Alta Terra di Lavoro

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Il “Diavoletto Indipendente” (XXVIII)

Posted by on Feb 16, 2025

Il “Diavoletto Indipendente” (XXVIII)

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 201, 29 agosto 1860.

Non intervento!

Questa è la vera parola d’ordine del nostro tempo. Non intervento – questo è il termine politico di grand’uso ai dì nostri e … per l’Italia. In Turchia non è intervento…………………. quello si chiama “questione della Siria”, e nulla più. Nella lotta fra Garibaldi ed i regi di Napoli corre pure il sangue ed è fatta onta alla giustizia come al diritto pubblico, viene portata in trionfo l’usurpazione… battezzati coi nomi di fasti patriottici la diserzione e il tradimento, ma non è del caso di farne una questione umanitaria e quindi chi vi si mettesse di mezzo romperebbe il principio del non intervento. Questo principio è sacro per alcuno, tanto più sacro perchè all’ombra sua cresce lussuriosa la pianta rivoluzionaria i cui frutti sono così dolci al palato dei vecchi cultori di essa.

Rispetto al non intervento; ostracismo a chi rompe questo cerchio magico, dentro al quale fa sì bella mostra di sè la torre babelica italiana. La Francia lo ha proclamato questo principio e lo rispetterà oggi, e sempre……………………… come in passato, essa lo ha detto, a noi tocca credere. Il non intervento è la sua divisa – essa lo ha scritto sulle sue bandiere – dove vi ha pure il motto – l’impero è la pace. Non un soldato francese passi le frontiere del grande Impero, il non intervento lo inebisce:

nessuno si mescoli nelle questioni fra italiani e italiani: a fatti compiuti l’Italia pagherà il tributo al Cesare che fa rispettare il principio del non intervento al quale esso è stretto oggi; nella domane non vede che Dio!

Ma raccogliamo le idee, non lasciamole vagare troppo lontane onde non rompano i confini di quel non intervento a cui è pure obbligata la stampa. In politica abbiamo tre modi d’intervento:

Il primo, quando due potenti guerreggiano tra loro ed un terzo vi si intromette per dar aiuto all’una od all’altra parte, o per far valere le proprie pretese nella questione che si agita; il secondo avviene quando in una guerra civile un potentato straniero porge il suo aiuto o ad un Governo contro i suoi popoli sollevati, ovvero a questi popoli contro il loro Governo; finalmente avvi un terzo intervento, ed è quando un Governo malcontento della condotta, interna di un vicino, o paventando per sé stesso in causa di una tale condotta, adopera la forza delle armi per cangiarne o modificarne gli ordini e l’opere.

Ma se queste sono le definizioni dei tre modi d’intervento, bisogna aggiungere che ogni potentato interpreta a suo piacimento ed applica a suo profitto le controverse teorie dell’intervento e del non intervento, e le applica a seconda della forza di cui può disporre, la qual forza è tuttora e lo sarà in avvenire e sempre la vera regina del mondo; chiedete alla Francia la ragione del suo scendere in Italia nel 1859 – e vi risponderà che il suo intervento era giusto santo e necessario. Chiedetele perchè i suoi soldati stanno a Roma, e vi risponderà che vi stanno per l’ordine.

La stessa Francia volle intervenire nella Siria; vi intervenne; l’Inghilterra vi si unì, ma solo perchè erale d’avvilimento il veder sola la sua rivale guardare i mari del Levante, e padroneggiare nei gran porti della Siria.

Solo all’Austria, minacciata dal suo vicino, il Piemonte, il quale da 10 anni prima del 1859 gli moveva la più sorda delle guerre, gli aizzava contro sudditi e fuorusciti, di cui esso era il focolare, solo all’Austria si fece delitto nel 1859, l’essersi difesa dalla più sleale delle aggressioni, quale è quella dell’operare al coperto e minare l’esistenza di un leale vicino. Quando Carlo Alberto ruppe indegnamente il confine lombardo, si tacque, meglio si applaudì.

