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PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (ventunesima parte)

Posted by on Mar 17, 2018

PAOLO MENCACCI. UNO SGUARDO ALLA RIVOLUZIONE ITALIANA (ventunesima parte)

CAPO IV.

SCORRERIA DI PISACANE.

Della scorreria Pisacane è da dire più particolarmente. Capi della spedizione erano Carlo Pisacane, già ufficiale del Genio, fuori del Regno da vari anni, Giovanni Nicotera avvocato, e Giovanni Battista Falcone studente, emigrati, tutti Napoletani e rifuggiti negli Stati sardi. Idearono essi di raccogliere una banda armata, invadere l’Isola di Ponza, e sbarcare quindi nella Provincia di Principato Citeriore. Calcolavano poi (non sappiamo con quanta ragione) che, all’annunzio di tanta impresa, Napoli, Roma, Firenze sarebbero insorte, come un sol uomo, per opera dei comitati rivoluzionari, e proclamerebbero la Repubblica. Con siffatto disegno e siffatte speranze s’imbarcarono circa un 40 cospiratori di varie regioni d’Italia sul Piroscafo Il Cagliari della società Rubattino di negozianti genovesi, destinato a viaggi fra Genova, Cagliari e Tunisi. Tutti eran muniti di regolari carte di polizia con la direzione per Tunisi, e, sotto specie di mercanzie, imbarcarono con esso loro varie casse piene d’armi.

Imbarcati che furono, 20 di essi formularono il seguente atto:

Dichiarazione dei congiurati

«Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente, che, avendo tutti congiurato, sprezzando le calunnie del volgo, forti nella giustizia della causa e della gagliardia del nostro animo, ci dichiariamo gli iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello, non senza maledirlo, sapremo morire da forti, seguendo la nobile falange de’ martiri italiani. Trovi altra nazione del mondo uomini, che, come noi, s’immolano alla sua libertà, ed allora solo potrà paragonarsi all’Italia, benché sino ad oggi ancora schiava.

Sul vapore – sul Cagliari, alle ore 9 1|2 di sera dei 25 Giugno 1857.

  1. Carlo Pisacane.
  2. Giovanni Nicotera.
  3. Giovanni Battista Falcone.
  4. Barbieri Luigi di Lerici.
  5. Gaetano Poggi di Lerici.
  6. Achille Perucci.

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  1. Cesare Faridone.
  2. Poggi Felice di Levici
  3. Gagliani Giovanni di Lerici.
  4. Rotta Domenico.
  5. Cesare Gavini di Ancona.
  6. Fuschini Federico.
  7. Lodovìco Negromonti di Orvieto.
  8. Metuscé Francesco di Lerici, marinaio.
  9. Sala Giovanni.
  10. Lorenzo Giannone.
  11. Filippo Faiello.
  12. Giovanni Cammillucci.
  13. Domenico Massone di Ancona.
  14. Ruscone Pietro.

La sera pertanto del 25 Giugno 1857 il piroscafo salpava da Genova per andare alla volta di Cagliari, quando, in altomare, i congiurati se ne impadronirono e lo costrinsero a diriggersi su Ponza. Giuntivi, sbarcarono nelle ore pomeridiane del 27,e raccolsero oltre a 300 condannati o rilegati nell’Isola. Pisacane gli ebbe prestamente ordinati in tre compagnie, gli armò di fucili, quindi s’imbarcarono tutti sul medesimo piroscafo proseguendo il viaggio. La sera del 28 giunsero a Sapri, e nelle prime ore della notte seguente misero piede a terra, al grido di «viva l’Italia, viva la Repubblica!» Il Comitato partenopeo aveva promesso, che quivi si troverebbero ad aspettarli un mille o duemila armati, che si congiungerebbero loro nell’impresa; ma non vi trovarono alcuno… Deluso, ma non scuorato, il Pisacane la mattina del 30 portossi a Torraca, villaggio poche miglia discosto, pubblicando quivi un proclama colle solite frasi: «È tempo di por termine alla sfrenata tirannide di Ferdinando II. A voi basta il volerlo. L’odio contro di lui è universalmente inteso.»

Delusioni degli invasori, avverse le popolazioni

E qui delusioni sopra delusioni. Era divisamento del Pisacane di avanzarsi su Potenza ed Auletta, dove, secondo le promesse dei Comitati avrebbe dovuto trovare molte migliaia di sollevati per dirigersi poscia su Napoli; ma non vi trovò alcuno.

All’annunzio dello sbarco, il Governo napolitano spedì nel golfo di Policastro due piroscafi, i quali la mattina del 29 di Giugno incontrarono il Cagliari fra il golfo e il capo Linosa; lo catturarono e condussero a Napoli. L’Intendente di Salerno, sig. Ajossa, nel medesimo tempo adunava in Sala Guardie urbane e Gendarmi, mentre, spediti dal Comando militare, vi giungevano due battaglioni di Cacciatori.

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Il primo di Luglio queste milizie avvicinandosi a Padula, i rivoltosi le assalirono e ne seguì un conflitto, che durò due ore; finalmente alcune compagnie di regi Cacciatori comparvero alle spalle della banda assalitrice, che si disperse. Cinquantatré furono i morti dalla parte dei rivoluzionari, molti gli arrestati. Pisacane, Nicotera e Falcone con alquanti dei loro fuggirono verso Sanza; ma assaliti quivi la seguente mattina dagli abitanti di vari paesi, che non volevano saperne della loro pretesa libertà, dopo qualche ora di combattimento, ventisette di quelli caddero sul campo, mentre 29 venivano arrestati. Pisacane e Falcone furono morti; Nicotera restò prigioniero.

Molti altri individui furono arrestati susseguentemente, e la Corte criminale di Salerno ebbe a procedere contro 284 rei di lesa Maestà. Ai 19 di Luglio, 7 ne condannava a morte, 30 all’ergastolo, 2 a trentanni di ferri, 52 a venticinque anni, 137 a pene minori; 56 vennero rilasciati in libertà provvisoria. Dei sette condannati a morte nessuno vi andò, che il crudele Re Ferdinando commutò a tutti la pena (1).

