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“STORIA DI TRINACRIA” A CURA DI ALESSANDRO FUMIA (III)

Posted by on Apr 22, 2023

“STORIA DI TRINACRIA” A CURA DI ALESSANDRO FUMIA (III)

IL CENACOLO MESSINESE

Una delle glorie di Messina conosciute in tutto il mondo, era il cenacolo messinese dei rimatori ed intellettuali alla corte di Federico secondo di Svevia. Malgrado gli avvenimenti storici, videro una forte contrapposizione fra l’elite messinese e l’imperatore Svevo, con la reazione di quest’ultimo cruenta e ferma contro Messina, la presenza di illustri uomini come quelli messinesi non venne meno, presso l’illustre Corte insediata a Palermo.

In essa troveremo uomini che hanno saputo lasciare un ricordo indelebile, nella storia della letteratura nazionale, prima ancora che siciliana.
Un cenacolo dicevo, molto partecipato che ebbe immediato riscontro in ambienti esteri. Tutti i grandi poeti italiani nel Medio Evo ne lodavano le opere: da Dante Alighieri al Boccaccio, dal Petrarca al Tasso ricordavano le imprese dei nostri poeti e letterati.
Di essi farò una piccola cronaca, affinché ognuno possa avere contezza di chi siano stati.
Del rimatore Beato Jacopone messinese, rimane veramente pochissimo. I critici e i biografi non conoscono fin dall’inizio, la sua esistenza. Però, man mano che si veniva in possesso, del pur corposo materiale, gli studiosi, incrociando le informazioni: riuscirono a trovare le tracce di altri esponenti di quella Scuola Siciliana. Poi, i documenti d’archivio, legati alla corte di Fedrico II di Svevia, carichi di particolari, legati alla vita politica e fiscale, contribuirono a rendere gli appoggi, sempre più sicuri. Lo stile espresso nelle liriche, rimane come un vero e proprio marchio di fabbrica. Col tempo, affinando la conoscenza, si incominciò a valutare una memoria anche, in funzione del beato Jacopone da Messina.
Di questo autore, vennero così individuate, delle partecipazioni intraviste nel libro III, Od. XIX,12 e nel libro IV. c. XXVI,4.
Parlare della Scuola dei rimatori Siciliani alla corte di Federico II di Svevia, senza citare Filippo da Messina, potrebbe sminuire, l’importanza della corrente messinese,  vera punta di diamante di quella cerchia di illustri poeti.
L’elemento messinese nella corte di Federico non è di poco conto, e neppure si può liquidare con un carattere di limitata importanza: anzi, viceversa, la presenza dei rimatori messinesi, ha un valore alto e strategico in quella compagnia. Messina era il motore pulsante e pensante che ha mantenuto a dispetto dei tanti, un livello dal quale tanti autori toscani hanno attinto.
Di Filippo da Messina, attivo nella seconda metà del XIII secolo, rimane molto poco, ma tanto basta in quanto, viene ricordato dalle nuove leve della letteratura ottocentesca, le quali, animate dallo spirito della ricerca, sono riusciti a creare un tessuto importante sul conto di questo rimatore messinese.  La figura di Guido delle Colonne, lo Iudex Messanensis nominato da Dante Alighieri, è l’emblema della Scuola Siciliana per eccellenza: forse non ebbe  la capacità deduttiva di Stefano Protonotaro e il ritmo in verità popolaresco di Mazzeo de Ricco, ma rimane un grande esponente della scuola messinese, se non quello più conosciuto ed apprezzato dalla critica.
Le fonti, lo propongono come figlio di Messina (1210-1287), ricoprendo la carica di giudice l’anno 1243, e sottoscrivendo numerosi atti giuridici. Fu l’autore dell’opera della: “Historia destructionis Troiae” di cui, ne esiste un esemplare presso l’Archivio della Biblioteca del Museo di Messina. Fu soprattutto, ambasciatore di Fedrico alla corte d’Inghilterra di Edoardo primo.  Il suo canzoniere comprende cinque canzoni: due delle quali, furono ammirate da Dante Alighieri e proposte come  modello di suprema constructio.  Guido, raggiunse  i vertici della scuola poetica, grazie alla sua perizia retorica, che si traduce in un comporre complesso ed ermetico, ricco di metafore e rime alquanto difficili.  Anche Jacopo Mustacchi è un grande esponente dei rimatori messinesi alla corte di Federico II di Svevia.
Originariamente, la critica l’aveva collocato fra gli autori della scuola Pisana, in virtù del suo ruolo che lo vedeva in quegli anni, come ambasciatore di Manfredi in quella come in altre città.
I documenti che giungevano da quelle realtà, dimostrarono una relativa modernità rispetto a quelli, che lo raccontavano come un giovane ambasciatore si, ma, del canto che la lirica del tempo chiamava dolze rimadura. Da quelle carte, rivelava l’appartenenza alla patria sua, che era conosciuta sotto il nome di Messina.
Nel confronto, le carte più puntuali e soprattutto più vetuste delle prime, dimostravano come anch’egli appartenesse alla Scuola dei rimatori Siciliani.
Fu falconiere ufficiale di re Federico II di Svevia già nel 1240: e successivamente, a partire dal 1262 ambasciatore del regno di Manfredi.