Ora all’Austria viene interdetto l’intervento sino a che non ne sieno minacciati, invasi anzi i suoi dominii – e fino a questo punto essa deve vedere e tacere – pena di rompere il cerchio del non intervento.

Che il suo vicino si prepari ad una lotta disperata; faccia causa comune colla rivoluzione, tenti anzi trascinarne in mezzo di questa i sudditi, non monta; il principio sta e deve stare: lo disse la Francia, e così sia.

Il nostro Governo longanime nella pazienza, scrupoloso osservatore dei trattati, rispettoso della giustizia, quand’anche la severa osservanza dei patti siagli perniciosa, protestò anche in questi ultimi giorni ch’esso non romperebbe guerra al Piemonte sino a che non vedesse attaccati i suoi domini.

Ma fino a qual punto sarà permesso l’attenersi ad una tale dichiarazione? Quale ne sarà il confine?

Garibaldi sarà presto a Napoli, ove veggiamo combattervi, sotto qual veste lo possiamo supporre, i regi bersaglieri piemontesi; da Napoli minaccia a Roma e alla Venezia; vuol l’Italia una con Vittorio Emanuele re.

L’Austria dovrà essa attendere che tuttociò sia fatto compiuto, e che la Francia sia padrona di Genova e di Cagliari, e la rivoluzione invada i suoi paesi del litorale adriatico, e che ingrossi l’esercito minaccioso, e che si preparino sotto i di lei occhi gli stromenti da guerra e i battaglioni che devono assalirla, senza muover parola, perchè il grande principio del non intervento glielo vieta?

No – non crediamo si debba giungere a tal punto; l’insulto alla giustizia sarebbe troppo grave. L’applicazione del non intervento ha pur essa i suoi confini – ogni Potenza ha il diritto di esistere; e quando appunto questo diritto è minacciato, la difesa diventa necessaria; di ciò sono omai comprese le stesse Potenze contro delle quali un tale principio applicato come lo si vorrebbe in confronto dell’Austria, potrebbe ridurle a passi estremi.

La Russia ascolta le conciliatrici parole della Prussia; la Germania sente quale debba essere il suo politico indirizzo; l’Inghilterra, cessa di por fede nel dominatore della Francia, che solo colla rivoluzione dovrà, al caso, lottare contro l’Europa conservatrice. Il non intervento in Italia, è la guerra civile e fratricida nella penisola, è la rivoluzione in Europa; è l’ingrandimento progressivo della Francia – la quale potente in Italia, vorrà pur esserlo al Reno, a ciò chiamata dai destini dell’Impero.

Rivista politica.

Trieste 28 agosto.

Non è ancora libero il reame di Napoli, che già quel paese, come la Sicilia, si divide in partiti, l’esistenza dei quali è constatata dagli atti dei capi dei medesimi.

  • Murat non rifiuta la candidatura, quando sia portato al trono come lo fu il suo cugino Napoleone III, cioè col voto popolare. Mazzini col partito unitario, non vuol re, non vuole annessione, non crede in autonomie, esso non vede che Roma per capitale e l’Italia una con essa. Gli annessionisti domandano Vittorio Emanuele, e d’essere legati ai grandi destini di………………………………. Torino. I Borboni pretendono di avere il diritto di rimanere al posto che Dio ha loro assegnato, ed il loro partito non domanda che le libertà costituzionali con Francesco II, re indipendente delle Due Sicilie. E Garibaldi, per chi lavora esso Garibaldi? Le sue parole sono esplicite – esso non è un grande politico come Napoleone vuole l’unità d’ Italia con Vittorio Emanuele, se Vittorio Emanuele vuole la prima – senza di lui, se questi si allontana dal suo programma. Guerra da Messina a Venezia, ecco la sua parola d’ordine, almeno si ha il vantaggio di sapere con chi si ha da fare, – usurpa e lo dice – meglio così. Ma chi trionferà di tutti questi partiti a Napoli? – non ci crediamo profeti, ma la lettera del Murat è troppo esplicita, perchè non si possa supporre, quali sieno le intenzioni di Napoleone III.

