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La nazione inventata

Posted by on Lug 17, 2021

La nazione inventata

La proclamazione del Regno nel 1861 suggellò la frattura fra l’antichissima identità “italiana” e la moderna idea “nazionale”. I libri di Angela Pellicciari

Nel 1998 Angela Pellicciari, addottorata in Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana, ha pubblicato “Risorgimento da riscrivere. Liberali & massoni contro la Chiesa” (Ares), una ricostruzione dettagliata della politica e della legislazione anticattolica attuata nel Regno di Sardegna dal 1848 al 1855, che – secondo Franco Cardini, autore della Postfazione – furono il tentativo di «tagliare le forti e profonde radici culturali della nazione italiana, solidamente ancorate alla Chiesa e alla tradizione cattolica».

La studiosa ha poi approfondito il tema ne “L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata” (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2000), preceduto da una Lettera di presentazione di don Luigi Negri, il quale auspica che il popolo italiano «riprenda coscienza reale della propria tradizione, contro tutte le falsificazioni ideologiche, la violenza faziosa cui il tessuto vivo della nostra tradizione è stato ed è sottoposto». Partendo dall’invasione napoleonica della Penisola, nel 1796, e dalla resistenza popolare armata – migliaia di episodi di una sola, grande Insorgenza –, lo studio delinea lo scenario politico e diplomatico di quel Risorgimento che, in questa chiave, può davvero essere semantizzato in “rivoluzione italiana” per analogia a quella francese, ma senza dimenticare che, con Edmund Burke, come l’Ottantanove fu pochissimo o punto francese giacché devastò la patria, così la “nostra” rivoluzione fu in realtà anti-italiana.

La Pellicciari si sofferma sulle figure dei protagonisti più noti, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso di Cavour e Vittorio Emanuele II di Savoia, senza trascurare gli agenti ritenuti “minori”, ma in realtà altrettanto importanti e talora decisivi, primo fra tutti l’agitatore siciliano Giuseppe La Farina, segretario generale della Società Nazionale, fondata per favorire la convergenza dei rivoluzionari sotto la bandiera sabauda. Ne emerge un quadro che si discosta non poco dalle versioni correnti delle vicende risorgimentali grazie all’abbondante uso di fonti normalmente poco utilizzate: o perché ritenute “di parte”, come “La Civiltà Cattolica”; o perché giudicate trascurabili perché irriverenti verso le tesi ufficiali, come i testi del deputato cavouriano Pier Carlo Boggio; o ancora perché poco esplorate, come i carteggi di Cavour o gli atti parlamentari dell’epoca.

Il lavoro di scavo documentario della studiosa marchigiana è quindi proseguito con la pubblicazione de “I panni sporchi dei Mille” nel 2003 (Liberal, Roma) e di “Risorgimento anticattolico” quest’anno (Piemme, pp.214, €14,50). Strettamente correlati fra loro, trattano l’uno dell’invasione del Regno delle Due Sicilie nelle testimonianze di La Farina, Boggio e dell’ammiraglio Carlo Pellion di Persano, e l’altro della persecuzione della Chiesa nelle “Memorie” di don Giacomo Margotti – un testo oggi introvabile e comunque del tutto ignorato –, il direttore del giornale cattolico piemontese “L’Armonia” noto per aver pronunciato la celebre frase «né elettori, né eletti», divenuta lo slogan degl’intransigenti.

“I panni sporchi dei Mille” ricorda come l’episodio più celebrato del Risorgimento, l’unico che potrebbe rivendicare i caratteri di epopea popolare, sia in realtà stato un’operazione di pirateria, compiuta da un gruppo di uomini armati privi di qualsiasi legittimazione giuridica, ma protetti dagli ambienti rivoluzionari internazionali, e condotta contro le più elementari norme del diritto, con l’obbiettivo di ribaltare le istituzioni di uno Stato sovrano da 700 anni riconosciuto dal consesso delle nazioni e benedetto dalla suprema autorità spirituale.

Con “Risorgimento anticattolico”, la Pellicciari ricostruisce dunque la persecuzione subita dai vescovi e la soppressione delle comunità religiose, l’annullamento parziale delle elezioni sabaude del 1857, segnate dalla vittoria dei candidati cattolici, e la legge del 15 agosto 1867, che privava della personalità giuridica circa 25mila enti ecclesiastici, operando una delle più profonde trasformazioni della struttura economica e sociale del Paese con massicci trasferimenti di terre e beni dall’asse ecclesiastico al demanio statale e a gruppi di speculatori. Recidendo le radici sociali che legavano la Chiesa al popolo, questa legge segnò una tappa decisiva del percorso rivoluzionario – iniziato con le riforme illuministe dell’assolutismo, e proseguito nel periodo giacobino e in quello napoleonico – di laicizzazione dello Stato e della società civile. Si aprì così la strada all’infiltrazione del socialismo in vasti strati della popolazione socialmente ed economicamente più debole, non più protetta dalle istituzioni religiose e sociali della Chiesa e degli antichi Stati.

Dalla lettura combinata dei quattro testi, che coprono sostanzialmente gli anni decisivi fra il 1848 e il 1861, risulta confermata, con una documentazione consistente, la ricostruzione non convenzionale del Risorgimento, elaborata negli ultimi decenni da una storiografia poco sensibile alla retorica “patriottica”. In particolare, viene descritto il carattere immediatamente ideologico dello Stato e viene individuata nelle modalità dell’unificazione del 1861 l’origine della frattura fra l’antichissima identità “italiana” e la moderna identità “nazionale”, che oltrepassa di poco il secolo ed è percepita tuttora come fragile. L’unificazione forzata della Penisola, infatti, ha avuto come prima conseguenza la totale estraneità di gran parte della popolazione alla costruzione dello Stato unitario, svoltasi sotto la guida del “partito anti-italiano”, intenzionato non soltanto a “fare gli italiani” ma anche a fare l’Italia contro gl’italiani mirando a disfare l’ethos nazionale radicato nel catto

Francesco PAPPALARDO
tratto da: Il Domenicale, 23.10.2004 (anno III),n. 43 p.3

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