di matrimonio (nel giorno della Pentecoste i fidanzati si sarebbero scambiati mazzetti di rose “bianche per gli uomini e di colore naturale per le donne”, che avrebbero portato “in petto sino alla sera” quando, con i genitori, si sarebbero recati davanti al parroco) (3).
Erano previste anche norme morali che regolamentavano il rapporto uomo-donna in una “società coniugale di cui capo è l’uomo” ma in cui “ogni marito non doveva tiranneggiare mai la sua moglie nè esserle ingiusto” (4).
Altre norme per così dire “liberiste” permettevano a chiunque lo volesse di “aprire liberamente forni, macelli, cantine e ogni altra bottega di commestibili” ma con gli? obblighi di “vendere a giusto prezzo” e di far sottoporre periodicamente a controlli la qualità delle merci vendute (5).
L’importanza di San Leucio dal punto di vista sociale,
economico, politico e culturale fu colta dai contemporanei, come si può
diffusamente rilevare nelle cronache dei tanti viaggiatori stranieri che
visitavano il Regno in quegli anni (6).
Fu anche pubblicata una
raccolta con poesie in italiano, latino, greco, francese e napoletano,
che esaltavano l’opera del re (la stessa raccolta includeva una poesia
della famosa Eleonora Pimentel de Fonseca, che dopo qualche
anno,evidentemente,cambiò le sue idee politiche diventando una
protagonista dei fatti del 1799) (7).
La differenza sostanziale tra l’idea di San Leucio e tutte le altre idee più o meno illuministiche, anteriori e successive, era una e non certo di poco conto: fu realizzata.
E ancora oggi quelle case le possiamo visitare e qualche setificio è ancora attivo. Questo giustifica in qualche modo l’atteggiamento che la storiografia ufficiale mostrò e spesso ancora dimostra di fronte a questo caso per certi versi “imbarazzante” e in netto contrasto con l’immagine riduttiva e consueta del re che aveva voluto San Leucio per uno svago personale.
Ma mettendo da parte le “utopie realizzate” di Ferdinando di Borbone,è utile spendere qualche parola per la storia delle seterie di San Leucio, sotto l’aspetto tecnico-produttivo-industriale.
Una fabbrica che rispondesse alle esigenze del mercato, per evitare di ricomprare dall’estero a prezzo triplicato o quadruplicato quel “terzo del milione di libbre di seta grezza che il Reame produceva”,era sentita come un’esigenza forte anche durante il governo di Carlo di Borbone, che cercò di promuovere senza grande successo la nascita di una manifattura presso San Carlo alle Mortelle nella capitale (8).
La gestione dal 1798 non fu più diretta (sotto il controllo dell’intendente di Caserta e di un’amministratore delegato oltre che dello stesso sovrano che spesso si era rivelato un attento e scrupoloso ispettore) e fu appaltata a terzi o agli operai stessi per le principali operazioni della lavorazione (9).
Anche se sono poche le notizie relative alle prime produzioni, è certo che si rifornivano presso la fabbrica la famiglia reale e tutte le famiglie più importanti del Regno acquistando tessuti per abbigliamento e per arredamento: damaschi, rasi, velluti, broccati a righe, racemi, nastri o festoni, seguendo le mode del tempo (10).
Successivamente, verso il 1860, la Real Fabbrica di tessuti di seta possedeva 114 bacinelle a vapore , 9 filatoi, diversi incannatoi di seta grezza, una tintoria con tre grandi caldaie, diversi orditoi con la capacità di corrispondere ai bisogni di oltre 150 telai in opera, 130 telai per le sete, 80 per i cotoni.600 i lavoranti nella comunità: il ciclo produttivo era completo e andava dall’allevamento del baco da seta ad un prodotto finito che per la qualità delle trame e dei disegni fu apprezzato in tutto il mondo e presso le più grandi corti europee, dove lo si può ammirare ancora oggi (11).
Alcuni antichi setifici sono stati restaurati e altri ancora sono da restaurare e con essi telai, strumenti e oggetti vari delle storiche produzioni seriche leuciane. Una maggiore valorizzazione di tutto il sito potrebbe essere fondamentale anche per le seterie ancora attive, non numerose ma in grado di esportare prodotti ancora apprezzati soprattutto all’estero per la loro tradizionale qualità.
