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Un attentato fallito a Ferdinando II

Posted by on Mag 19, 2021

Un attentato fallito a Ferdinando II

L’8 dicembre 1856, il giorno dell’Immacolata, era una giornata solitamente molto amata dai Borbone. Sul Campo di Marte, l’attuale collina di Capodichino, con il re che passava in rassegna le truppe quando, come un fulmine, si sentì grido “Viva l’Italia!”.Un uomo, tale Agesilao Milano, ruppe le righe e si lanciò con il fucile sul suo re.

Provò a sparare, non ci riuscì. E allora lanciò un assalto personale alla baionetta, che si conficcò nello sterno del pasciuto sovrano di Napoli. l’attentato fallito al re fece un grandissimo scalpore. Gli ussari napoletani catturarono subito Agesilao Milano e lo massacrarono di botte, poi lo trascinarono a Castel Capuano, dove fu sottoposto a 6 ore di interrogatorio con torture e . La polizia borbonica era infatti convinta che dietro l’attentato ci fosse la mano di un ufficiale traditore dello Stato Maggiore. Questa tesi non fu però mai provata, anche se il re fu ancora più sospettoso nei confronti dei suoi collaboratori.Ferdinando, invece, rimase quasi impassibile. Con il vestito macchiato di sangue fece finta di niente e invitò gli ufficiali.Poi, giunto al Palazzo Reale, il re ordinò di comunicare agli ambasciatori e rappresentanti stranieri a Napoli che era in perfetta salute. Pare abbia poi detto ironicamente al rappresentante del Regno di Sardegna: “Dici al caro Vittorio (Emanuele) che sto benissimo e di non preoccuparsi per me“, ben consapevole delle mire espansionistiche del Piemonte.Poi, per dare prova della sua forza, nel pomeriggio sfilò a cavallo per Via Toledo, anche contro i consigli dei medici di corte.Chi era Agesilao Milano?Era di origini albanesi, nato il 12 luglio 1830 a San Benedetto Ullano nel cosentino. In Calabria erano molto attivi i moti carbonari e la regione coltivava nel suo cuore tensioni fortemente antiborboniche. Agesilao Milano aveva solo 14 anni quando i Fratelli Bandiera furono fucilati a pochi chilometri da casa sua. Qualcosa stava cambiando, l’aria era quella delle grandi occasioni: si aspettava solo la “scintilla“, di cui parlava spesso Mazzini.Le rivoluzioni, c’è poco da fare, vivono dell’entusiasmo dei giovani, che diventano carne da cannone. Lo capì a sue spese Emanuele De Deo nel 1799 e lo scoprì con conseguenze serie anche il coetaneo Agesilao Milano, quando entrò a 18 anni in carboneria e partecipò ai moti rivoluzionari. Fu subito arrestato e condannato al carcere duro, poi amnistiato. Durante il carcere crebbe il suo odio verso Ferdinando II: progettava, sognava, desiderava solo una cosa: vederlo morto. Pare fosse ossessionato dagli ideali mazziniani: non parlava d’altro se non di cambiare il mondo, abbattere la monarchia, creare una repubblica, diceva che l’Italia sarebbe nata sui martiri. E lui probabilmente voleva essere uno di questi.Prima del 1856 aveva progettato altri due attentati: uno dalle parti di Spezzano Albanese, nella sua terra d’origine: in occasione di una visita del re, aveva intenzione di sparare in un punto di una strada di campagna in cui il re sarebbe stato più vulnerabile. Il secondo a Cosenza, ma anche lì le truppe borboniche erano ben piazzate, proprio per il timore di un attentato.Entrò allora nell’esercito borbonico, nonostante ben due condanne per cospirazione contro lo Stato, e a Castel Nuovo si distinse come soldato modello. Gli amici, invece, sapevano bene che tutta la carriera militare fu spesa solo per incrociare, prima o poi, l’odiato sovrano. Doveva essere una tranquilla parata militare dalle parti dell’attuale Piazza Di Vittorio, con il re che passava in rassegna le truppe quando, come un fulmine, si sentì grido “Viva l’Italia!”.Un uomo, tale Agesilao Milano, ruppe le righe e si lanciò con il fucile sul suo re. Provò a sparare, non ci riuscì. E allora lanciò un assalto personale alla baionetta, che si conficcò nello sterno del pasciuto sovrano di Napoli. L’attentato fallì.Era l’8 dicembre 1856 e Ferdinando II di Borbone vide la morte molto vicina. L’Unità d’Italia era alle porte e un giovane e anonimo soldato voleva diventare un eroe a costo della sua stessa vita. Non si capì mai se era semplicemente un esaltato o se era manovrato da altri. l’attentato fallito al re fece un grandissimo scalpore. Gli ussari napoletani catturarono subito Agesilao Milano e lo massacrarono di botte, poi lo trascinarono a Castel Capuano, dove fu sottoposto a 6 ore di interrogatorio