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I disastri e i crimini compiuti dalla Massoneria nell’Italia meridionale dopo la conquista del potere (1860 II)

Posted by on Feb 29, 2024

I disastri e i crimini compiuti dalla Massoneria nell’Italia meridionale dopo la conquista del potere (1860 II)

Panorama della «città vecchia» di Cosenza
[Il testo del Boggio]

La dittatura è fatta sinonimo di anarchia; – di qua e di là del Faro non sono più leggi, non è più amministrazione regolare, non tutela delle persone e delle proprietà, non tribunali, non ordine, nulla insomma di ciò che costituisce il vivere civile di uno Stato.


La legislazione borbonica è abbandonata in gran parte come incompatibile col nuovo ordine di cose. Fu invece proclamato lo Statuto del Regno italico, ma la sua esecuzione venne rinviata a quell’epoca ulteriore che un decreto dittatoriale prefiggerebbe; e questo decreto non s’è visto finora. Così ai cittadini è venuta meno la tutela delle leggi nuove; suppliscono alla lacuna il capriccio e l’arbitrio!
Il Dittatore ha delegato la sua autorità in Sicilia ed a Napoli ad un Pro-dittatore.
I poteri del Dittatore sono illimitati – quelli del Pro-dittatore non vennero punto definiti – epperò sono sconfinati anch’essi. ma qui ecco anzitutto una prima anomalia.
L’ufficio di Pro-dittatore pare, e realmente in un ordine di cose meno anarchico sarebbe, officio di altissima importanza: or come si spiega la leggerezza incredibile, colla quale i Pro-dittatori si fanno e si disfanno?
Pro-dittatore scelto con molta solennità fu il Depretis, uomo d’ingegno, e di polso, di opinioni liberali molto avanzate, ma onestamente fedele alla Dinastia ed alla Nazione…
Chi non ricorda i proclami nei quali esso veniva dal Dittatore annunciato ai popoli Siculi colle più lusinghiere e cordiali espressioni di stima e di fiducia?
In quel medesimo proclama del 10 settembre in cui il Dittatore annunziava per la seconda volta che l’annessione si doveva fare in Roma, e proclamare dal Quirinale, sta ancora scritto: «Depretis annunzierà al caro popolo della Sicilia il giorno della annessione dell’Isola al resto della libera Italia – ma è Depretis che deve determinare – fedele al suo mandato ed all’interesse d’Italia – l’epoca fortunata».
Or bene; passerà appena una settimana, e un altro proclama pure del Dittatore annunzierà che il pro-dittaore dal 17 settembre sarà Mordini, senza che pur una parola, una sillaba accenni che egli surroga Depretis, il quale si trova rimosso d’ufficio con meno garbo di quello con cui si licenzia un fante… Ma che? Mordini appena è installato, e già si buccina che il suo posto è offerto ad Aurelio Saffi, e che altro non rimane, salvo ché questi lasci la cattedra, dalla quale insegna letteratura italiana agli inglesi, e giunga in Palermo, perché l’ex triumviro di Roma sia alla sua volta Pro-dittatore di Sicilia!…
Che pensare di tanta instabilità di persone e d’officii? Non accenna essa alla assoluta mancanza di un principio dirigente in chi è al timone dello Stato?
Eppure v’ha di peggio!
Un uomo onorando, caro a tutta Italia, quegli a cui Garibaldi nel 1856 scriveva «avere egli tali titoli alla sua fiducia ed al suo affetto da fargli desiderare che gli comandasse in ogni circostanza» Giorgio Pallavicini Triulzio, è chiamato in Napoli d assumervi la Pro-dittatura. Appena vi è giunto, il Dittatore lo rimanda a Torino, latore di quelle domande che già erano state negate a Trecchi ed a Brambilla; mentre il rispettabile vecchio logora in viaggi le forze, la consorteria lo soppianta, e tornato a Napoli egli troverà che il suo posto sarà stato dato a Carlo Cattaneo, il repubblicano federalista, l’uomo che osa dire preferir esso l’Italia nuovamente schiava dell’Austria, anziché vederla ordinata a reggimento costituzionale con Vittorio Emanuele Re!…