NOTE
(1) Ferdinando IV di
Borbone, Origine della Popolazione di San Leucio,e suoi progressi fino
al giorno d’oggi colle leggi corrispondenti al buon Governo di essa,
Napoli, Reale Stamperia,1789, rist.1816, introduzione (contiene lo
Statuto di San Leucio, redatto personalmente dal sovrano).
(2) Ibid.
(3) Ivi, art.III “De’ Matrimonii”.
(4) Ivi, art.IV “Degli sposi”.
(5) Ivi, art.XIV “De’ Seniori del Popolo, Tempo di eligerli? e loro doveri” (i “seniori” dovevano essere cinque, da scegliersi tra “i più savi, giusti, intesi e prudenti”).
(6)? Cfr. E.Craven, Memoirs on theMagravineof Anspach, formerly Lady Craven, trad.it. Ritratto di Ferdinando IV, in S. Di Giacomo, Lettere di Ferdinando IV alla duchessa di? Floridia 1820-1824, Milano, 1914; A. Dumas, Viaggio da Napoli a Roma, Napoli, 1863; J.W.Goethe, Viaggio in Italia, Firenze, 1948; L. Fernandez de Moratin, Viaje de Italia, in Obras postumas, Madrid, 1867-1868. Su San Leucio cfr. anche G.Tescione, Dalla Stefania al Belvedere di San Leucio, Napoli, 1938; F. Patturelli, Caserta e San Leucio, Napoli, 1972; P. Giusti, San Leucio, in Storia e civiltà della Campania. Il Settecento, Napoli, 1994.
(7) Si tratta del sonetto
“Cinto Alessandro la superba fronte” composto per Ferdinando IV di
Borbone che “novello Numa nuove leggi detta”. Eleonora de Fonseca
Pimentel era? responsabile del Monitore Napoletano, giornale
rivoluzionario: tra i celebrati protagonisti dei fatti del 1799 a
Napoli, fu giustiziata dopo la caduta della Repubblica Partenopea.
Collaborò con il governo franco-giacobino e fu tra i giacobini che
cannoneggiarono la città di Napoli da Castel Sant’Elmo mentre il popolo
veniva massacrato dall’esercito francese (21-23 gennaio 1799, 8000 circa
i morti di parte napoletana, cristiana e borbonica). Sull’argomento
cfr. G. De Crescenzo, L’altro 1799. I fatti, Napoli, 1999; M. Giordano,
Contro-informazione sulla rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, 1999;
M. Di Giovine, 1799 rivoluzione contro Napoli, Napoli, 1999.
Il
testo della de Fonseca era inserito nei Componimenti poetici per le
leggi date alla nuova popolazione di Santo Leucio da Ferdinando IV, Re
delle Due Sicilie, Napoli, Stamperia Reale, 1789, a cura di Domenico
Cosmi (raccolta di poesie in italiano, latino,?greco, francese e
napoletano, che esaltavano Ferdinando e Maria? Carolina).
(8)Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie, dedicatoa Sua Maestà Francesco I, Napoli, 1829-1832, pp.86 e sgg.
(9) P. Giusti, cit., pp. 153-154.
(10) Ibid.
(11) G. Tescione, L’arte della seta a Napoli e la colonia di San
Leucio, Napoli, 1932, pp.225,226. Due nobili napoletani (Luigi Carafa
dei Duchi di noja e Michele Lucente)
introdussero per primi nella
Prima Calabria Ulteriore i bachi da seta tardivi detti di Siria. Il
botanico Guglielmo Gasparrini, invece, “imprese a rendere comune il baco
da seta cinese, razza che distinguesi dalla nostra per la picciolezza e
la bianchezza del suo corpo, fa mute più brevi e nella formazione del
bozzolo precede i nostri bachi di quindi giorni circa s? che in una
stagione puoi avere due levate” (Annali Civili del Regno delle Due
Sicilie, febbraio-maggio 1833, pp.76,77).