con torture e . La polizia borbonica era infatti convinta che dietro l’attentato ci fosse la mano di un ufficiale traditore dello Stato Maggiore. Questa tesi non fu però mai provata, anche se il re fu ancora più sospettoso nei confronti dei suoi collaboratori.Ferdinando, invece, rimase quasi impassibile. Con il vestito macchiato di sangue fece finta di niente e invitò gli ufficiali.Poi, giunto al Palazzo Reale, il re ordinò di comunicare agli ambasciatori e rappresentanti stranieri a Napoli che era in perfetta salute. Pare abbia poi detto ironicamente al rappresentante del Regno di Sardegna: “Dici al caro Vittorio (Emanuele) che sto benissimo e di non preoccuparsi per me“, ben consapevole delle mire espansionistiche del Piemonte.Poi, per dare prova della sua forza, nel pomeriggio sfilò a cavallo per Via Toledo, anche contro i consigli dei medici di corte.Agesilao Milano Un ritratto di Agesilao MilanoChi era Agesilao Milano?Era di origini albanesi, nato il 12 luglio 1830 a San Benedetto Ullano nel cosentino. In Calabria erano molto attivi i moti carbonari e la regione coltivava nel suo cuore tensioni fortemente antiborboniche. Agesilao Milano aveva solo 14 anni quando i Fratelli Bandiera furono fucilati a pochi chilometri da casa sua. Qualcosa stava cambiando, l’aria era quella delle grandi occasioni: si aspettava solo la “scintilla“, di cui parlava spesso Mazzini. Le rivoluzioni, c’è poco da fare, vivono dell’entusiasmo dei giovani, che diventano carne da cannone. Lo capì a sue spese Emanuele De Deo nel 1799 e lo scoprì con conseguenze serie anche il coetaneo Agesilao Milano, quando entrò a 18 anni in carboneria e partecipò ai moti rivoluzionari. Fu subito arrestato e condannato al carcere duro, poi amnistiato. Durante il carcere crebbe il suo odio verso Ferdinando II: progettava, sognava, desiderava solo una cosa: vederlo morto. Pare fosse ossessionato dagli ideali mazziniani: non parlava d’altro se non di cambiare il mondo, abbattere la monarchia, creare una repubblica, diceva che l’Italia sarebbe nata sui martiri. E lui probabilmente voleva essere uno di questi.Prima del 1856 aveva progettato altri due attentati: uno dalle parti di Spezzano Albanese, nella sua terra d’origine: in occasione di una visita del re, aveva intenzione di sparare in un punto di una strada di campagna in cui il re sarebbe stato più vulnerabile. Il secondo a Cosenza, ma anche lì le truppe borboniche erano ben piazzate, proprio per il timore di un attentato.Entrò allora nell’esercito borbonico, nonostante ben due condanne per cospirazione contro lo Stato, e a Castel Nuovo si distinse come soldato modello. Gli amici, invece, sapevano bene che tutta la carriera militare fu spesa solo per incrociare, prima o poi, l’odiato sovrano. Il re era perfettamente consapevole dei rischi che correva negli ultimi anni del suo regno: la sua diffidenza aumentò verso tutti già dopo la rivoluzione del 1848, in special modo aveva paura dei calabresi, che considerava inaffidabili e pericolosi. Dopo l’attentato del 1856 di Agesilao Milano, infatti, fu mandata una squadra di militari per perquisire l’intera provincia di Cosenza, alla ricerca di prove di un complotto contro il re. A Napoli, invece, furono arrestati e interrogati tutti gli albanesi e calabresi residenti in città.Agesilao Milano fu invece portato sul patibolo il 13 dicembre 1856: il suo avvocato aveva cercato in ogni modo di giustificarlo, parlando di una presunta pazzia. Lui smentì la difesa, affermando di essere perfettamente lucido e “di non avere nulla in particolare contro la persona di Ferdinando, ma la sua morte era necessaria per liberare l’Italia dai tiranni”.Si dice che il re, dopo l’esecuzione, cominciò ad avere sogni strani: nel 1857 sognò che uomini armati avevano aperto la bara per trasportare il cadavere dell’attentatore dentro la Reggia di Capodimonte. Il giorno dopo rivelò il suo sogno ai ministri, che subito fecero partire un’indagine di polizia. Nulla era ovviamente avvenuto.Il tempo che rimaneva al re napoletano era davvero poco. La ferita si rimarginò e, quando nella Reggia di Caserta il medico di corte fu chiamato ad osservare la cicatrice sul corpo del re, esclamò: “Quell’infame di un soldato!“. Ferdinando rispose seccamente: “non si deve dir male del prossimo. Io ti ho chiamato per osservare la ferita e non per giudicare il misfatto. Iddio lo ha giudicato, io l’ho perdonato. E basta così”.

segnalato da 1 reggimento Re

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