Ma perché la storia sia al caso di meglio giudicare l’aggressore e l’aggredito, troviamo in una raccolta di documenti un’importante appendice, che vogliam recare presso che a verbo, anche a costo di cadere in taluna ripetizione, che, d’altronde, servirà a chiarire meglio e a ribadire le cose narrate. .

Il libro di Racioppi

«Lo spirito organatore di libertà, scrive G. Racioppi nel suo opuscolo «La spedizione di Pisacane,» non si ravvisò veramente nel Napolitano prima del 1854, quando l’Europa civile venne a cozzo in Crimea con l’autocratismo della barbarie nordica. Da quell’anno, se non prima di poco, aliava per le città una idea vaga di Murattismo, che nell’ingrato terreno non mise mai profonde radici. Di cotai spiriti di libertà, di cotale latente e povero organismo, le prime manifestazioni apparvero sul cadere del 1856 con Agesilao Milano; a mezzo il 1857 con Carlo Pisacane.

«Nel 1856 pervenne in Napoli uno scritto mazziniano, il quale (inteso a trar moto dalle speranze rideste pel Congresso a Parigi e costituire una parte politica nazionale da opporre a tentativi della mencia parte murattina nel Napolitano, che la protezione napoleonica già venia destando) portava per epigrafe [Partito nazionale, e per titolo Appello alla Nazione. In esso sfloravansi le solite frasi dottrinarie di Sovranità nazionale, Suffragio universale, Diritto alla insurrezione ecc: dividevasi l’Italia in quattro Compartimenti;

(1) Giornale ufficiale del Regno delle Due Sicilie 1857. N. 140141144. Atto di accula e decisione della Corte Criminale del Principato Citeriore.

 

 

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si creava un Commissario promotore centrale a capo di ogni Compartimento, suddiviso in Sezioni presiedute da Commissari, che sceglievano ed organizzavano gli arruolatori dei drappelli. E tutti, tra le solite formole, davano giuramento: – per l’onore di sé stessi, per dovere verso la patria, di conservare intatto e difeso il principio della nazionalità italiana, non lasciando confondere la causa della patria con quella dello straniero qualunque siasi.

«Questo disegno, e gl’impulsi a fare pervennero per via di Malta, ove dimorava esule e capo di esuli di repubblicana fede,Nicola Fabbrizi…. (lo vedremo poi figurare maggiormente in Roma nell’attentato Garibaldino del 1867). Pochi giovani in Napolivi aderirono, e strinsero relazioni con lui e con altri esuli in Genova e, man mano, con taluni delle provincie meridionali: Salerno, Basilicata, Bari, Lecce, e più scarsamente forse con Avellino e Cosenza, giovani tutti avanzi delle carceri di Stato, o impigliati in nuova rete di processi politici, scarsi di pecunia, poco potevano; assumevano il titolo di Centro promotore del sud peninsolare. Breve nucleo; capo Giuseppe Fanelli, operoso giovane,che, lasciati gli studi d’ingegnere, trattò le armi a Roma ed a Venezia; segretario Luigi Dragone, e cooperatrice la costui moglie, sorella di Antonio Morìci, emigrato politico a Malta. Di codesto centro operosissimi raggi furono, pel Barese un Tateo di Palagiano, che poscia esule mori in Savoia; pel Salernitano i fratelli Magnone del Cilento e Vincenzo Padula, prete ardentissimo, morto poi tra i Garibaldini a Milazzo; per Basilicata Giacinto Albini (1).

«Il Congresso di Parigi adunque colla quistione di Napoli conferì a rinfocolare l’agitazione allora si maturavano in misteriosi convegni le sicule congiure del Bentivegna ed il fatto grandioso di Agesilao Milano…. che d’altronde nessun’eco ebbe nelle provincie. Il comitato di Napoli in lotta, coperta sì, ma incessante co’ centri di Londra e di Genova, chiedeva a’ Commissari delle provincie cifre statistiche degli arruolati e pronti, ma ne ricevevarisposte incompiute. In quel tempo (1856) Giovanni Matina di Diano in Salerno, passato dalle carceri di Stato alla breve e confinata libertà dell’Isola di Ponza, medita accozzare un partito tra que’ relegati, ammontanti a circa 700, pochi de’ quali erano i reduci dalla spedizione di Lombardia del 1848;

(1) Altri nomi sono indicati nelle Memorie della rivoluzione d’Italia meridionale del 1860» opera del deputato Lazzaro, pubblicata nella rassegna periodica il Progresso, per cura di L. Aponte, capo IX, maggio 1863.

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altri già, soldati dell’esercito napolitano espulsi per gesta che il lacere è bello, i più legalmente puniti per disonesti reati comuni; tutti, com’è natura de’ prigionieri, frementi de’ ceppi, aspiranti a mutazioni, tumulti, congiure. Il disegno del complotto con costoro si comunica dal Matina al comitato di Napoli, che ne scrive a Malta al Fabrizi, il quale nel gennaio 1857 ne parla a Carlo Pisacane (1). Questi, ai 3 febbraio, diceva con lettera a’ suoi amici di Napoli:

«In punto ricevo lettera di Mazzini che mi annunzia esser risoluto ii» a giuocare l’ultima carta in questo mese, al più tardi nello entrante, per uno sbarco a Livorno.» In conclusione Pisacane dubita della riuscita, e prevede che cosi si sciuperanno le ultime loro forze e speranze. Lo sbarco progettato per Livorno si converte per un tentativo nel Continente napolitano.

