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TRADIZIONI POPOLARI E RELIGIOSE IN UNA CITTÀ DEL VAL DI NOTO. San Giacomo, guerriero e pellegrino, patrono di Caltagirone 

Posted by on Gen 15, 2023

TRADIZIONI POPOLARI E RELIGIOSE IN UNA CITTÀ DEL VAL DI NOTO. San Giacomo, guerriero e pellegrino, patrono di Caltagirone 

Tra le colline dei monti Erei

In Sicilia, adagiata su tre colline dei Monti Erei, sorge Caltagirone. È  una delle poche città del Vallo di Noto dove, dopo il terribile terremoto del 1693, rimane conservata la tipologia dell’abitato. La forma della sua parte più antica ricorda un’aquila dalle ali spiegate, una sorta di anfiteatro e la Scala, come una spina dorsale, la taglia in due.

Nei miei ritorni a Calacta, mentre percorro la strada tra campi, gialli dei resti della mietitura, sto, seduta sul

sedile del pullman che fa la spola tra l’aeroporto di Catania e la città, con il naso schiacciato contro il vetro a bere il tutto che mi circonda.

Aspetto l’ultima curva dalla quale vedrò svettare i campanili che si stagliano contro l’orizzonte. Quello di San Giacomo fa parte del Barocco più bello del paese e la basilica custodisce le reliquie del Protettore della città.

San Giacomo e il Conte Ruggero

San Giacomo è patrono di Caltagirone da quando il Conte Ruggero, sconfitte le bande saracene che depredavano gli abitanti, entrò trionfalmente in città il 25 luglio. Questa data coincideva con quella in cui, dopo il martirio (l’apostolo fu decapitato per ordine di Nerone nel 42), le sue spoglie vennero portate dalla Palestina in Galizia dove giunsero, appunto, il 25 luglio. Da quel giorno se ne persero le tracce fino all’anno 829, quando venne ritrovato il sepolcro, grazie a un sogno fatto dal vescovo Teodomiro, in un campo segnato da una stella (da qui il toponimo “Campus Stellae”, Compostella), in cui sorse una prima, piccola chiesa.

L’antica leggenda

Secondo la leggenda nell’844, San Giacomo apparve su un cavallo bianco sconfiggendo gli arabi che stavano combattendo con Ramiro I a Clavijo; si alimentò in questo modo il culto di San Giacomo “matamoros”, uccisore di mori. Santiago di Compostella divenne così in breve una delle più importanti mete di pellegrinaggio del medioevo dopo Roma e Gerusalemme; a questo punto, il Santo inizia a perdere via via le sue caratteristiche guerriere   per acquisire quelle di pellegrino.

A Caltagirone l’attribuzione a San Giacomo della figura di guerriero come elemento identificante è ancora molto radicata.

La data dell’ingresso del Conte Ruggero in paese coincide con la stessa festa del Santo e, a motivo di tale coincidenza, venne enfatizzata la sua presunta partecipazione alla battaglia in veste di “matamoros”.

La contrada “Piano del Conte”, appena fuori paese, prende il nome dal sovrano normanno che, mentre vi era accampato nell’attesa di combattere contro i Saraceni, ebbe la visione di un cavaliere crociato che con un vessillo in mano, anch’esso segnato da una croce rossa, combatteva con i normanni e sbaragliava i nemici. In segno di ringraziamento, Ruggero fece edificare un tempio a San Giacomo nominandolo Patrono della città.

Nella città calatina il passaggio dal San Giacomo “guerriero” a quello “pellegrino” non si è mai definitivamente compiuto. Il primo aspetto lo ritroviamo soprattutto in occasione di grandi avvenimenti festivi; la connotazione di pellegrino, d’altro canto, ha dato vita a un complesso sistema di rappresentazioni nel quale il pellegrinaggio è stato assunto secondo una marcata caratteristica simbolica, diventando potente metafora del viaggio delle anime dopo la morte.

Il pellegrinaggio

In un’ottica antropologica partire per un pellegrinaggio è molto più che il semplice viaggio per motivi devozionali; il pellegrinaggio rappresenta l’andare di un gruppo verso un luogo sacro, incontro a una figura che ha il potere di dare senso ai modelli di cultura del gruppo stesso, confermandone la validità degli orizzonti esistenziali.

Non dobbiamo dimenticare che a San Giacomo è attribuita anche la funzione di guida delle anime dei morti nell’oltretomba. Questa natura emerge in alcune credenze dell’area sud-orientale della Sicilia riportate dall’antropologo siciliano Giuseppe Pitrè nel secondo volume degli “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano” (1887-1888). In tale credenza l’anima del moribondo prima di andare verso il proprio destino, deve compiere un viaggio in Galizia e per far questo deve andare incontro ad un percorso lungo e faticoso: il “Violu di San Jàbbicu”. Il Santo, il quale farà da guida durante il viaggio, determina il momento giusto per la partenza che coincide con l’inizio dell’agonia: il moribondo appare ancora vivo ai familiari, ma in effetti è già morto in quanto la sua anima ha già intrapreso il viaggio. La lunghezza e la durezza del cammino affaticano e prostrano l’anima a tal punto che il corpo del moribondo inizia a sudare e a lacrimare. Emette un’ultima lacrima, detta “della morte”.

Il tragitto viene immaginato come una “scala”, una via in salita e costituisce oggetto di incrollabile certezza. A Caltagirone la Scala della Matrice, illuminata in occasione della festa del patrono, allude a tale specifica caratteristica come viene descritto da Lamberto Loria, etnografo ed esploratore italiano, nella sua monografia su questa città (Caltagirone, Firenze 1907, in seguito ristampato col titolo Il paese delle figure – Caltagirone, a cura di L.M. Lombardi Satriani, Palermo, Sellerio, 1981).

Il percorso metafisico si trasforma così in un luogo di espiazione o addirittura di prova, al pari dell’analogo “ponte pericoloso” descritto in modo suggestivo ne “Il Ponte di San Giacomo” dall’antropologo Lombardi Satriani da poco scomparso.  (L.M. Lombardi Satriani e M. Meligrana, 1982).

Francesca Bronzetti

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