Alta Terra di Lavoro

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Vecchi mestieri di Lucio Castrese Schiano (Parte seconda)

Posted by on Lug 2, 2020

Vecchi mestieri di Lucio Castrese Schiano (Parte seconda)

     Continuiamo con la descrizione dei mestieri di cui alcuni di noi conservano un ricordo. La prossima figura in cui ci imbatteremo è quella della “spicajol(a), ossia della venditrice di pannocchie, conosciute con i nomi di: ‘ e spich,‘e spigh  o ‘e spogn, a seconda dei luoghi (ma, come dicevo in premessa e come si vede, le sfumature sono pressoché irrilevanti). 

).  E diciamo spigajol(a) perché, nella maggioranza dei casi – come attestato anche negli studi di usi e costumi dove il termine è indicato col solo genere femminile –  quest’attività vedeva impegnate in prevalenza donne. Quanti di noi, nella propria memoria, non  conservano ancora l’ immagine  di una tale figura, quasi sempre vestita di nero per occultare la scarsa pulizia dei  poveri vestiti che le circostanze e le condizioni le permettevano?

        In un grosso calderone di rame stagnato veniva fatta bollire  una determinata quantità di  spich o spig o spogn. [Il suono della “s” corrisponde a quello del gruppo “sc” di “sci”]

     A cottura ultimata, per aumentare le occasioni di vendita, il calderone, senza che vi fosse stata tolta l’acqua di cottura, veniva collocato su un carroccio trainato da una fune. In questo modo la venditrice, sotto i cocenti raggi del sole estivo, andava in giro cercando di piazzare, al grido di sciabbul e pullanchell il maggior numero possibile di pannocchie.

     Aulivar  (Venditore di olive)

     Per chi non ha avuto occasione di essere testimone di questi frammenti di storia è veramente difficile immaginare che una persona, con un mastello in testa contenente una quantità di acqua sufficiente a ricoprire  parecchi chili di olive, potesse percorrere lunghi tratti di strada con la massima naturalezza e senza dare segni di stanchezza o di disagio Per evitare che mastello, acqua salata e olive potessero rovinare a terra, tra il mastello e la testa era frapposto un cercine, molto simile (per chi non ne ha conoscenza) ad un tarallo di stoffa. Non sfugga che – almeno dalle mie parti, come ho detto – l’ aulivar veniva da S. Anastasia, un paese alle falde del Vesuvio a circa 30 chilometri di distanza dal luogo della mia esperienza; distanza che, con l’autonomia di movimento attuale, può sembrare una distanza irrisoria ma che, in un’epoca immediatamente successiva alla Seconda Guerra Mondiale, con le strade distrutte e dissestate e con i mezzi di trasporto che non erano né tanto comodi né così frequenti come ai nostri giorni era una vera e propria impresa. Solitamente costui, molto spesso accompagnato da un aiutante – la moglie o un figlio – in un mastello più piccolo, insieme alle olive, portava anche dei capperi salati, e al grido di auliv ‘e Gaet o di chiapper e auliv, cercava di soddisfare al meglio le richieste dei propri clienti.

     Masses (Venditore di ricotta)

     Chi era costui? Era un venditore di latte cagliato, di ricotta di fuscelle e di ricotta a fette. E perché veniva chiamato masses(e)? Perché, nei primi tempi i rivenditori di tali prodotti erano originari di Massalubrense, comune della penisola sorrentina. Successivamente il nome rimase anche se l’attività veniva esercitata da persona di diversa origine. I prodotti offerti al pubblico erano trasportati in caratteristici cestoni ovali di vimini, con un grande manico centrale che consentiva al massese di portarlo sull’avambraccio piegato a 90°, come le borsette portate dalle donne. Quello che, però, colpiva di più era la freschezza che promanava da quella cesta, dove il bianco dei latticini era affiancato dal riposante colore verde delle foglie di fico o di castagno su cui venivano adagiati per essere offerti agli acquirenti. Alcuni massesi offrivano anche dei bianchissimi, sofficissimi e profumatissimi panini “al lievito”, dentro cui inserivano uno qualunque dei latticini per accontentare le richieste di qualche cliente più facoltoso.  

