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Ordine, Rivoluzione, Controrivoluzione (III)

Posted by on Set 9, 2023

Ordine, Rivoluzione, Controrivoluzione (III)

Sul termine “rivoluzione”

Che cosa vuol dire rivoluzionario? Il Grande dizionario della lingua italiana, come terzo significato, indica:

Profondamente innovativo nei confronti della tradizione nell’ambito di un’attività artistica, letteraria o speculativa (un concetto, una teoria, un’opera o una sua caratteristica).[6]

Il passaggio del concetto di rivoluzione dalla sfera politica (limitata quindi in particolar modo alla storiografia) a quella artistica e tecnologica (estesa al mondo degli oggetti di uso quotidiano) ha comportato una trasformazione in senso positivo della percezione dell’aggettivo rivoluzionario, non più legato al sommovimento radicale dell’ordine tradizionale, bensì all’innovazione, sottintendendo un intrinseco miglioramento dell’oggetto in questione: novità rivoluzionaria, un tempo quasi sinonimi di cambiamenti dello status quo (ovviamente in peggio – anche il termine novità e il derivato novatori erano considerati sinonimi di cambiamenti indesiderati dell’Ordine), adesso indicano modifiche (naturalmente in meglio)

Rivoluzione e Ordine

Abbiamo già visto come la Rivoluzione (quella con la maiuscola, che va dall’Umanesimo al transumanesimo – almeno per ora) si opponga all’Ordine. Ma ciò che si deve intendere per Ordine, altro non è che l’ordine naturale cristiano, nato dalla fusione della migliore civiltà greco-romana con i principi del Cristianesimo.

La Rivoluzione, dunque, anticristiana di per sé, anche laddove non pretendesse di esserlo, è sempre un male ed è sempre da rifiutare. Essa è sempre e comunque in guerra contro la Cristianità (maiorminor o minima che sia) e l’Ordine cristiano (o ciò che ne resta). In altre parole, rappresenta necessariamente un male ed è sempre un nemico: di conseguenza non esiste – non può esistere – una rivoluzione “buona”, i cui frutti negativi siano solo involontarie conseguenze, degenerazioni non volute.

Il Terrore, giacobino o stalinista che esso sia, non è una degenerazione delle rivoluzioni francese o bolscevica, che in tale distorta visione sarebbero positive – se non addirittura “necessarie” – in partenza e solo successivamente, a causa della malvagità di alcuni dei suoi capi, sarebbero state corrotte. Il Terrore è invece la naturale conseguenza della Rivoluzione, così come i capi di concentramento o la “soluzione finale” non sono un semplice “errore di percorso” bensì la logica conclusione di una mentalità razzista ed eugenetica presente fin dai primordi in coloro che forgiarono l’ideologia da cui nacque il nazionalsocialismo (come la Società Thule, a sua vota “debitrice” della Società Teosofica).

A tal proposito, va compreso come anche certi movimenti che apparentemente si pongono come controrivoluzionari (perché si oppongono agli eccessi rivoluzionari), provengano dalla stessa mentalità rivoluzionaria, anche se sono più moderati (e qui va ribadito il monito di Balmes: «Il partito conservatore conserva gli effetti della Rivoluzione, quello moderato si limita a moderarne gli impeti»).

Gli stessi fascismi europei si consideravano rivoluzionari: quello italiano parlava apertamente di “rivoluzione fascista”[7] e si definiva “secondo risorgimento” (presentandosi quindi come erede della “rivoluzione italiana”). Non è solo una questione di termini: la matrice dei fascismi non è tradizionale, bensì moderna; la provenienza di gran parte dei loro uomini dalla sinistra movimentista, da società segrete (massoneria compresa), da una cultura laicista o da una falsa tradizione ricreata a tavolino[8]in primis quella neopagana – presente soprattutto nel nazismo della mitopoiesi del rito[9] – delle suggestive fiaccolate notturne in occasioni di particolari momenti del calendario solare[10].

Che sia stata di fatto anticristiana (il nazionalsocialismo tedesco), indifferentista od opportunista (il Fascismo italiano, le Croci frecciate ungheresi), apparentemente o dichiaratamente cattolica (il falangismo spagnolo, il rexismo belga, le Blue shirts irlandesi) o cristiana (la Guardia di Ferro rumena), l’ideologia dei movimenti fascisti novecenteschi, eredi dell’hegelismo e dell’esistenzialismo[11], si muove nell’alveo della Rivoluzione, di cui accetta i principi, ponendo la razza (nazismo) o lo Stato (Fascismo italiano) al di sopra di tutto.

Concludiamo ripetendo quanto sosteneva Juan Vázquez de Mella: «non si possono impiccare le conseguenze, dopo aver incoronato le cause».


[1] Questo è avvenuto soprattutto nelle zone di cultura cristiana ed in particolare cattolica: una maggiore acquiescenza si è avuta nel mondo orientale (si pensi alla Cina), la cui religione tradizionale ha portato ad una accettazione quasi indolore della rivoluzione maoista.

[2] Chi propone il termine Anti-rivoluzione indica con la controrivoluzione non un pensiero assoluto, ma solo un’azione – e un pensiero – che si esprime unicamente in seguito alla Rivoluzione stessa e magari per la sola durata di essa. Il termine Antirivoluzione viene invece a coincidere con il concetto di Ordine.