La Toscana, annessa e non annessa, attende ancora la sua sentenza…. chi sa che le due cause di Napoli e di Firenze non debbano essere giudicate allo stesso tribunale della Senna? Ma questa sentenza, pronunciata da un tal arbitro si lascerà che passi in giudicato? il giurì inglese non domanderà d’intervenire? le altre grandi Potenze d’Europa si acquieteranno al magno dettato dall’Imperatore della Francia? o non piuttosto sarà venuta l’ora del redde rationem?

Ma torniamo all’Italia, ove la guerra civile tien dietro all’invasione: la Sicilia è insanguinata dai proconsoli lasciati da Garibaldi su quella terra disgraziata; a Catania, a Milazzo, a Bronto le fucilazioni rispondono al grido di fedeltà al re; se in altri luoghi la rivolta alza la sua testa, e che i Governi legali in fatto ed in diritto si servono della forza per comprimerla e vincerla, s’alza un grido di disapprovazione e di minaccia       nella Sicilia è lecito e giusto fin l’assassinio, purchè questo si vesta col manto del patriottismo, tanto è pervertito il senso del giusto e dell’ingiusto.

A Garibaldi è da eroe l’invadere e l’usurpare, inibito agli aggressi il difendersi. Alla rivoluzione si aprono le vie, anzi se gliene additano le scorciatoie, onde giunga più presto e più sicura all’intento, a chi vi si oppone, forte del proprio diritto e per la conservazione della propria esistenza, si infirmano nella mano le armi coi sofismi di una politica volpina, la quale sa uccidere senza mostrare la mano ed il ferro.

Ma oramai la soluzione della questione italiana dobbiamo piuttosto cercarla alla Corte di Russia ed ai Governi di Prussia e d’ Inghilterra, che non nell’Italia stessa, è da queste Potenze che deve partire una parola, e questa non si dovrà fare attendere.

Notizie varie.

[…] ITALIA. Torino 25 agosto. Ieri sera giunse il generale Enrico Cialdini, accompagnato dal suo aiutante di campo, signor Mosti.

Domattina il generale parte col ministro Farini alla volta di Ciamberì, per ossequiare l’Imperatore e l’Imperatrice dei Francesi.

  • La Lombardia ha per dispaccio di Torino 25 agosto: Giunge in questo punto la notizia sicura esser sbarcato nelle Calabrie un altro corpo di 8.000 garibaldiani.

Altra del 26. Ieri sera doveva tenere solenne radunanza la società La Nazione, di Genova, con intervento di notabili cittadini, all’oggetto di deliberare sopra un indirizzo al re, tendente ad ottenere che sia tolto il divieto alla partenza dei volontarii. (Diritto)

  • Sappiamo che mentre Garibaldi poneva piede a terra alla Bagnara, Bertani sbarcava con Cosenz in altro punto della Calabria. (Id.)
  • Sappiamo che il corpo dei volontari comandato da Nicotera, stanziato in Toscana, venne sciolto per ordine del Governo. (Id.)

Milano 26 agosto. Nelle scorse sere ebbero luogo dei disordini. Si fecero chiudere a forza un albergo ed alcuni caffè. Ieri la questura fece pubblicare un avviso con cui richiamava all’ordine i perturbatori.

  • Troviamo nella Gazzetta popolare di Cagliari la seguente lettera di Garibaldi: Comando generale dell’esercito meridionale,

Il generale G. Garibaldi, comandante in capo le forze nazionali in Sicilia, autorizza il sig. Giovanni Sulliotti a recarsi in Sardegna per arruolare in quell’isola un battaglione di volontari sardi.