La torrette campanari di un monastero calabro

Carlo Cattaneo arrossirà egli per gli altri dello sfregio immeritato al martire dello Spielberg, e cercherà pretesti per non accettare…; ma la consorteria s’affretterà a tutto di vulgare, affinché, se non altro, sappiasi che non è cinismo, del quale si senta incapace!
Se questi scambii succedono nei gradi superiori, se questi sconci si avverano nei primi uffizi, che sarà dei subalterni?
Senonché l’ufficio dei Pro-dittatori è nominale ed illusorio; dietro e sopra il governo officiale, sta un governo segreto, che è il solo padrone vero di tutto e di tutti.
A Palermo Crispi, a Napoli Bertani, e con questi due la consorteria dei Nicotera, dei Ferrari, dei Mario, dei Cattaneo, dei Mazzini, ecco i veri arbitri delle sorti di undici milioni d’Italiani che Garibaldi crede aver liberati dalla tirannide, ma che gemono ora sotto un dispotismo peggiore, quello della anarchia.
A colorire di qualche apparenza di regolarità questo sgoverno, si sono creati ministri responsabili. Ma ecco nuovo modo d’intendere la responsabilità ministeriale…
Il Principe di Torrearsa legge nel foglio ufficiale la propria nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri, della quale è affatto inconsapevole: attende l’annunzio diretto dal Capo dello Stato: passa un giorno, passano due, nulla riceve; e intanto escono sulla Gazzetta governativa decreti e provvisioni che appaiono da lui emanate: si presenta tre volte al Dittatore per chiedere una spiegazione: gli dicono che non ha tempo di riceverlo; a gran fatica riesce il terzo giorno a farsi sentire, per protestare contro lo indegno abuso del nome ed ottenere che cessi.
A Napoli Bertani eclissa le glorie di Crispi. – I ministri esistono, i ministri sono uomini autorevoli, probi, stimati; ma che?
Esce un decreto firmato Bertani il quale crea i Governatori per le Provincie, ed annunzia che avranno poteri illimitati. Il Ministero protesta per la forma e per la sostanza dell’atto, perché di nulla fosse stato informato, e perché cotesti Governatori con facoltà sconfinate fossero altrettanti capi indipendenti nello Stato che rendessero impossibile l’azione direttiva del Governo centrale.
Il Dittatore promette che l’abuso verrà corretto; ed emanano infatti nuove istruzioni più circospette: ma ecco un altro guaio – ad ogni tratto son decreti e provvisioni ed atti d’ogni natura formati ora dal Dittatore, ora da Bertani, e resi esecutorii senza la controfirma di alcun ministro. nuovi lamenti, energiche proteste e formale promessa del Dittatore che non si pubblicherà più decreto veruno senza la firma ministeriale.
Ora viene il bello: ecco un giorno, poi l’altro, il foglio ufficiale zeppo di decreti, tutti portanti in piena regola la firma dei ministri rispettivi: eppure questi sanno di nulla aver firmato di ciò, e quelle provvisioni che recano in calce il loro nome riescono loro affatto nuove!
Accorrono dal Dittatore sdegnatissimi per tanta soperchieria: e là l’imperturbabile Bertani apre un portafogli, e mostrando loro le minute originali dei decreti: «Ecco, dice loro, ecco che abbiamo lasciato in bianco lo spazio per le firme vostre: potete apporle adesso!».
Fra dieci anni chi vorrà credere questi fatti che paiono romanzo,e sono storia pur troppo; e quel ch’è peggio storia italiana?
Crispi non è così arguto e sottile; ma vince Bertani d’energia. – Eccone un saggio. – In consiglio il barone Cordova, fra i più stimati uomini di Sicilia, ministro delle finanze, non piega, come Crispi vorrebbe, a’ costui desideri: gli argomenti non sovvengono a costui spontanei e pronti come il bisogno sarebbe: ed egli, a mo’ di conclusione, trae di tasca un revolver e l’appunta al petto dell’indocile collega!…
