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E se Napoleone Bonaparte fosse stato avvelenato? di Alfredo Saccoccio

Posted by on Mag 24, 2024

E se Napoleone Bonaparte fosse stato avvelenato? di Alfredo Saccoccio

Le leggende napoleoniche non si discutono. Si accettano o si respingono. La regola vale per tutte, comprese quelle che riguardano la morte dell’imperatore Napoleone Bonaparte, avvenuta a S. Elena, il 5 maggio del 1821.

Di recente si è tornati ad indagare su quel misterioso decesso, senza comunque risolvere il dilemma se Napoleone sia spirato per un cancro all’intestino, come sostiene la versione ufficiale inglese, oppure per avvelenamento da arsenico, come è stato insinuato da più parti . I grandi misteri della storia non perdono il loro fascino. Tucidide potrebbe essere stato ucciso da Senofonte, secondo la suggestiva ricostruzione di un noto grecista. Si ritorna ad indagare sulla tragedia di Mayerling e c’è chi,invece,  ripropone l’interrogativo sulla morte di Napoleone a Sant’Elena. Furono cause naturali come la maggior parte degli studiosi ha sin qui avvalorato, o il 5 maggio del 1821 si compì uno di quei “delitti perfetti” destinati a rimanere impuniti anche nella memoria?Sten Forshufvud, un tossicologo svedese che, per vent’anni, si è dedicato a cercarne le prove, è sicuro che sia vera la seconda ipotesi. L’aveva già proposta  nel 1962 in un saggio sulla rivista “Nature”; ora la sua tesi, che avrebbe fatto fortuna nel clima romantico del secolo scorso, viene rilanciata e suffragata con nuovi argomenti da Ben Weider e David Hapgood in un libro-inchiesta che intende riaprire la discussione.

   Nel tragico esilio Napoleone non morì per un cancro allo stomaco o  per una epatite trasformatasi in lesione gastrica. Ad ucciderlo lentamente, sarebbe stata la mano di un assassino, che, in sei anni, gli avrebbe somministrato progressive dosi di veleno: arsenico per l’esattezza. Il timore  di finire avvelenato, del resto, aveva ossessionato lo stesso Imperatore. Più volte, pur senza prove, ne aveva parlato agli ufficiali che  divisero con lui l’isolamento a Longwood House, una “casa su misura per servirgli da carcere” come osservava un console di Francia in quell’isola sperduta sotto il sole equatoriale. E ancora nel testamento aveva reso pubblico l’ultimo atto di accusa “ Muoio prematuramente, assassinato dalla oligarchia  inglese e dal suo prezzolato sicario”. Napoleone, dunque, avrebbe visto giusto, anche se mai-ed è qui la novità- ebbe a sospettare che il responsabile fosse un aristocratico generale francese della sua ristretta corte, colui che più gli stette vicino negli ultimi due anni di vita, e non al soldo dell’odiato governatore, sir Hudson Lowe, ma dell’ultimo dei Borbone, il conte d’Artois, futuro Carlo X.

Una teoria, questa, dell’assassinio di marca francese, che può sembrare “fantastoria”, anche se, ad esempio, lo storico Jean Tulard ritiene ancora un “capitolo aperto” la discussione sulle cause del decesso.

 I due autori (“napoleonista”il canadese Weider, giornalistal’ americano Hapgood) la presentano con u’abile tecnica da giallisti sdoppiando su  due piani che si alternano non senza suspense, i tempi della vicenda.  Da una parte c’è l’indagine del più classico tipo poliziesco portata avanti dall’investigatore, appunto il tossicologo svedese, messo nel 1955 sulle tracce dell’assassinio dalla pubblicazione dell’ultimo dei Memoriali lasciati dai testimoni di Sant’Elena, il diario del capo valletto Louis Marchand. Dall’altra, gli alti e bassi della malattia dell’Imperatore, con sintomi tutti tipici dei casi di avvelenamento e insieme le rivalità tra i  suoi fedeli nell’isola e gli intrighi nella Francia lontana. Fin qui si trattava, però, soltanto di “indizi” e un semplice indizio era pura circostanza riportata dai resoconti dell’epoca – che il corpo sarebbe stato trovato intatto al momento della traslazione, nell’ottobre del 1840, da Sant’Elena a Parigi, per la definitiva sepoltura agli Invalides. Però come in ogni giallo che si rispetti, Forshufvud sarebbe riuscito a trovare le prove che dovrebbero convincere la giuria in un ipotetico processo postumo, cinque ciocche di capelli dell’Imperatore (“bruno rossicci, morbidi e setosi come quelli di un bambino”) tagliati in date diverse, tra il 1816 e il giorno dell’autopsia. Da ciascuna ciocca è stato prelevato un singolo capello, che,  diviso in sezione e sottoposto a bombardamento atomico nei laboratorii dell’Istituto di ricerche di  Harrwell, presso Londra, ha rivelato una presenza elevatissima di arsenico : in quantità discontinue, che, in base al normale tempo di crescita dei capelli, corrispondono esattamente all’andamento altalenante dei disturbi di Napoleone.