Egli ha l’autorità di riscuotere nella medesima isola le oblazioni volontarie per la Sicilia, con obbligo di darne conto.

Il comand. gen. G. Garibaldi.

Napoli 21 agosto. Leggesi nel Paese:

Si dice che la Sirena entrata ieri in porto alle 6 e mezza, annunziava lo sbarco di Cosenz nel golfo di Taranto con 4.000 uomini.

Parlasi pure di uno sbarco di Medici a Squillace con forte divisione.

  • Il filo telegrafico della linea di Basilicata è rotto.
  • Ieri verso le otto del mattino al largo delle Pigne si vide un palazzo accerchiato di guardia nazionale e truppa. A quanto abbiamo inteso, si procedeva ad un disarmo.

Si dice che erano armi della reazione, e che si fosse trovato un cannoncino.

INGHILTERRA. Londra 25 agosto. Ier sera, alla Camera dei Comuni, il sig. Kinnairs ha chiesto se erano state prese delle disposizioni per riunire la Conferenza dietro domanda della Svizzera, e se l’intenzione del Governo inglese era di riconoscere l’annessione di Savoia e di Nizza alla Francia. Kinglake disse che l’Inghilterra, quantunque non debba opporsi all’annessione della Savoia e di Nizza, non dovrebbe però riconoscerla con un atto ufficiale. Se il console inglese a Nizza dovesse morire, l’oratore spera che il Governo non chiederebbe l’exequatur per un altro console. In quanto concerne gli affari della Siria, se lord Dufferin trovava che i fucili impiegati dai Maroniti portavano la marca di una grande Potenza europea, egli potrebbe scoprire l’origine delle turbolenze; s’egli dicesse che un giornale arabo, pubblicato a Bairut, eccitava i Maroniti contro i Drusi; se scoprisse inoltre, che il giornale in questione era stampato nella capitale d’una grande Potenza, dove nessun giornale non può comparire senza l’autorizzazione del Governo, in questo vi sarebbe un altro indizio dell’origine delle turbolenze.

Lord Palmerston ha risposto che tutte le circostanze che stanno in rapporto coll’annessione della Savoia debbono creare una penosa impressione in tutti gli animi. Egli spera che la Francia si considererà come obbligata dal suo onore e dalla sua buona fede a considerare necessaria una transazione per terminare la questione nel senso della completa neutralità della Svizzera che è necessaria alla pace dell’Europa. Egli spera finalmente che la Francia soddisferà alla giusta aspettativa della Svizzera.

Quanto poi all’affare della Siria, l’Inghilterra agisce di concerto, colla Francia, Austria e Russia. La Turchia avrà l’incarico di punire i colpevoli.

RUSSIA. Scrivono da Varsavia 21 corr. all’Allg. Zeitung: “Oggi ricevo di buon luogo la comunicazione che oltre al Principe reggente di Prussia, giungerà qui anche l’Imperatore Francesco Giuseppe per farvi una visita all’Imperatore Alessandro. Di qui sarebbero già spediti gli ordini al confine, onde disporvi l’opportuno pel ricevimento del Monarca austriaco. (Noi riportiamo ciò senza farcene garanti). Come cosa certa posso annunziarvi il richiamo dei militari che si trovano in congedo. Però la coscrizione militare non avrà luogo in quest’anno”.

Il Diavoletto, Anno XIII, N. 202, 30 agosto 1860

Lo sbarco al Capo d’Armi.