Del resto gareggiano Crispi e Bertani d’inettitudine e di disordine: lo stesso impiego è dato a due, a tre; un ministro nomina a un posto, e lo eletto quando crede prenderne possesso lo trova già occupato. Nella spedizione degli affari vige in tutta la sua efficacia la regola canonica della prevenzione: s’applica anche ad essi la teoria del primo occupante. Guai se la corrispondenza in un dicastero giunge nel momento in cui uno di questi mestatori sia presente! Intasca lettere e dispacci, risponde se vuole, e quando se ne sovvenga – ed alla spedizione degli affari pensi la provvidenza, o meglio il caso, unica divinità di cotesta genia.
Le nomine agli impieghi in quale modo si facciano, l’arguisca ormai il lettore: titoli di promozione il capriccio della consorteria, o i fini interessati di chi tiene le file.
La importantissima amministrazione corrispondente alle nostre gabelle l’avrà un vecchio capitano del 1821, che si spera possa fare buona propaganda repubblicana fra i suoi quattordici o quindicimila dipendenti. Una principalissima provincia di Terraferma avrà a Governatore un mediconzolo di villaggio, processato per truffa e falso due volte… Ma egli ha promesso in tre mesi fare de’ suoi amministrati altrettanti repubblicani sodi, e incorruttibili!
Che più? Nell’ultima crisi ministeriale sicula non furono elevati agli onori del portafoglio di due importanti dicasteri uno scritturale o copista di cancelleria, ed un altro che i fuorusciti italiani a Malta ebbero pronto questi anni addietro, sempre quando il vollero, ai servigi più umili del commissioniere? – E fra gli altri che la spacciano in Napoli non è un fotografo di Londra, a cui parve più lucrosa speculazione spillar i Napoletani, anziché far loro il ritratto?
Lo sperpero del denaro pubblico è incredibile.
Non parlerò degli acquisti di navi, e di materiali da guerra inopportunamente fatti, dacché la flotta e l’arsenale di Napoli doveano soddisfar in breve sì largamente ai bisogni; e neppure ricorderò come queste navi comprate all’estero fossero roba di rifiuto, e inabili a tener il mare; dirò solo che gli impiegati e i creditori diretti dello Stato invano attendono si paghi il soldo e la rendita; somme ingenti, favolose scompaiono colla facilità e rapidità stessa colla quale furono agguantate nelle casse Borboniche.
L’amministrazione della giustizia è sospesa. – Fu una solenne menzogna quella della officiale riapertura dei tribunali, fatta dal Pro-dittatore Depretis; aperti in quella circostanza, furono chiusi di nuovo, e tali rimangono, e chi ha piati se li tenga in santa pace e misericordia…
Quale tutela possono avere la proprietà, e le persone in tale stato di cose?
Quale guarentigia rimane ai diritti più sacri del cittadino?
La libertà di stampa, la libertà individuale, la inviolabilità del domicilio, il diritto di associazione son tutte finzioni per i Crispi ed i Bertani.
Un deputato del Parlamento nazionale, concittadino di Garibaldi, che ha parlato e votato contro la cessione di Nizza, recasi in Sicilia in missione; – avvertito in tempo, riesce appena a trovare asilo sopra un bastimento sardo, primaché si eseguisca l’ordine contro lui tostamente spiccato di accompagnarlo coattivamente a Napoli.
In una sola notte da trenta a quaranta fra i principali cittadini di Palermo sono arrestati, sotto la imputazione di un reato di nuovo genere, quello di avere desiderato e consigliato la pronta annessione ai dominii di quel Re, in di cui nome si governa il paese!
O si dirà che sono inconvenienti inevitabili nei momenti di transizione, e sovratutto in istato di guerra?
Fosse pure, a patto che se non altro le cose belliche procedessero con piede rapido e fermo; invece, doloroso a dirsi, gli elementi di forza militare che Garibaldi trovava in Napoli, sono sperperati e sciupati; e se Francesco II che appena avea potuti raccorre intorno a sé 15 o 20.000 uomini in Gaeta, ora li vede crescere ogni dì, e ne conta da 30 a 55.000 ed ha i quadri per uno esercito di quasi ottanta mila uomini, di chi è la colpa se non di coloro che governano in nome di Garibaldi?