     Lo stesso supporto – cioè foglie di fico – era usato da un’ altra caratteristica figura di questa lontana galleria di personaggi: il ceuzar(o), ossia il venditore dei frutti del gelso.  Con uno o più cesti di strisce di castagno al braccio, andava decantando i suoi frutti sia bianchi che di un rosso così carico da sembrare quasi neri. Ma guai a schizzarsi una camicia con il loro succo! I frutti bianchi avevano (ma lo hanno ancora) un sapore più delicato, mentre il sapore degli altri è più aspro. Il nome deriva dal fatto che il frutto del gelso, in napoletano, è detto cèuz o cevz . Di qui ceuzarcevzajuol nelle zone interne.

Cardalan (Cardatore di lana)

     Prima dell’avvento dei materassi a molle, durante la bella stagione era d’uso svuotare i materassi  ed i guanciali stesi  sulle reti del letto e ricorrere ai servizi del o della cardalana, che, muniti di mazze da cui sporgevano alcune file di chiodi, allargavano i riccioli di lana che erano diventati compatti e duri nel corso dell’anno, rendendoli soffici e vaporosi per affrontare un nuovo anno.

Pisciavinl/ Pisciaiuol (Pescivendolo)

     Dei pescivendoli che esercitavano l’attività in maniera ambulante ne esistevano due categorie: quella di chi disponeva di un carrettino e quella di chi non se lo poteva permettere. Il primo sistemava in basse e ben ordinate sporte di castagno – le spaselle –  alici, sarde, cefali, fragaglia, tutti sistemati su profumatissimi letti di lattuga di mare. Ad uno dei bracci del carretto era appeso un catino di legno contenente acqua di mare in cui di tanto in tanto costui  immergeva la mano e spruzzava con una certa abilità acqua marina sulla sua merce sia per darle un senso di freschezza che per scacciare per qualche momento appena gli sciami di mosche, mosconi e vespe che banchettavano allegramente, La plastica in tutte le sue forme era ancora di là da venire, per cui il prodotto veniva servito in spessi e pesanti fogli di una carta di colore paglino (usata anche dai macellai) che una volta imbevuta di acqua gravava non poco sul peso finale della merce.

     I pescivendoli che non potevano permettersi un carretto portavano solitamente il pesce in due secchi di legno con un solo manico: uno in testa ed uno in mano. Sulla spalla portavano una bilancia il cui piatto stava dietro le spalle mentre l’asta graduata col peso pendeva sul petto. Nella mano che non reggeva il catino – o, a volte, sotto l’ascella – portavano gli stessi fogli di carta di colore paglierino.

Castagnar (Castagnaro)

     Era un mestiere che si svolgeva tra l’autunno e l’inverno e veniva esercitato indifferentemente da entrambi i sessi. Solitamente il termine indicava il venditore o la venditrice di caldarroste. Non era usuale che lo stesso individuo si dividesse fra caldarroste e castagne lesse. Queste ultime, infatti, sia quelle con entrambe le bucce (palluottl o vallarun, nelle zone interne) che quelle private della prima buccia bollite (alless),  era più normale che venissero vendute da chi esercitava la vendita delle pannocchie.

     Le castagne venivano arrostite su una fornace, costituita da un grosso fornello ai cui lati, opportunamente distanziati, erano fissati tre piedi di un’altezza tale da rendere agevole controllarne la cottura. Questa avveniva su una specie di padella bucherellata e munita di due manici laterali. A cottura ultimata, le castagne venivano conservate in una coperta di lana ripiegata più volte per rallentarne il raffreddamento. Dopo di che, quasi sempre vicino ad una cantina o ad un locale cinematografico,il castagnaro  levava al cielo il suo grido: << ‘O fumm che belli castagn !>> , mentre numerosi coppetielli di carta di giornale infilati in un barattolo aspettavno i primi avventori per deliziarli col sapore e il calore del loro contenuto.

     Terminiamo qui questa seconda puntata, anche per non tediare eventuali lettori, che sollecitiamo sempre ad offrire il loro contributo con supplementi, approfondimenti o addirittura rettifiche, qualora dovessero notare delle inesattezze,

     C. Lucio Schiano

parte prima

1 Comment

  1. Bello leggere la descrizione quasi fotografica di mestieri e merci che un tempo, che sembra ormai remoto, circolavano un po’ ovunque nei paesi e di cui non esistono vocabolari che li riportino, perché troppo ristretti gli ambiti per giustificarne il costo… e magari sempre sottovalutato il valore di memoria. Perciò prezioso il lavoro di chi come il Vostro ne tramanda conoscenza! caterina ossi

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