Una corrispondenza epistolare viene attivata tra Mazzini e il sedicente Comitato di Napoli. Pisacane se ne rallegra e affretta il momento desiderato con impazienza; elogiato da Mazzini, come l’unico per capitanare la impresa, apparecchia i mezzi a Genova. Con lettera de’ 5 Aprile spedisce a’ congiurati di Napoli tre mila lire, e ne promette altre cinque mila tra pochi giorni. Ed alle costoro esitazioni risponde, a’ 12 maggio (pag. 23 e 24), con larghi ragionamenti, ne’ quali involontariamente confessa che nelle popolazioni non trova accoglienza l’accecamento dei rivoluzionari, e dice: «Se la Basilicata promette rivoluzione, e due mila armati senza impulso, tanto più dovrà farlo con impulso. Se questo non basta, allora è segno evidente che le presenti condizioni non si vogliono mutare, e noi finiremo la carriera dopo aver fatto il nostro dovere… Voi procurate indugiare da mese in mese, e noi siamo convinti per lunga esperienza, che da qui ad un mese» saremo in non migliori condizioni, ma peggiori…. Bastano due o tre arresti che farà il Governo, e ciò può avvenire da un momento all’altro, per ruinare il tutto.» E vorrà dirsi grande partito nazionale quello degli amici di Pisacane, quando costui confessa esser bastanti due o tre arresti per ruinar tutto; ed esservi segnie videnti, che i popoli non vogliono mutare le presenti loro condizioni? – E continua a dire nella stessa lettera: – «Se tutto quello che fa il Governo di Napoli non basta per rendere ad ognuno insopportabile il presente, e per renderli pronti a seguire un generoso impulso, siate certi che tutti i concerti ed i mezzi del mondo non produrranno alcuno effetto.

(1) Lettera di Pisacane al comitato di Napoli 28 Aprile 1857, ed altre di lui allo stesso indirizzo.

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Voi chiedete sempre direzione, danaro, armi. – Direzione come la intendete voi, è impossibile (1). Mazzini non saprebbe indicarci nessuno nello interno del Reame; danaro l’avrete subito; armi…. ma, se pieni ne fossero i magazzini, rimarrebbero inutili sempre, mancando gli aderenti. Le circostanze c’impongono di troncare ogni indugio.»

Seguono nello stesso senso eccitante altre lettere di Mazzini al Comitato napolitano, dei 7 e 13 Aprile, riassumendosi nel solito concetto: – «Noi non possiamo creare la insurrezione d’un popolo, che non ne vuoi sapere, ma possiamo crearne la occasione e la iniziativa» (pag. 25 e 26). E in una del 27 del mese stesso (riferita in altra di Pisacane de’ 4 maggio, pag. 27) inviando ottomila franchi, dice:

«Il moto in Napoli non è isolato, ma si connette con altre combinazioni che fallirebbero, se si indugiasse soverchiamente. D’altra parte, il malcontento deve farsi credere esser tale tra voi, da far plausibilmente supporre, che un primo successo ponga gli animi in fermento di azione: bisogna adunque tentare (pag. 27).

Intanto la condotta riprovevole del Matina, autore del disegno di Ponza, de’ fratelli Magnone e del prete Padula nel Cilento, aveva richiamata l’attenzione del Governo e fattili restringere in carcere. – Mazzini era già venuto a Genova, e comunque fallito il suo tentativo colà nel forte del Diamante, pure dispoticamente impone a suoi corrispondenti di Napoli di precipitare le mosse. Pisacane li previene che partirà a’ 10 giugno dirigendosi a Sapri in Salerno, e risalito il Vallo di Diano per raccogliere insorti e far insorgere, dopo che avrà disarmate e disfatte le Autorità politiche del luogo. Invano i suoi corrispondenti gli dimostrano la falsità del suo disegno sconsigliato, e la impossibilità di muovere la provincia: egli, ostinato, risponde esser risoluto a tutto (pag. 31). Altre istruzioni spedisce il Mazzini con lettera del 24 maggio al Comitato di Napoli (pag. 33). A 13 giugno clandestinamente arriva in Napoli il Pisacane (2) (pag. 34) per contrattempo occorso al suo complice Rosolino Pilo (entrambi predisposti a cadere vittime della loro avventatezza)

(1) Per direzione i faziosi di Napoli intendevano che dall’estero dovessero altri venire ad assumere la pericolosa impresa di sconvolgere il Reame, ed essi rimanersene inerti ad aspettarne il successo e beccarsi dopo un pò di lucro. – Cavour, Garibaldi ed il Re di Sardegna hanno indovinato il loro voto e li hanno esauditi. La popolazione è stata estranea in tutto.

(2) Per debito di cronisti, notiamo che Carlo Pisacane, uffiziale nell’esercito napolitano, non emigrava per motivi politici, ma per accecamento amoroso, profugo a Genova con donna incestuosamente adultera. Un primo errore commesso dal Pisacane fu la causa che ei si trovasse poi ravvolto nelle trame politiche.

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ha così il destro d’assicurarsi ocularmente essere impossibile una iniziativa nel Reame senza suo impulso, e raduna intorno a sé, di sera, molti Capi popolani, tra i quali Gennaro Gambardella, Antonio Tizzo, Salvatore, Luigi e Vincenzo Fittipaldi (1); ma tutti invocano indugio, essendo senza direzione interna, senza danari e senza armi. – Pisacane se ne mostra convinto, e, nel convegno in casa Dragone, lascia le istruzioni all’anzidetto Fanelli: ai 15 parte da Napoli per Genova, donde ai 23 del mese stesso annunzia con lettera, essere ormai pel giovedì la sua partenza di colà; lo sbarco a Sapri pe’ 28 (pag. 38). Il Comitato di Napoli ne fa correre le prevenzioni in provincia; a 27 fa partire Pateras per Basilicata, e dopo di lui il sarto Giuseppe Tosiello, che ritornano impauriti pe’provvedimenti presi dalla polizia, dalla quale son fatti retrocedere. – E qui l’autore spiega: «Mazzini non volle e non poté procrastinare altrimenti il suo disegno, che si ramificava a Genova, a Livorno e nel Napolitano. Pisacane, che aveva il coraggio di tutte le iniziative, l’attrattiva di tutte le imprese romanzesche; egli che reputava non mancare allo incendio che una favilla, e potere sulle mobili fantasie meridionali un colpo di sorpresa, più che un disegno a giorno prefisso, cede alle parole di Mazzini, affinché il disegno generale di costui non fallisse per manco di aspettate cooperazioni. E lo conferma nel suo testamento politico, riportato nel Journal des Débats di Luglio 1857, che in seguito rechiamo, e nel libro del Venosta intitolato: – Carlo Pisacane e compagni martiri a Sanza, – Milano 1863, che il Racioppi definisce, ripieno di asserzioni inesatte, non vere, ingiuriose all’onore delle persone, ed alla verità storica (pag. 35). Continua l’autore a narrare come il Pisacane ai 25 Giugno si fosse imbarcato sul vapore II Cagliavi della Società Rubattino di Genova, e con lui i napolitani Gio. Nicotera e Battistino Falcone, ed altri piemontesi; come direttosi all’Isola di Ponza, per sorpresa, vi fosse sbarcato ai 27 ed avesse composta la sua milizia di 323 di quei rilegati, che dianzi ha qualificati come rei di turpitudini, che il tacere è bello; e partitone nella notte de’ 27 avesse approdato, sul vespero del 28, a Sapri nel golfo di Policastro;