L’esercito napolitano dov’è?
Disperso od a Gaeta!…
La flotta?
Disarmata in porto; coi bersaglieri a bordo per salvare almeno l’armamento e gli attrezzi!
L’arsenale?
Per tre giorni e tre notti abbandonato a chi lo volesse vuotare, e purtroppo non mancarono quelli che si giovassero della facoltà!
Perché, Generale, entraste in Napoli senza colpo ferire?
Perché poteste scrivere voi medesimo, e con tanta verità: «il nostro cammino è una marcia trionfale»? – Perché i capi delle truppe, ripugnando al loro cuore la guerra fratricida per gli interessi egoistici di una dinastia colpita dal marchio della riprovazione, abbandonata da Dio e dagli uomini, dispersero le loro truppe.
Voi comprendeste, o Generale, l’importanza del servizio che vi rendeano, e poscia ché siete giusto e ragionevole e savio sempre quando la vostra convinzione impera e non l’artificio e l’inganno altrui, promulgaste un decreto che assecurava il grado a tutti gli uffiziali che farebbero adesione al nuovo ordine di cose.
A centinaia giunsero le adesioni. – Francesco II bestemmiò quel decreto vostro, più che dieci sconfitte.
Passano pochi giorni: ed ecco un altro decreto che esautorando il primo, dichiara eccettuati dal beneficio di questo, malgrado la già fatta adesione al Governo dittatoriale, alcuni uffiziali.
Chi vi strappò questo secondo decreto? Se non è tal scemo da confidare al Manicomio, è certo il più malvagio traditore che abbiate ai fianchi – imperocché egli ha ridonato al Borbone i reggimenti che questi aveva perduti.
Infatti se la ricognizione dei gradi promessa prima può, malgrado l’adesione, essere tolta poi, non debbono gli uffiziali dell’esercito tremar tutti dell’arbitrio vostro exlege e irrefrenabile?
Sapete quanti uffiziali disertarono dopo questo errore?
Quelli rimasti pur tuttavia fedeli alla vostra causa doveano in breve essere cacciati a Gaeta anch’essi da altra peggiore intemperanza e nequizia dei vostri Nicotera e Bertani.
Il generale Ghio[,] comandava un corpo di dieci mila uomini che poteva darvi non pochi fastidi. Lo sciolse, e vi aprì il passo: lo premiaste facendolo governatore di Napoli. Stava in questi giorni conferendo con Bertani – entra Nicotera, lo squadra, e voltosi furibondo a Bertani. «Che? esclama, qua costui e in assisa da generale? Ma costui ha combattuto in Sicilia contro di me… costui mi ha offeso… è un traditore, un mascalzone…» E il generale Ghio è dal colonnello (!) Bertani messo in arresto, e gli si fa il processo!…
E chi volete non preferisca Gaeta e Francesco II a Napoli e Garibaldi, se così i vostri fac totum rispettano la vostra parola e la vostra fede?
E i soldati? – Ai soldati avete detto: «Rimanga chi vuole e chi non vuole vada» e vi hanno risposto andandosene.
Meno male se vi avessero abbandonato per tornar in seno alle famiglie loro, a godervi la recuperata libertà; ma i più sono andati a Gaeta, e così il Re in due settimane di vostro governo ha quasi raddoppiato l’esercito.
E per fermo come potevano restare con Voi, privi come li lasciano d’ogni cosa più necessaria?
Si sciupano milioni, ma ai vostri soldati si contende persino il pane!
Chi li disperda e come, a voi spetta il cercarlo – e certo, per poco si ripeta l’esempio di quel vostro uffizial superiore che se ne fuggì con 150.000 ducati della cassa militare (quasi 800.000 lire), sarà facile scoprire la strada che prendono i tesori offertivi dall’entusiasmo e dalla simpatia del mondo civile.
Ma intanto, eccovi qualche dato.
I vostri soldati sono laceri nelle vesti, mancano di calzari, e spesso di pane e di munizioni, e di assistenza.
All’ultimo fatto d’arme, a Caiazzo, nel quale per parte nostra erano impegnati poco più di 8.000, fu necessario far venire dalla città i mezzi di trasporti per i feriti – il che prova il buon servizio delle ambulanze.
E mentre s’attendevano questi sussidi, i feriti per mancanza perfino di medici e di chirurghi, abbandonati sul nudo terreno, senza cura ed assistenza di sorta, morivano di stento, di sete, di ambascia.