Lo sbarco che fece Garibaldi in Calabria, ebbe luogo nella notte del 18 al 19 agosto. Alcuni giorni prima i due piroscafi Franklin e Pavia erano partiti da Palermo con 3.000 uomini di truppe scelte dell’esercito del dittatore. Essi ebbero l’ordine di portarsi a Taormina sulla costa orientale della Sicilia in eguale distanza dal capo del Faro, dove stavano riuniti 8.000 garibaldiani e dalla punta meridionale della Calabria. Ivi dovevano attendere gli ordini ulteriori. Garibaldi giunse il 18 a bordo del vapore inglese Black-Pince a Messina e continuò tosto il suo cammino col suo sotto- comandante Türr verso i Giardini. Da là si portò a Taormina e s’imbarcò sul Franklin. Erano le otto della sera. I suoi soldati lo salutarono con entusiastiche grida; egli tenne a questi una breve allocuzione, dicendo, essere giunto il momento di effettuare lo sbarco in Calabria e ch’egli s’abbandonava alla sua stella ed a Dio. A mezzanotte la spedizione si mise in movimento, ed in poche ore raggiunse la costa della Calabria ed entrò nel porto di Melito a oriente del capo dell’Armi, 12 miglia al sud di Reggio. Garibaldi non incontrò alcun impedimento considerevole, probabilmente perché le truppe napoletane stavano allora concentrate tra Scilla e Villa San Giovanni, rimpetto al Faro. Garibaldi si unì in Melito a Missori, il quale era stato mandato già prima a sbarcarsi come esploratore; da là mosse verso Reggio e prese la città dopo un vivo combattimento, come fu già comunicato nei fogli anteriori. Pare che nella stessa notte si era sbarcata una seconda spedizione dalla parte settentrionale, ed era forse questa il distaccamento ch’ebbe a sostenere al 23 un combattimento presso Biale. Medici e Cosenz erano rimasti in Messina e nei dintorni per servire di riserva, e per seguire, al caso, le spedizioni già effettuate. Garibaldi era così in caso di poter concentrare ad ogn’istante tutta la sua armata nella Calabria. Dopo la presa di Reggio, seguita al 21, egli fece infatti venir in Calabria anche la brigata Cosenz, la quale, mentre Garibaldi bombardava e prendeva il forte di Reggio, poté sconfiggere le due brigate napoletane Melendez e Briganti e costringerle a rendersi a discrezione, come si potè rilevare dai telegrammi della Perseveranza, pubblicati nel foglio di ieri.

Il Semaphore di Marsiglia ci offre altri interessanti dati sullo sbarco presso capo dell’Armi. Il vapore postale Bearn delle Messaggerie imperiali, arrivato da Costantinopoli, prima di entrare nello stretto di Messina, incontrò la flottiglia comandata da Garibaldi in persona, la quale deveva portare le sue truppe in terra ferma. Allorché il detto vapore francese si trovava dirimpetto alla costa calabrese, i passeggieri del Bearn potevano vedere benissimo lo sbarco avvenuto domenica, 19 agosto, alle ore 3 e mezza pomeridiane, presso capo dell’Armi. Il dittatore diresse per il primo il suo piroscafo, con a bordo 1.200 uomini, verso la costa.

Giunti a terra, i garibaldiani, condotti dai loro ufficiali, marciarono senza indugio con due o tre cannoni verso le vicine alture. Essi si perdettero in una via fra i colli, la quale è incavata nella pietra sotto il villaggio fortificato di Cinque Dattili. Nell’atto che si effettuava lo sbarco, due navigli da guerra napoletani (una fregata ed una corvetta, che avevano fatto infruttuosi sforzi per raggiungere il vapore di Garibaldi), s’erano ancorati rimpetto al villaggio ed incominciarono a cannoneggiare verso la strada sulla quale marciavano i garibaldiani ed uccisero alcuni soldati.

Il vapore Bearn, arrivato nel punto in cui venne aperto il fuoco contro i garibaldiani, fu per un momento in pericolo; giacchè a bordo dei legni napoletani si credeva che esso portasse altri insorgenti. La fregata s’avvicinò sin sotto al tiro, ma retrocesse scorgendovi la bandiera francese, e continuò il fuoco contro gli sbarcati. A Messina si calcolava a 10 sino 12.000 il numero dei soldati condotti da Garibaldi nelle Calabrie.