   L’abilità dell’assassino, il generale maggiore Charrles-Tristan de Monhlon, fu di versare il veleno nel vino ad intervalli irregolari, debilitando progressivamente il fisico della vittima, ma senza destare sospetti e soprattutto evitando le complicazioni internazionali che una morte improvvisa avrebbe provocato. L’Imperatore rese l’ultimo respiro alle cinque e 49 minuti del pomeriggio:”Negli ultimi tre minuti – annotava con scrupolo nel suo diario Henri-Gratien Bernard, già Gran Maresciallo di Palazzo alle Tuileries – ha sospirato tre volte. Al momento della crisi, un leggero movimento delle pupille; movimento irregolare della bocca e del mento verso la fronte; la medesima regolarità di un pendolo”. Era finito l’uomo, ma di lì prendevano alimento il mito e la leggenda, che, secondo lo storico della Rivoluzione Georges Lefebvre, “trasfigurò la sua funzione storica : martire dei re, egli ridivenne per la Francia l’eroe della nazione rivoluzionaria”. L’autopsia eseguita 24 ore dopo non charì le cause del decesso. I sette medici presenti stesero quattro rapporti diversi con un’unica conclusione unanime: la presenza di un’ulcera nello  stomaco vicino al piloro, che, secondi i più, sarebbe degenerata  in cancro, la stessa malattia di cui era morto il padre di Napoleone. Soltanto il suo enigmatico medico personale, il patologo còrso Francòis Antonmarchi, e uno dei sanitari inglesi rilevarono un abnorme ingrossamento del fegato, conseguenza – lo sostiene il già citato Forfshfvud –dell’avvelenamento . Però quell’indizio non bastò a metterli sulla strada del delitto. Il diabolico Montholon  era riuscito a far cancellare le prove del suo misfatto dagli  stessi medici, che, nei giorni dell’ultima crisi, somministrarono a Napoleone, sempre contrario ai farmaci, le medicine “miracolose” allora in uso:prima il tartaro emetico, che avrebbe indebolito le difese naturali dello stomaco, poi una violenta dose di calomelano. Fu quest’ultimo, in combinazione con le  mandorle amare contenute nell’orzata alla quale il paziente ricorreva per calmare l’arsura, a dare il colpo di grazia annullando nel contempo ogni traccia apparente dell’arsenico, rinvenuto in quantità significativa nei capelli di Napoleone.

 Pensiamo effettivamente che Napoleone sia stati avvelenato, ma è lui stesso che si è inoculato, giorno dopo giorno, il veleno del suo passato. Napoleone si è, poco a poco, intossicato di tristezza, di rimpianti, di noia. L’assurdità della situazione che gli era imposta, l’incomprensibile  rappresentato da Waterloo, l’hanno distrutto tanto efficacement e quanto l’arsenico . A Sant’Elena si è giocata una storia d’amore, finita male. Essa si riassume così: Charles de Montholon ama perdutamente la moglie; questo sentimento è reciproco, ma Albine cade ugualmente sotto il fascino di Napoleone (da cui ella avrà una figlia, la piccola José phine); alla partenza della sua sposa, nel 1819 ,Montholon si ritrova solo con l’Imperatore, per cui prova l’odio’dio-passione (passione per il genio, odio per il rivale). Napoleone proibisce al Momtholon di partire raggiungendo la famiglia. Egli non ha che trentasei anni!  Preso nella rete, come un topo, il nobile non ha più che una prospettiva : attendere la morte di Napoleone, che non ha che 49 anni. La sua educazione aristocratica gli vieta di  assassinare colui che  è all’origine dei suoi mali. 

Napoleone legò al Montholon, per testamento del 15 aprile, la somma di due milioni di franchi. L’Imperatore non è un gonzo: il 23 aprile 1821, in un soffio, confiderà a Bertrand: “Vedo bene che Montholon  mi corteggia per la mia successione”. Allora, perché, per disposizione testamentaria, aver concesso quella somma esorbitante a questo falso soldato, che neanche è un ricordo dei tempi difficili, e i cui legami con il conte d’Artois erano conosciuti, mentre Bertrand, fedele e riservato, non otterrà  che cinquecentomila franchi ? Forse Albine, che seppe abbellire alcuni momenti del deportato, è in qualche modo in questa singolare generosità…

   In ogni caso, Charles de Montolon non ha perso su tutta la linea: redigendo personalmente il testamento imperiale, egli ha preso cura di concedere  a se stesso 2 milioni di franchi-oro.

1 Comment

  1. Non possiamo comunque dimenticare che Carlo Bonaparte, padre di Napoleone, era morto della stessa malattia all’età di trentanove anni, il 25 febbraio 1785. L’ipotesi di una predisposizione genetica familiare è, pertanto, abbastanza plausibile.

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