(1) Con questa rivelazione del libro del sig. Racioppi rimane giustificata la misura governativa dello arresto degli accennati individui, qualche mese dopo avvenuto lo sbarco di Sapri. Si è declamato all’arbitrio ed alla ingiustizia, tuttoché presso i tre ultimi, gettate in un giardino, si fossero sorprese dieci bandiere tricolori con le epigrafi solite di Viva l’indipendenza. Dopo l’entrata dei Piemontesi in Napoli, i medesimi individui furono ricompensati con le più lucrose cariche, ma Gambardella fu ucciso da un giovanotto, cui con prepotenza quegli volea sopraffare.

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come al suo grido d’insurrezione, non solo niuno diè ascolto quivi, ed a Torraca e nella grossa borgata di Padula; ma alla voce della vendetta – all’armi! – gli uomini o fuggivano spaventati, o si nascondevano; (è costretto a confessarlo lo stesso Venosta, e l’autore a pag. 46) e le popolazioni unite alle Guardie Urbane (1) al primo impeto contro gli sbarcati rivoluzionar!, ne fanno cadere uccisi 53 ed altri 35 son fucilati di ordine del Comandante militare del 7 battaglione Cacciatori, sopraggiuntovi; mentre le palle de’ terrazzani colgono altri ritraentisi a scampo per le vie di Padula (pag. 47), e ciò avveniva a dì 1. Luglio. «Un nucleo di circa 90 uomini stretto intorno a Pisacane ricalca le orme del dì innanzi per gittarsi nel Cilento; ma vanno ad essere uccisi a colpi di falci e di scuri come lupi sviati dal bosco; ai 2 del mese stesso, procedendo verso Sanza, povero paese, con a capo la bandiera tricolore, ed al grido di Italia, gli abitanti alla loro vista suonano le campane a stormo, escono a turbe d’ogni età, d’ogni sesso, con falci, ronchi ed altri arnesi da campo, si lanciano contro Pisacane e compagni; 27 di questi col Capo cadono ingloriosamente sotto le ronche di miserabili terrieri; 29 son fatti prigionieri e feriti, tra quali Nicotera (2).

(1) Il conte Groppello, Rappresentante sardo presso la Corte di Napoli, con dispaccio de’ 4 luglio 1857, riferisce al Conte di Cavour. La banda insurrezionale del Pisacane è quasi distratta interamente, e dovunque passò oltre ad essere attaccata e battuta dalla Gendarmeria e dalle Guardie Urbane; trovava la più grande avversione nelle popolazioni, che ne uccidevano gli sbandati. (Documenti diplomatici comunicati al parlamento di Torino dal presidente de ministri C, Cavour, relativi alla vertenza col Governo di Napoli per la cattura del Cagliari).

(2) Nella tornata della Camera in Firenze, 21 marzo 1866, dicutendosi sulla elezione di Mazzini, nominato deputato in Messina, (respinta, questa nomina nella tornata del domani, con 191 voti contro 107, il deputato calabrese sig: Gio. Nicotera fe le seguenti rivelazioni; «Tutti coloro che qui seggono deputati furono cospiratori, e non sarebbero qui se non avessero cospirato…. La spedizione di Pisacane fu combinata e decisa da costui contro la opinione di Mazzini, il quale pensava che a Genova si sarebbe potuto organizzare una spedizione più in grande. Egli anzi ne aveva gettate le basi; ma accortosi che gli mancavano importanti elementi su i quali aveva calcolato, tentò tutti i modi per dissuadere il Pisacane dal partire con 25 o 30 persone. – Il Pisacane, tenace nei suoi propositi, volle fare da solo, persuaso che esso avrebbe formato il nucleo di una gran sollevazione. Mazzini mancava di fucili, ma si potevano avere 300 carabine depositate a Torino presso il marchese Pallavicini Trivulzio. Non si avevano danari; ma la emigrazione o li diede, od offerse cambiali, scontate poi dal nostro Platino, che poi fece parte della spedizione de’ Mille.»

L’oratore si versa a raccontare gl’incidenti della spedizione di Pisacane, della quale egli fece parte, per la quale partirono in 23, e soli nove sbarcarono per accidenti successi; che combatterono eroicamente. Dovevano sbarcare a Cagliari in Sardegna, e si trovarono sulle coste del Napolitano.