Ed altri, orribile a dirsi, trascinatisi a stento in talune capanne o casolari, vi erano arsi vivi dentro… perché malgrado i milioni che si sprecano non esiste ancora un servizio d’ambulanza regolare.
Oh! quel medico Bertani che tanto volentieri si compiace dell’opera che dice avere prestato ai feriti in Roma nel 1849 – se invece di sedere a scanna improvvisato colonnello, per isgovernar Napoli, fosse sul campo di battaglia ad esercitarvi l’arte sua, memore del detto Esopiano: nec sutor ultra crepidam, o quale servizio renderebbe, forse ai feriti, certamente alla sua fama!
Una piccola colonna di garibaldini attraversa una delle più cospicue e ricche città del Regno. I soldati tutti volontari, e molti di agiata condizione fecero private lagnanze che in una città, dove il necessario abbondava, avessero per due giorni sofferto la fame. Questi lagni andarono alle orecchie del Magistrato municipale – egli, indegnato, provò con buoni documenti che i capi della colonna avevano estorti 74.000 ducati (circa 400.000 Lire) a titolo di manutenzione dei loro soldati – ai quali poi negavano persino il pane…
Dalle quali turpitudini nasce poi quest’altro male che i soldati, lasciati privi del necessario, sono costretti a procurarselo come possono – d’onde i soprusi, gli sperperi, le violenze che irritano le popolazioni; nel tempo stesso, sfibrando il nervo della disciplina, preparano la dissoluzione dell’esercito.
Questi fatti voi li ignorate in gran parte: e d’altronde preoccupandovi, com’è vostro costume, quasi esclusivamente del combattere, vi pare che molto si debba perdonare a soldati e ad uffiziali che valorosamente pugnino.
Ma anzitutto questi che sono i primi alla cassa, ed alle distribuzioni, sogliono essere gli ultimi al fuoco…; inoltre voi dovete ricordarvi che non siete in paese di conquista – che non si tratta ormai più di debellar un nemico già vinto, ma sibbene di fondare uno Stato, di rifare una Nazione – l’Italia.
E gli Stati si fondano coll’ordine, colla parsimonia, colla vigilanza, colla buona amministrazione, non col despotismo militare e colla anarchia politica.
Ed è anarchia non solamente lo sgoverno de’ vostri pubblici ed occulti faccendieri – ma è anarchia la vostra stessa bontà d’animo, o Generale, che vi fa debole, Voi l’uomo forte, voi il leone delle battaglie; vi fa debole e credulo come un bambino, e vi lascia docile e inconsapevole zimbello in mano di coloro, che simili a quegli uomini corrotti che non rifuggono dallo inquinare la verginità fanciulla, non si fanno scrupolo di abusare il candore dell’animo vostro.
Voi governate un regno di undici milioni: ebbene si presentano a voi cinque, sei individui: «Siam la nazione, vi dicono; e la Nazione vuole che ministri siamo noi – cacciate quelli che nominaste ieri, poneteci in luogo loro!…» e voi li udite, e voi li credete, e voi li secondate; e neppure vi soccorre il pensiero, che la Nazione veramente volesse costoro a ministri, sarebbesi, se non altro, in tutta la Nazione potuto trovare una deputazione, non composta di lor soli per venire a dirvelo!…
La Bibbia narra dei favi di miele sospesi nella bocca del leone; – e sta bene che la dolcezza si colleghi alla forza… ma non soggiungono le sacre Carte che quel leone si lasciasse cogliere ad ogni laccio, perché aveva i favi in bocca.
Generale, la semplicità, e la docilità spinte troppo oltre diventano complicità…
Ci avete pensato mai al pericolo che l’Italia vi creda complice di Giuseppe Mazzini?
Sarebbe vero che voi udite più volentieri i colonnelli improvvisati a guerra finita, e nella pace dei gabinetti, anziché i generali che avete promossi sul campo, fra il fischio delle palle e il lampo delle spade, lordi di polvere e di sangue?…
Sarebbe vero che l’orecchio vostro si chiude ai Carrano, ai Cosenz, ai Medici, mentre si apre ai Bertani e ai Mario?
***