La resistenza fatta finora dalla flotta napoletana agli sbarchi sulle coste della Calabria si può calcolare nulla. Eppure la marina napoletana è la più forte marina italiana (121 legni con 820 cannoni), mentre Garibaldi non dispone che di sei o sette vapori difettosi.

Non dobbiamo meravigliarci se è vero quanto riferisce la Presse di Parigi, che cioè il Governo napoletano non può fidarsi dei suoi navigli (i quali portano la bandiera tricolore) per trasportare truppe, munizioni e viveri. La maggior parte delle fregate e dei vapori mercantili delle società napoletane che il Governo avea sequestrati di tempo in tempo, stanno oziosi nei porti, ed il servizio di trasporto viene effettuato da legni francesi verso l’importo di 460.000 franchi di nolo al mese.

Ogni tentativo di operare in campo aperto contro Garibaldi dovrebbe riuscire infruttuoso, se almeno una parte dell’esercito di terra non fosse più fedele della flotta, e l’esercito di terra, anche dopo le perdite sofferte in Sicilia, conta ancora 70.000 uomini d’ infanteria, 6.000 uomini di cavalleria e 6.000 d’artiglieria.

Il colpo decisivo dovrà aver luogo nella pianura di Terra di Lavoro, tra Napoli e Gaeta, il cui centro è Capua; giacchè la fortezza di Gaeta non è più un luogo di rifuggio pel re Francesco. Gaeta sarebbe un luogo sicuro solo nel caso che non potesse essere bloccata dalla parte del mare. Ma se l’armata di terra dovesse perdere una battaglia sotto le mura della capitale, ovvero nella pianura di Capua, dove stanno scaglionati 30.000 uomini tra Acera e Gaeta, allora tutta la flotta napoletana cadrebbe in possesso di Garibaldi, e con essa sarebbe perduta naturalmente anche la fortezza di Gaeta.

Il Parlamento inglese.

la spedizione di Garibaldi e la questione svizzera.

I dispacci telegrafici ci recano già un sunto della Seduta del 24 agosto della Camera dei Comuni a Londra. Crediamo di far cosa grata ai nostri lettori col riprodurre i discorsi pronunciati in questa occasione da lord Palmerston, i quali versano molto bene sulla situazione politica attuale. È vero, che mentre a Londra si discute, a Napoli si combatte, e Garibaldi prosegue nella sua via senza ostacoli, e per nulla curando gli avvisi della diplomazia; ma non è però senza interesse il sapere, come la si pensi intorno a questa spedizione dalle Camere del Parlamento inglese e sulla questione svizzera che può essere ancora uno dei passi difficili per Napoleone.

Al signor Butt, che espose avere l’Austria dichiarato che farebbe dell’invasione sul territorio del reame di Napoli un casus belli, ecco quale risposta diede lord Palmerston:

“Ho il piacere di dire che le notizie a cui ha fatto allusione l’onorevole gentleman, mancano al tutto di fondamento. Il Governo austriaco ha invariabilmente dichiarato che non è suo intendimento intervenire colla forza delle armi in qualsiasi affare fuori de’ suoi dominii e che vuole soltanto difendere i suoi confini, ov’essi fossero assaliti; esso non imprenderà nulla al di là dei medesimi.

Perciò non v’è ragione per supporre che alcuna comunicazione della natura di quella menzionata dall’onorevole interpellante sia stata fatta dal Governo austriaco, sia al re di Sardegna, sia al re di Napoli”.

Anche il signor Kinglake, dopo aver parlato della questione Svizzera, tocca anch’esso delle cose d’Italia, e gode di aver inteso che l’Austria non s’immischierà in tutto ciò che succede al di là delle sue frontiere, e che non si opporrà al movimento di Garibaldi sia contro Napoli, sia contro Roma; ma spera che Garibaldi non farà alcun attacco insensato contro la Venezia; poichè egli crede che l’Italia, non aiutata dalla Francia, sarebbe immancabilmente sconfitta, e che quindi l’Austria, inseguendo coloro che l’avessero assalita, invaderebbe tutta l’intera Penisola.