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Così il Racioppi il quale aggiunge che «gli Ufficiali governativi locali non di milizia ebbero bisogno, ma di concentramento di milizie urbane (pag. 51). Ond’è che, se la devozione del popolo per la Monarchia disfece quei rivoltosi sbarcati, non è a dire con quali atrocità i costoro complici, trionfanti nel settembre del 1860, corsero a vendicarli con fatti, che di popolo generoso non furono, sì vero di plebe tratta ad immatura libertà.» (pag. 53) – Sotto le quali poche parole si comprende la tragica carneficina, commessa dai garibaldini in que’ miseri paesi. Il Racioppi conchiude: «I ribelli sbarcati a Sapri, passando dalle mani di plebaglia sfrenata a quelle di giudici atterriti e di fiscali ringhiosi, furono trattati da tutti come cosa da rubello: poscia Re Ferdinando fece grazia della vita a sette sentenziati di morte (1); la storia che è severa con lui vuoi tenergliene conto.» (pag; 49) – E conto è da tenersi di codeste confessioni di uno scrittore liberale, e devoto al Piemonte; alle quali nello interesse storico è da aggiungere: 1°. Che Re Francesco II posteriormente estende la sua clemenza a’ cinque sudditi sardi condannati, come correi nello affare del Cagliari; del che riceve ringraziamenti dal Governo di Torino con dispaccio dei 23 marzo 1860 al Rappresentante sardo Villamarina, come si leggerà in seguito (2) e con i regii indulti dei 25 e 30 giugno, 1. luglio e 1. 6. e 16. Agosto, e 11 Settembre 1860. Egli accorda a tutti gli altri, e specialmente agli anzidetti sette, piena amnistia. 2°. Che ben diversamente si comportò il governo dei rivoluzionari nelle provincie meridionali per inaudita ferocia nei reati politici, bastando indicare fra gl’innumerevoli casi, quello dello sventurata spagnuolo Borjes, che con pochi compagni colto sulla frontiera degli Stati pontifici, sono assoggettati alla fucilazione senza alcuna forma giudiziaria,

Fu allora che Mazzini a Genova, visto che il vapore non aveva toccato Cagliari, comprese la trista nostra posizione e la necessità di aiutarci con tutti i mezzi. Fu questa situazione che lo spinse a suscitare il movimento di Genova, (del che scolpa Mazzini). Il partito repubblicano, (dice loratore) era il solo allora unitario in Italia, essendoché lo stesso Re del Piemonte non pensava che ad ingrandire il suo Regno ecc.»

(1) Eccone i nomi come leggonsi nella decisione della gran Corte Criminale di Salerno, 13 luglio 1858; Giovanni Nicotera calabrese, un tal Santandrea, e Giovanni Gagliani milanesi, (imbarcati con Pisacane a Genova), Luigi La Sala barbiere, Francesco de Martino sartore, Niccola Valietta, e Niccola Giordano, che espiavano pena nell’isola di Ponza, dove si associarono alla banda di Pisacane, e commisero non solo atti insurrezionali politici, ma anche gravi reati comuni, pe’ quali altresì riportarono capitale condanna.

(2) Vedi A. P. pag. 197.

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non ostante che dalle sue carte si desumesse uscire eglino dal Regno, abborrenti dal partecipare ad atti di brigan

Mitezza del Governo napolitano ed efferatezza del Governo piemontese

Per i correi di Pisacane che agirono in aperta ribellione alle leggi dello Stato, che furono giudicati da Tribunali ordinari e sperimentarono tutti la reale clemenza, si declamò tanto e tante ingiurie si scagliarono contro il Governo di Napoli, e si avrebbe quasi voluto che questo li avesse premiati, ringraziati e rimandati liberi. – Ma quando poi la rivoluzione comanderà da padrona nel Reame delle Due Sicilie, ridotto allo stato di provincia schiava del Piemonte, ben altro linguaggio si terrà. In un documento eminentemente ufficiale ed autentico sarà proclamato di ragion pubblica, che «le popolazioni del Napolitano sono proclive a ravvisare in ogni atto di mitezza del Governo un testimonio di debolezza; mentre al contrario la severità è reputata simbolo di forza… Se lo spagnuolo Borjes co’ suoi seguaci (1), se il belga Trazigny non fossero stati subito fucilati, immensi avventurieri da tutta le parti del globo sarebbero piombati nelle provincie meridionali a farvi irruzione.» (Relazione ufficiale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio nelle provincie napolitane 1863. Atti della Camera pag. 903) (2). – Inconsiderate proposizioni! che sicuramente pronunziate e scritte in un documento presentato alla Camera di Torino, tra i cui membri seggono individui che fecero parte dell’irruzione di Pisacane nei lidi di Salerno, ed altri che si aggregarono tra quegli avventurieri di tutte le parti del globo per piombare con Garibaldi sulla Sicilia, fanno ricordare ai primi, come una specie di rimprovero, ed ai secondi in aria di minaccia, che se il Governo di Napoli, anziché effondersi in atti di clemenza, avesse adottato la salutare teoria proclamata dai liberali, divenuti legislatori nell’accennata relazione, Nicotera e Compagni, lungi dal sedere nella Camera dei deputati e nei seggi ministeriali, sarebbero da un pezzo sotterrai la Sicilia non sarebbe stata rigenerata col garibaldismo, e i Borboni regnerebbero tuttora a Napoli – (Vedi A. P. pag. 570. nota 2).

Il Journal des Dèbats pubblica il testamento del Pisacane, che dice aver ricevuto da Londra. Dalla lettura di questo documento si vede di che fatta eroe fosse quel fanatico strumento dell’ambizione mazziniana, e quale sia il giudizio che gl’Italianissimi fanno di Casa Savoia, e del regime costituzionale in Piemonte. Essi abbominano l’una e l’altro, come abbominano l’Austria e il suo governo;

(1) Vedi A. P. massacro di Borjes pag. 1190 -prima stampa alligata.

(2) Vedi A. P. pag. 570, 909, 1190.

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e tutte le lodi che prodigano al Piemonte non sono che perfide ipocrisie per avere dal paese asilo, pane ed aiuto a liberamente congiurare. Ecco dunque il testamento del Pisacane:

Testamento di Pisacane

«In procinto di lanciarmi in una temeraria impresa, voglio Testamento far note al paese le mie opinioni per combattere il volgo, sempre dl Pisacane disposto ad applaudire i vincitori ed a maledire i vinti.