[3] Si potrebbe eventualmente riscontrare un procedimento hegeliano nella triade storica Rivoluzione-Controrivoluzione-Restaurazione, essendo la pretesa “Restaurazione” del 1815 in realtà una mera conservazione dello status quo imposto dalla Rivoluzione, quindi una effettiva sintesi e non un ritorno alle origini. Peraltro va ammesso che – sempre storicamente parlando – molte cosiddette restaurazioni del XIX secolo, essendo in realtà false restaurazioni, si possono considerare come vere e proprie sintesi (in senso hegeliano).

[4] Il testo originale suona: «Al partido de 1833 le bautizaron sus instintos y se llamó moderado; al partido que nace en 1844, partido cuya vida se reconcentra en la grande idea de gobierno, le bautiza su sistema y se llama conservador: el uno estaba destinado a moderar los ímpetus de una revolución osada en sus fines y violenta en sus medios; el otro está destinado a conservar los intereses creados de una revolución consumada y reconocida». Jaime Balmes, El Pensamiento de la Nación (1844), Escritos políticos, tomo III (volumen XXV de las Obras completas), Barcelona, 1926, p. 241, cit. in Miguel Ayuso, Las murallas de la Ciudad, Nueva Hispanidad, Buenos Aires 2001, p. 124.

[5] È comunque risibile – o meglio, lo sarebbe se non si trattasse di atrocità – lo scandalo a cui si abbandonano le vestali dell’antifascismo che condannano i trenta morti causati dalla cosiddetta “rivoluzione fascista” in Italia  tra il 1919 e il 1924 (delitto Matteotti) quando non battono ciglio di fronte al fatto che nella Russia di Lenin un tal numero di assassini avveniva quotidianamente (basti pensare al massacro della famiglia dello Zar – compresi cuoco, cocchiere, cameriera e medico – avvenuta ad Ekaterinburg solo pochi anni prima).

[6] Grande dizionario della lingua italiana [GDLI], Accademia della Crusca, Utet, Torino vol. XVI, p. 1.087.

[7] «Da quali circostanze e per quale processo storico si sia espresso il nostro movimento politico, come abbia, sotto la spinta rivoluzionaria, conquistato il potere e dato una nuova costituzione allo Stato, mantenendo istituti, trasformandone altri ed altri ancora creandone di nuovi non possiamo in questa sede indagare. Qui, in sede di esposizione dottrinale, segniamo soltanto le fasi di questo rinnovamento politico, per il quale il movimento fascista ha compiuto la sua rivoluzione poggiando sovra un partito rivoluzionario, che poi divenne la base della costituzione nuova. Iniziò la sua rivoluzione con un’insurrezione, per compiere, sotto la guida d’una dittatura rivoluzionaria, quell’instaurazione rivoluzionaria, che dette origine al regime, sul quale si compose il nuovo Stato e si formò l’ordinamento costituzionale, basato sovra una legislazione prettamente rivoluzionaria. È stato un procedimento nettamente rivoluzionario, attraverso il quale si è potuta superare la crisi acuta e profonda, in cui, in un dato momento della sua storia, si dibatteva disperatamente il popolo italiano». Guido Bortolotto, Dottrina del Fascismo, Hoepli, Milano 1939, p. 362. Corsivi miei.

[8] «Anche se insistevano nel ribadire che la loro nuova fede si fondava sul passato mistico della Germania, i paganisti nazisti trovarono molta della loro dottrina nelle filosofie di un passato molto più recente». Richard Steigmann-Gall, Il santo Reich. Le concezioni naziste del cristianesimo, Boroli, Milano 2005, p. 413.

[9] La mitopoiesi del rito consiste nel creare (dal greco poiesis) il mito attraverso il rito (anziché viceversa). Mentre il cristianesimo (essendo basato su fatti reali) fa discendere il rito dal mito (o meglio dalla storia), ricordando alcuni momenti particolari della vita di Cristo, della Madonna o di alcuni santi in determinati giorni (processioni del Venerdì Santo, del 15 agosto, dell’8 dicembre, etc.), il paganesimo (falso) crea o ricrea una mitologia a partire dal rito (fiaccolate in occasioni di ricorrenze del tempo pagano che oggi hanno nomi cristiani, come la notte di – Santa – Valpurga, di San Giovanni, di Ognissanti o Halloween).

[10] In particolar modo riesumando le feste celtiche legate al ciclo solare, la cosiddetta Ruota dell’Anno che prevede otto festività di cui le quattro maggiori YuleOstaraLitha e Mabon corrispondono ai solstizi ed equinozi e le quattro minori, SamhainImbolcBeltane e Lughnasadh corrispondono ai punti mediani tra di essi.

[11] Cfr. a tal proposito, Rafael Gambra, Eso que llaman Estado, Montejurra, Madrid 1958, trad. it. Ciò che chiamano Stato, Solfanelli, 202?, cap. La moralità dell’esistenzialismo.

Gianandrea de Antonellis

fonte

Ernesto il disingannato: Ordine, Rivoluzione, Controrivoluzione

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