Al signor Kinglake succede il signor Bowyer il quale biasima la condotta di Garibaldi come sovvertitrice del diritto e dell’ordine europeo, e pronuncia tristi vaticinii sui risultati del movimento rivoluzionario in Italia. Questa nazione, egli dice, corre dietro a sogni di unità suscitati da uno spirito d’anarchia.

Lord Palmerston prende di nuovo la parola, egli non vuole seguire l’onorevole oratore (il signor Bowyer) in ogni parte del suo discorso, né è sua intenzione riandare gli avvenimenti passati d’Italia, o indovinare quel che succederà in quel paese. Egli non ha mai detto in un meeting, tenuto dal partito liberale, come il signor Bowyer afferma, che lo sbarco di Garibaldi in Sicilia fu il risultato della politica estera del Governo. Io, dice lord Palmerston, non pretendo d’aver preso alcuna parte nella spedizione del generale Garibaldi, ma ne parlai come un avvenimento pieno di conseguenze gravi, che richiederebbero tutta l’attenzione e la sollecitudine del Governo. Quanto ai progetti che l’onorevole gentleman attribuisce a Garibaldi, io non ho che a ricordargli che il re di Napoli ha un esercito di 60 a 70 mila soldati, ed ha una flotta potente paragonata a quella che può opporre Garibaldi. Pertanto, se il generale Garibaldi otterrà quei grandi successi che l’oratore presagisce, ciò non avverrà in virtù delle forze con cui egli potrà combattere il Governo di Napoli, ma mediante l’aiuto che gli arrecheranno le popolazioni del regno. È al tutto impossibile che la forza con cui il generale imprende la spedizione basti ad ottenere il successo, a meno che non sia aiutato dagli abitanti. Se egli riceverà o no quest’aiuto, io lascio decidere all’avvenire.

Qui lord Palmerston entra pure a parlare della questione svizzera, e rispondendo alle interpellanze del signor Kinnard egli disse: è ben noto che la conferenza fu domandata dal Governo svizzero, e che le Potenze più o meno vi consentirono. Ma varie circostanze sorsero poi, che sospesero la riunione del congresso, il quale rimane tuttavia aggiornato a tempo indeterminato. Il trattato di Torino non è stato formalmente riconosciuto da alcuna Potenza, e molto meno da questo paese, e non può dirsi che forma parte del diritto europeo. La unione della Savoia alla Francia, fu un fatto assai singolare che non può entrare nella categoria delle cessioni ordinarie di territorio fatte da uno ad altro Sovrano. La Savoia era posseduta dal re di Sardegna sotto condizioni speciali, stipulate dal trattato di Vienna e guarentite da tutte le otto Potenze. Non era in facoltà del re di Sardegna di cedere, né della Francia d’accettare quel territorio. Scopo della neutralità della Savoia era precipuamente l’assicurare l’indipendenza della Svizzera. La Savoia in mano della Francia è in posizione assai diversa per quel che riguarda il mantenimento della neutralità svizzera. La Francia, essendo uno Stato assai più potente che la Sardegna, vi è tanto più pericolo per la Svizzera. Tutte le circostanze collegate con questo fatto sono da lamentare. In gennaio e febbraio scorsi, il Governo francese promise al ministro svizzero a Parigi che tosto che la cessione sarebbe compiuta, i distretti dello Sciablese e del Faucigny sarebbero trasferiti alla Confederazione: questa promessa non è stata adempiuta. Io però spero che la Francia, per riguardo al suo onore e alla sua buona fede, si terrà in debito di terminare questa faccenda in guisa da assicurare l’integrità e l’indipendenza della Svizzera.

Non fu soltanto a riguardo della Svizzera che si stipulò la neutralità della Savoia, ma eziandio nell’interesse generale d’Europa e per la conservazione della pace.

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