«I miei principi politici sono abbastanza conosciuti: io credo nel socialismo, ma nel socialismo differente dai sistemi francesi, che tutti più o meno sono fondati sull’idea monarchica, o dispotica che prevale nella nazione; è l’avvenire inevitabile e prossimo dell’Italia, e forse di tutta Europa. Il socialismo, di cui io parlo, può riassumersi con queste due parole: libertà ed associazione. Questa opinione io l’ho sviluppata nei due volumi che ho composto, che sono il frutto di quasi sei anni di studi, ed a cui, colpa del tempo, non ho potuto dare l’ultima mano, sia per lo stile, sia per la dizione. Se qualcuno dei miei amici volesse supplirmi, e pubblicare questi due volumi, glie ne sarei molto riconoscente.

«Ho la convinzione, che le strade ferrate, i telegrafi elettrici, le macchine, i miglioramenti dell’industria, tuttociò infine che tende a sviluppare e facilitare il commercio, È destinato, secondo una legge fatale, A RENDER POVERE LE MASSE, finché non si operi la ripartizione dei profitti, per mezzo della concorrenza. Tutti siffatti mezzi aumentano i prodotti; ma essili accumulano in poche mani,per cui tutto il vantato progresso non si RIDUCE CHE ALLA DECADENZA. Se si considerano questi pretesi miglioramenti come un progresso, sarà ciò in questo senso che, coll’aumentare la miseria del popolo, essi lo spingeranno infallibilmente ad una terribile rivoluzione che, mutando l’ordine sociale, metterà a disposizione di tutti, ciò che ora serve all’utile solo d’alcuni. Ho la convinzione, che i rimedi temperati, come il regime costituzionale del Piemonte e le progressive riforme accordate alla Lombardia, lungi dall’accelerare il risorgimento d’Italia, non possono fare che ritardarlo. Quanto a me non m’imporrei il più piccolo sagrifizio per cambiare un Ministero o per ottenere una Costituzione, neppure per cacciare gli Austriaci dalla Lombardia e riunire al regno della Sardegna questa provincia: io credo che la dominazione della Casa d’Austria e quella di Casa Savoja sieno la stessa cosa.

«Credo del pari, che il governo costituzionale del Piemonte sia più nocevole all’Italia, che non la tirannia di Ferdinando II. Credo fermamente che, se il Piemonte fosse stato governato nel

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la stessa maniera che gli altri Stati italiani, la rivoluzione d’Italia a quest’ora si sarebbe fatta.

«Questa decisa opinione si venne formando in me per la profonda convinzione che io ho, essere una chimera la propagazione dell’idea, e un’assurdità l’istruzione del popolo. Le idee vengono dietro ai fatti e non viceversa; e il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma diverrà istrutto tostochè sarà libero. L’unica cosa che possa fare un cittadino, per essere utile alla sua patria, è l’aspettare, che sopraggiunga il tempo, in cui egli potrà cooperare a una rivoluzione materiale.

«Le cospirazioni, i complotti, i tentativi d’insurrezione, sono a mio avviso, la serie dei fatti attraverso ai quali l’Italia va alla sua meta (l’Unità). L’intervento delle baionette a Milano ha prodotto una propaganda ben più efficace, che non mille volumi di scritti di dottrinari, che sono la vera peste della nostra patria e di tutto il mondo.

«V’hanno taluni che dicono, la rivoluzione debbe essere fetta dal paese. Questo è incontrastabile. Ma il paese si compone d’individui; e se tutti aspettassero tranquillamente il giorno della rivoluzione senza prepararla col mezzo della cospirazione, giammai la rivoluzione scoppierebbe. Se invece ognuno dicesse; la rivoluzione deve effettuarsi dal paese, e siccome io sono una parte infinitesima del paese, spetta anche a me il compiere la mia infinitesima parte di dovere, e io la compio; la rivoluzione sarebbe immediatamente compiuta, e invincibile, poiché dessa sarebbe immensa. Si può dissentire intorno alla forma di una cospirazione circa il luogo e il momento in cui debba effettuarsi; ma il dissentire intorno al principio è un’assurdità, una ipocrisia; torna lo stesso che nascondere in bella maniera il più basso egoismo.

«Io stimo colui che approva la cospirazione, e che non prende parte alla cospirazione; ma io non posso che nutrire disprezzo per coloro che non solo non vogliono far nulla, ma si compiacciono dì biasimare e maledire coloro che operano. Coi miei principi io avrei creduto di mancare al mio dovere se, vedendo la possibilità di tentare un colpo di matto sopra un punto bene scelto e in favorevoli circostanze, io non avessi impiegato tutta la mia energia nell’eseguirlo e condurlo a buon fine.

«Non pretendo già, come alcuni oziosi per giustificare sé stessi mi accusano, di essere il salvatore della mia patria, no; io Bono però convinto, che nel mezzodì d’Italia la rivoluzione morale esiste; che un impulso gagliardo può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo; ed è appunto per questo,

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che ho impiegato le mie forze per compiere una cospirazione che deve imprimere questo impulso. Se io giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri nel Principato Citeriore, credo che avrò con ciò ottenuto un grande successo personale, dovessi poi anche dopo morir sul patibolo. Da semplice individuo qual sono, sebbene sostenuto da un numero abbastanza grande di uomini, io non posso far che questo, e lo faccio. Il resto dipende dal paese, non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per questo scopo, e non esito punto a farlo.

«Sono persuaso che, se l’impresa riesce, otterrò gli applausi di tutti; se soccombo, sarò biasimato dal pubblico. Forse mi chiameranno pazzo, ambizioso, turbolento: e tutti coloro che, non facendo mai nulla, consumano l’intera vita nel detrarre agli altri, esamineranno minutamente l’impresa; metteranno in chiaro i miei errori, e mi accuseranno di non essere riuscito per mancanza di spirito, di cuore, di energia. Sappiano tutti codesti detrattori, che io li considero non solo come affatto incapaci di fare ciò che io ho tentato, ma incapaci flnanco di concepirne l’idea.

