Stele ai parà tedeschi e caso Moro: la normalità che non esiste
Per colpa di una stele collocata e poi rimossa nel breve volgere di poche ore, Cassino è assurta agli onori delle cronache nazionali. Bisogna subito dire una cosa con la massima chiarezza: è stato un gran pasticcio che si sarebbe potuto e dovuto evitare. Autorizzazioni che mancano, inviti che si perdono nell’aere e una nutrita delegazione fatta venire dalla Germania che torna a casa con un pensiero bene impresso nella mente: “questi qui sono pazzi da legare”.
Detto ciò è bene, però, rimettere la barra del timone a dritta.
O, per lo meno, cercare di farlo. Cosa non proprio agevole visto quel gran polverone che è stato sollevato. Ho letto in questi giorni di tutto e di più. C’è chi ha iniziato a dire che i morti non sono tutti uguali, lasciando intendere che i crucchi tedeschi caduti nella battaglia di Cassino sono morti di serie B rispetto a quelli dell’esercito alleato venuto in Italia per combattere il nazi-fascismo. E per tale motivo sarebbe il caso che nelle commemorazioni occupassero sempre e comunque un posto di secondo piano. O, forse, meglio ancora sarebbe che tali cerimonie non si facessero proprio. Come vorrebbero i ringhiosi molossi dell’Anpi. Alla faccia della riconciliazione.
Senza scomodare i principi fondanti della nostra religione che non conosce differenziazione tra chi è passato a miglior vita ed anche per sdrammatizzare un po’, voglio consigliare a chi tanto in questi giorni ha sbandierato ai quattro venti tale principio aberrante, la lettura di quel capolavoro che è la poesia ‘a livella del principe Antonio De Curtis, in arte Totò.
Chissà se la straordinaria ironia dell’inimitabile genio tutto napoletano riuscirà a sclafire la dura corazza dei nostri irreprensibili censori. Qualcun altro poi è andato addirittura oltre avventurandosi lungo un sentiero impervio e sconnesso che, se non conosciuto a sufficienza, fa rischiare all’avventato viandante un rovinoso capitombolo. Stiamo parlando del “revisionismo storico” che a detta di un emergente esponente politico del territorio, approdato ad aurei lidi dopo anni di faticosa scuola di partito, avrebbe avviluppato con il suo soffocante cappio l’intera vicenda. Ma la gentile signorina sa di che cosa si parla? Ha letto per caso il testo di quella stele? Mi auguro di no, altrimenti ci sarebbe da preoccuparsi.
Ed allora voglio farle un regalo e glielo trascrivo affinché possa prenderne nota: “In quest’area c’è la grotta di Foltin ed il sito dell’Hotel Excelsior; durante la battaglia di Cassino, da Gennaio a Maggio 1944, fu teatro di aspri combattimenti”. Questo è tutto. Anzi no perché quelle poche righe sono tradotte anche in tedesco ed in inglese. E allora la domanda è: ma che c’azzecca il revisionismo? Vogliamo per caso mettere in discussione che in quei terribili mesi della prima metà del 1944 a Cassino e dintorni si sia combattuta una battaglia terribile ed aspra che ha provocato tanti caduti sull’uno e sull’altro fronte?
E che cosa va a “revisionare” quella semplice scritta? Ma la nostra, con fiero cipiglio, afferma perentoria: “Non c’è spazio nella nostra democrazia per un revisionismo storico che fa a pezzi e umilia il nostro passato”. Ma stiamo davvero vedendo la stessa partita oppure siamo sintonizzati su canali diversi?
Ho paura di sì. Oppure c’è un’altra spiegazione: la sbornia elettorale continua ancora a riverberare i suoi effetti impedendo di avere una chiara visione delle cose. Qualcun altro, poi, che evidentemente non vive il territorio o non lo conosce troppo bene, è andato ancora più in là, ipotizzando il pericolo, qualora si fosse lasciata in piedi la stele di Cassino con tanto di paracadute e la scritta in tre lingue definita “ambigua” (???), che una qualsiasi associazione di reduci marocchini possa venire da noi e proporre una riconciliazione per l’abominio delle “marocchinate” magari innalzando un monumento, con tanto di scimitarra e turbante, aggiungo io. Ebbene mi dispiace contraddirti, caro collega, ma una cosa del genere esiste già. Basta recarsi a Pontecorvo, in località S. Esdra, per trovare una stele dove sono ricordati 175 soldati marocchini caduti “combattendo valorosamente”, così come è scritto in francese sulla lapide.
Dove per valore, ovviamente, si intendono gli stupri e le violenze su uomini e donne consumate ai danni della nostra gente che aspettava con ansia l’arrivo dei “liberatori” e invece si vide travolta da un’orda feroce di rudi contadini dell’Atlante che non erano esseri umani ma vere e proprie bestie. Oggi, timidamente, qualcuno inizia a chiedere la rimozione di quella vergogna ma non ho sentito alcuna voce al riguardo da parte di tutti quelli che si sono stracciati le vesti nello stigmatizzare con voce tonante la stele “ambigua” di Cassino. Come mi piacerebbe che l’Anpi prendesse posizione sulla stele di Pontecorvo (Morsillo, se ci sei batti un colpo) ricordando, magari, che tra i “liberatori” ci fu anche chi distrusse l’abbazia di Montecassino e poi rase al suolo la città sottostante, dimostrando una ferocia pari solo alla miopia con cui condusse le operazioni belliche: quelle macerie, infatti, permisero ai tedeschi di difendersi molto meglio e di frenare per lunghi mesi l’avanzata alleata. Ma c’è dell’altro. Mentre ci si divertiva a prendere posizione contro la “fascistissima” stele apposta davanti alla grotta di Foltin ed a dipingere il sindaco di Cassino come un pericoloso eversivo colorato di nero, in pochi hanno notato (o forse hanno fatto finta di non vedere), ciò che si consumava sulle reti televisive, del servizio pubblico e non, in occasione della rievocazione del caso Moro a quarant’anni da quei drammatici eventi.
Un corposo manipolo di brigatisti rossi, trasformati in opinionisti, scrittori, consulenti e conferenzieri raccontava lo svolgimento dei fatti, come se la cosa non appartenesse loro, dimenticando di essere stati gli assassini del presidente della Dc e dei militari della scorta. Una pantomima indegna, che in un paese civile non verrebbe mai messa in onda. Ma cosa avranno provato i familiari di Moro e di quei poveri carabinieri crivellati dai proiettili sparati proprio da quei signori che ora in tv parlano di quella vicenda con tanto sussiego e distacco? Nessuna austera vestale colorata di rosso, nessun partigiano dell’Anpi (ammesso che siano ancora in vita), nessun giornalista (o quasi), ha preso posizione al riguardo. Sono forse anch’essi morti di serie B? No, non si tratta di questo. E’ invece la solita logica che tanto piace al nostro Paese. E così ci si accapiglia per una stele insignificante, un retaggio storico di vicende ormai morte e sepolte, e si ignorano, invece, misfatti ben più gravi che vengono consumati sotto gli occhi indifferenti di tutti. Tutte cose che altrove difficilmente accadono. Ecco perché vado sempre più convincendomi che il nostro non è un paese normale.
Fernando Riccardi
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