Ritratto di re Guglielmo il Conquistatore. Almeno lui era onesto,
si faceva qualificare per quel che era, un conquistatore e non un liberatore,
come sentirono il bisogno di fare altri, stufi del loro Piemonte, e,
si sa, escusatio non petita accusatio manifesta. A meno che, già con quel
dirsi liberatori non avessero mostrato la loro identità più vera:
d’essere dei bugiardi e degli ingannatori! E tali sono rimasti fino alla fine…
***
Lapsus molto interessante, questo parlare di «regno italico» ancora nel 1860. Ma non è stato proclamato, e qualcuno dice persino sorto nel 1861? Bella anche questa! Nel meridione d’Italia si parlava di Regno italico già un anno prima… E, dunque, come la mettiamo con i presunti 150 anni di unità di non si sa chi, non esistendo ancora un’Italia unita? Siamo nel completo ridicolo culturale: delle pubbliche Istituzioni hanno dichiarato solennemente che l’Italia è nata subito unita, confondendo la nascita dello Stato (un atto ufficiale e giuridico) con la sua unificazione (un atto storico); confusione tanto più riprovevole, ad ogni livello, in quanto nell’atto di fondazione dello Stato non si accenna, se pur falsamente, al compiersi della unificazione nazionale! Insomma, è una trovata e una fantasia, una forzatura e un falso storici dei politici italiani del giorno d’oggi!
Io traduco le frasi in questo senso: Un venduto a casa Savoia e al suo progetto di conquista dell’Italia.
Nel senso generico di servitore.
Cioè in Garibaldi, al quale il Boggio si rivolge.
Il gruppo massonico che, nell’ombra dirigeva tutto, come si dirà esplicitamente più avanti.
Quanto aveva ragione, il poverino!
Sarebbe interessante sapere a cosa si riferisce, poiché a me sfugge.
Il cinismo massonico, senza alcun limite.
Ecco, l’ha detto!
Importanti queste frasi: il «crede aver liberati», ossia che liberazione non c’era stata, ma solo scambio di padroni, di tiranni; e che i secondi erano peggiori dei primi. Solo che, al punto di darne la colpa alla massoneria, di cui è parte e come avrebbe dovuto conseguentemente fare, scivola sulla generica espressione di «anarchia», che dice tutto e nulla, quasi che il caos sociale si fosse generato da sé.
Si noti l’ammissione dell’ipocrisia generale che circondava il tutto.
Circostanziate, dettagliate.
Il Boggio stesso si rende conto della gravità dei fatti ricordati.
Un fatto gravissimo. E sconcerto a non finire quando si pensi che, di lì a pochi anni, proprio lui, il Crispi, sarebbe stato scelto dal re a capo del governo del regno d’Italia!!!
Lo dice anche lui!
Anche allora questo brutto vizio, poi diffusosi e che si potrebbe definire una piaga dei capoccioni italiani, in ogni settore del vivere civile, ecclesiastico compreso!
Veramente, un cristiano lo scriverebbe al maiuscolo; ergo, si tratta solo di un’espressione letteraria, non di una dichiarazione di fede.
Anche questa è una definizione che lui stesso trova appropriata!
E si potrebbe, e dovrebbe, ripetere quanto detto alla nota n. 17.
Le tasse.