«Rispondendo poi a coloro che chiameranno impossibile il compito, dico che, se prima di effettuare simile impresa si dovesse ottenere l’approvazione di tutti, sarebbe d’uopo rinunziarvi; dagli uomini non si approvano anticipatamente fuorché i disegni volgari: pazzo si chiamò colui che in America tentò il primo sperimento di un battello a vapore, e si è dimostrato più tardi l’impossibilità di attraversare l’Atlantico con questi battelli. Pazzo era il nostro Colombo prima ch’ei discoprisse l’America, ed il volgo avrebbe trattato da pazzi e da imbecilli Annibale e Napoleone, se avessero soccombuto l’uno alla Trebbia e l’altro a Marengo. Io non ho la presunzione di paragonare la mia impresa a quella di quei grandi uomini, però vi si rassomiglia per una parte; giacché sarà oggetto della universale disapprovazione se mi fallisce, e dell’ammirazione di tutti se mi riesce. Se Napoleone, prima di lasciare l’Isola d’Elba per isbareare a Frèjus con 50 granattieri, avesse domandato consiglio, il suo concetto sarebbe stato unitamente disapprovato. Napoleone possedeva ciò che io non posseggo, il prestigio del suo nome; ma io riannodo intorno al mio stendardo tutti gli affetti, tutte lo speranze della rivoluzione italiana. Tutti i dolori e tutte le miserie dell’Italia combattono con me.

«Non ho che una parola: se io non riesco, sprezzo altamente il volgo ignorante che mi condannerà; se riesco farò ben poco caso dei suoi applausi. Tutta la mia ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza, e nell’animo dei cari e generosi amici,

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che mi hanno prestato il loro concorso, e che hanno divisi i miei palpiti e le mie speranze. Che se il nostro sacrifizio non porterà alcun vantaggio all’Italia, sarà per essa almeno una gloria l’aver generato figli, che volenterosi s’immolarono pel suo avvenire.

«Genova 24 Giugno 1857.

«Carlo Pisacane

Quanto all’autenticità di questo documento, il Giornale lL’Unione, del 27 Luglio 1858, N. 207, si esprime così:

«Questa autenticità noi avremmo stentato grandemente ad ammetterla, se persone che conoscevano intrinsecamente il defunto, non solo non ce l’avessero certificata, ma anche, per maggiore convinzione, non ci avessero mostrato un frammento dell’opera inedita di Pisacane, e di cui egli parla nel suo testamento.»

Il socialismo è il vero pensiero della rivoluzione

Posto ciò, il Pisacane non dee considerarsi, notava opportunamente L’Armonia, come un uomo isolato; mentrechè le sue idee rivoluzione. erano comuni a tutti i suoi amici, poiché furono da tanto di combinare ad un tempo cinque insurrezioni in Francia, in Spagna, a Genova, a Livorno e a Napoli. E la principale idea che campeggi in quel testamento è il Socialismo, Dalla quale dottrina non esita di trarre apertamente la conseguenza, vale a dire: una terribile rivoluzione la quale, cangiando D’UN TRATTO TUTTI gli ordinamenti sodali, volgerà A PROFITTO DI TUTTI quello che ora è volto a profitto di pochi. – Parole precise del Pisacane, le quali scendono naturalmente, come da propria sorgente, dai famosi principi dell’89, i quali invocati egualmente dai demagogia, come dai rivoluzionar! parlamentari di ogni gradazione, produssero la distruzione del gran principio del diritto sociale e cristiano cioè: neminem laedere et suum cuique tribuere. Il quale principio, sconosciuto una volta a’ danni delle proprietà più sacre, quali sono quelle della Chiesa, di necessità verrà sconosciuto a suo tempo a’ danni di quelle meno sacre della famiglia e dell’individuo. Distrutto il principio, diviene solo questione di opportunità e di forza sufficiente, l’attuazione intera dell’idea.

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CAPO V.

LA QUESTIONE DEL CAGLIARI

Poiché non si cercava altro che pretesti per dar noia al Governo di Napoli, si fece sorgere subito una nuova questione, quella cioè dell’istesso piroscafo il Cagliari, il quale apparteneva alla marineria sarda. Il medesimo, come si è detto, catturato tra il golfo di Policastro e il Capo Linosa, vale a dire nelle acque napolitano, parve buona e legittima preda al Governo delle Due Sicilie. Al contrario il Comandante del piroscafo asseriva, la cattura essere stata fatta in alto mare, e quindi fuori della giurisdizione di alcun Governo. Il Governo sardo, già s’intende, sosteneva il Capitano, e l’Inghilterra sosteneva il Governo sardo, prendendo parte al litigio a cagione dei due macchinisti, che erano sudditi inglesi.

Molto si disse e scrisse dall’una parte e dall’altra; finché nel mese di Giugno del 1859, il battello venne rilasciato.

Il Governo sardo e la nave il Cagliari

A compimento delle notizie circa l’attentato di Sapri è d’uopo aggiungere nello interesse della storia, che, mentre i tribunali napolitani procedevano al giudizio dei colpevoli, il Governo di Torino 9 non lasciava mezzo alcuno intentato per procurare i maggiori imbarazzi al Re di Napoli, affin di ottenere la impunità dei rei, e la restituzione del piroscafo Il Cagliari; volendo far credere, che il Capitano e l’equipaggio fossero stati costretti dalla forza a deviare dal cammino, e sbarcare i congiurati sulle coste del Reame. Autorità piemontesi sostengono che la pretesa violenza sia una commedia, e che il Cagliari al momento della cattura disponevasi a far discendere in altro punto i passeggieri che aveva a bordo, altri cospiratori mascherati (1).