Autore di quattro canzoni di gusto provenzale, identificate nel manoscritto Vaticano Latino 3793, dal quale trapela, l’impronta del valore della perdita timorosa dell’amore, mimetizzando il proprio sentimento dietro allegorie e pantomime verbali.
Un altro grande rimatore messinese esponente della Scuola Siciliana, ha lasciato una traccia molto marca nella corte di Federico II di Svevia.
Fra i rimatori dell’età fredericiana, ha avuto contatti epistolari con Guittone D’Arezzo, segnando un limite e un confine ben delineato, fra le scuole siciliana e toscana.
Risultando autore di sei canzoni. Nella composizione di Mazzeo di Rico, si respirano pretestuose influenze, per le quali, più di un critico vede nelle liriche,  l’ombra  di Fulchetto di Marsiglia.
Guittone D’Arezzo apprezza moltissimo la lirica dell’amico messinese, tenendola in gran vanto.
Anche di  Odo delle Colonne quasi nulla rimane,  sulla sua partecipazione alla corte di Federico II di Svevia. Si presume che fu parente di Guido delle Colone, ma a differenza del giurè consulto, partecipò con slancio fra quei rimatori già nella prima fase della fondazione della Scuola Siciliana.
Di lui rimangono solamente due opere.
Sono altri due grandi esponenti della scuola letteraria di Messina, vissuti a cavallo dei regni di Federico II di Svevia e del figlio Manfredi ( XIII secolo).
Il primo viene accostato a un personaggio politico della Città dello Stretto; secondo un’analisi documentale, si è notato che il Rosso, era un prenome di Enrico Rosso Rosso. E come tale, si ritrovano frammenti poetici associati all’opera di Rosso Rosso da Messina.
Di lui si ricorda, come autore di una canzone non ancora identificata
Il secondo, fa parte della cerchia messinese dei letterati, quelli che avevano il compito di arricchire ed acculturare la corte federiciana. Dunque Stefano da Messina viene ricordato, come il traduttore dall’arabo al latino, del libro del Centiloquium ermetis.
Ruggeri D’Amici ha fatto parte della cerchia dei poeti Siciliani alla corte di Federico II di Svevia.  Proveniente dalla colonia di Messina, appartiene alla prima generazione di quei rimatori  che hanno fatto grande la Scuola Siciliana.
Intorno al 1250, ha lavorato presso la corte di Federico II: di Ruggero rimane una sola canzone.
Ma a differenza di altri, egli era anche un personaggio pubblico, ben visto a Messina: faceva parte del complesso mondo feudale ed era persino proprietario terriero. Oltre ad  essere molto ricco, aveva strani grilli per la testa, cavalcando la protesta di Messina, si ribellò all’autorità dell’imperatore. Non esistono conferme, ma, la sua improvvisa morte, viene messa in relazione alla sua attività politica.
Molto particolare è la storia di Ser Istofane che descrive la memoria di quest’altro autore messinese, anch’egli facente parte, ma in tarda età della cerchia dei Rimatori siciliani alla corte dello Stupor Mundi. Originariamente, la sua unica canzone pervenutaci, fu scambiata per un’opera redatta, da Pier delle Vigne.  Il filologo Allacci, credeva con ragione che la canzone affibbiata a Piero, quella che fa:  “Assai cretti celare,” appartenesse  ad un altro autore.
Il Valeriani, credendo che l’Allacci, avesse preso una cantonata colossale, la assegnava allo stesso Pier delle Vigne. E’ così, la critica successiva: l’accoglieva, credendola un prodotto del più famoso Piero.  Il Libro Reale, la restituisce al suo vero autore: Sir Istofane da Messina.
Di Stefano Protonotaro le cronache, raccontano la sua estrosa composizione e  per la particolare metrica che sarà la chiave esplicativa per inquadrare la corrente  siciliana resa dotta, da coloro (i toscani) che riconoscevano la primiera paternità dei siciliani.
Nacque a Messina nel XIII secolo, un eccelso rimatore di quella scuola, solitamente riconosciuto con un personaggio omonimo  ricordato da un documento del 1261. Viene ritenuto l’artefice  della traduzione dal greco al latino, di due  trattati arabi di astronomia: il Liber rivolutionum e il Liber  flores astronomiae, dedicandoli a re Manfredi.
Di lui ci rimangono tre canzoni, di cui la più interessante è ricordata con il titolo: Pri meu cori alligrari. Uno dei pochi scritti, tramandati dal copista toscano del codice Vaticano  n° 3793, che  ha mantenuto quella freschezza e quella originaria paternità, ne danno uno stampo e  un conio, tipico degli autori alla corte di Federico II.
Di Tommaso di Sasso rimatore messinese non rimangono molte fonti, che riguardano il suo ruolo nella corrente poetica della Scuola Siciliana alla corte di Federico II di Svevia.
Visse nella  Città dello Stretto, nella seconda metà del XIII secolo; e faceva parte della elitte della inteligentia Messinese. Da non escludere il suo contributo alla casta dei giurè consulti di detta città, al pari di Guido delle Colonne. Di questo autore, rimangono due canzoni.

FONTE

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