Espressione bella e originale, nata da quella ecclesiastica di «elevare agli onori degli altari», cioè dichiarare santa una persona; questa è la nuova santità massonica, quella del portafoglio. Parola di massone.
Altra bella e significativa espressione. Noi, in dialetto, diciamo: «I la mena», che trova riscontro nel detto: «Menar il cane per l’aia».
Veramente è tutto incredibile, quello che sta dicendo.
Anche allora si andava avanti a menzogne. 150 anni dopo, qualcuno lo fa ancora.
Evidenzio questa frase.
Ma il regno di Sardegna non aveva mai dichiarato la guerra! Aveva appoggiato e favorito tutto questo così, come fosse una passeggiata nell’orto.
Informazione tecnica interessante, su questo accorrere dei Napolitani nelle schiere del loro legittimo re. Essi sentivano che il loro Stato era caduto in mano ad estranei, con la scusa del «cosmopolitismo italiano».
Modo di dire che si usava anche in Zoldo.
Al di là del bel giro di parole e di analisi delle intenzioni, fermandosi ai meri fatti, avrebbe dovuto dire: «perché furono dei traditori», ma non se la sente di arrivare a tanto.
Del loro tradimento.
Ma come: c’era dell’artificio e dell’inganno? Povero Garibaldi, che sarebbe stato così bravo, lui!
Collocare. Interessante che scriva manicomio con l’iniziale maiuscola.
Trasformato in legge.
In realtà era proprio tale, avendo tradito il suo dovere.
Bella, bella; e detta con tanto candore!
Re continua a essere chiamato il Borbone! Anche questo è significativo; comunque era realmente così, perché l’annessione, finta popolare, non era ancora avvenuta o, meglio, non era ancora stata messa in scena e ufficializzata dalle armi del governo sabaudo.
Per certo.
Diciamo pure: dalla massoneria internazionale, soprattutto anglo-francese.
Indignato.
Questo è un fatto molto significativo del pseudo-patriottismo che animava i capi dei garibaldini, nutriti più di belle promesse e idealità, che di pane; esso non può essere né sottaciuto, né dimenticato.
Questo l’ideale a cui tutti – stando al parere dell’autore – avrebbero dovuto ispirarsi. L’Italia come stato era da fondare, come Nazione da rifare; insomma non esisteva proprio, ma i massoni – bontà loro – volevano che nascesse.
Secondo accenno al «governo ombra».
Anche questa notiziola sui gruppetti, ossia sulle lobby del potere che giostravano la politica di Garibaldi, è assai importante, perché conferma ulteriormente la strumentalizzazione che si faceva delle parole e dei sentimenti di libertà, nazione, ecc.
Bella anche questa espressione! Essa però mostra la sincerità di parola del suo autore.

fonte

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2 Comments

  1. Quando anche i ciechi si accorgeranno che sta per crollare, lo puntelleranno con putrelle corrose e corrotte. Fino a quando l’edificio, oramai divenuto inagibile per il cancro della corruzione, ma la cui esistenza formale non deve venir meno, non sarà altro che un intreccio inestricabile di putrelle marce puntellate di putrelle marce.

  2. Come può un edificio costruito su fondamenta marce e corrotte non essere a sua volta marcio e corrotto?

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