(1) Cavour con dispaccio del 9 luglio 1857 diretto all’anzidetto Conte Groppello incarica costui a dichiarare al Governo di Napoli che «il deplorando e criminoso fatto del Pisacane ha destato la indegnazione del Governo piemontese; indegnazione che fu divisa da ogni onesta persona. «- Osserva sa questo proposito un giornale torinese del 1864, che Re Francesco II, se non fosse stato tradito, e Garibaldi fosse finito come Pisacane, Cavour non avrebbe mancato di scrivere: – II deplorando e criminoso fatto di Garibaldi ha destato la indegnazione del Governo piemontese.

Meritano essere ricordate le dotte elucubrazioni, pubblicate su questa contestazione dal chiarissimo avvocato Sig. Antonio Storace, e il ragionamento giudiziario dell’eminente Magistrato Sig. Nicola Tocco. (A. P.)

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Attitudine dell’Inghilterra

L’Inghilterra trovasi implicata in questo affare a cagione di due meccanici del Cagliari Watt e Park inglesi, scienti e complici del reato, che invocano la protezione del loro Governo. Malgrado della rottura delle relazioni diplomatiche tra le Corti di Napoli e di Londra, il Gabinetto inglese affida una missione officiosa al signor Lyons, alle cui premure il Governo napolitano aderisce a mettere in libertà Watt (18 marzo) e far trasferire all’Ospedale inglese di Napoli il Park, colpito da alienazione mentale. I giureconsulti della Corona inglese, consultati dal loro governo, giudicano pienamente legale il sequestro del Cagliari; ond’è che il Gabinetto inglese, non credendo poter intervenire direttamente nel litigio, sotto mano incoraggia quelli di Torino ne’ loro reclami. Ai 16 aprile il ministro Disraeli annunzia alla Camera dei Comuni, essersi chiesta una indennità pecuniaria, al Re di Napoli per la illegale detenzione dei due meccanici. S’inasprisce intanto la contesa tra le due Corti di Napoli e di Torino, e una rottura sembra imminente. I due Gabinetti di Parigi e di Londra concorrono a dare consigli di prudenza e di moderazione alla Sardegna, e il ministro Malmesbury nella Camera dei Lordi espone in questi termini la sua condotta:

Il ministro Malmesbury e il Cagliari

«Noi abbiamo detto al Governo sardo che, secondo l’avviso dei nostri giuristi, il Governo napolitano erasi trovato nel suo diritto, quando avea catturatoti Cagliari. Però se aveva avuto ragione sul principio dell’affare, non potea averla nel tratto successivo ritenendo la nave. Abbiamo dunque offerti i nostri buoni uffici alla Sardegna, nel fine d’indurre il Re di Napoli a restituire il Cagliari; e nel contempo abbiamo dichiarato al conte di Cavour, che riguarderemmo come deplorabilissima sventura ogni ostilità contro Napoli, a meno d’un appello preliminare allo intervento di Potenza amica, a sensi dell’ultimo Congresso di Parigi».

Nel confermare codeste dichiarazioni, Lord Derby aggiunge, che essi agiscono in questo affare in perfetto accordo col Governo francese, che prende eguale interesse al mantenimento della pace, e fa sentire gli stessi consigli. «Egli all’incontro spiega, che l’Inghilterra non ha stabilita veruna connessione tra la sua particolare domanda d’indennità per Watt e Park, ed i reclami della Sardegna: in quanto alla prima, essa esercita un diritto sul quale non può transigere; in quanto agli altri, essa, è semplicemente intermediaria, e non si crede obbligata a garantire il successo delle sue pratiche.

L’Annuaire des deux mondes (anno 1859 pag. 383) osserva opportunamente, circa la distinzione fatta da Lord Malmesbury, che il Governo napolitano avrebbe dovuto approfittarsene:

 

 

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egli non ebbe abilità da saper togliere di mezzo (désintéresser) immediatamente l’Inghilterra, e prolungò una discussione, alla quale Lord Malmesbury mise fine bruscamente colla nota dei 25 maggio, minacciando di ricorrere alla forza, se il Governo napolitano non desse pronta soddisfazione, o che almeno non accettasse la mediazione della Svezia.»

A troncare ogni vertenza, il Re di Napoli fa scrivere dal suo Nota del Ministro degli affari esteri a Lord Malmesbury, segretario del Foreign Office a Londra, il seguente dispaccio:

Nota del governo napolitano

«Napoli 8 giugno 1858.

«Milord,

«In risposta alla lettera che V. E. mi fa l’onore di scrivermi in data dei 25 maggio ultimo, mi affretto a parteciparle che il Governo del Re, mio augusto Signore, non ha mai immaginato né potea immaginare di aver mezzi per opporsi alle forze, di cui può disporre il governo di Sua Maestà britannica. E poiché emerge dal tenore della suddetta lettera, che l’affare del Cagliari, come l’E. V. chiaramente si spiega, a un altro può importar tanto, quanto alla Gran Brettagna; così non resta al Governo napolitano altra ragione ad esporre, né altra opposizione a fare. Gli è perciò, che ho l’onore di prevenire V. E. che da questo momento trovasi versata nella cassa di commercio Pook a disposizione del governo inglese la somma di tre mila lire sterline. In quanto poi agli individui componenti l’equipaggio del Cagliari, giudicabili dalla Gran Corte criminale di Salerno, e lo stesso Cagliari, sono nel caso di assicurarla, che gli uni e l’altro si trovano a disposizione del signor Lyons, essendosi già dati gli ordini alle autorità competenti per la consegna del piroscafo e de’ suddetti giudicabili. Premesso ciò, il Governo di S. M. Siciliana non ha bisogno di accettare la proposta mediazione, rimettendosi esso in tutto alla volontà del Governo britannico. Ho l’onore ecc.

«Segnato, Carafa»

Chi non ammira in questa Nota il contegno veramente dignitoso e grande del Sovrano, per ordine del quale è dettata; e la riprovevole condotta del Governo, a cui è indirizzata, il quale abusa della sua forza per sostenere la più flagrante ingiustizia?

324 –

Consegna del Cagliari

Il Console inglese, residente a Napoli, conduce il piroscafo nel porto di Genova (1). La Compagnia Rubattino proprietaria, non, contenta di riavere un legno, che è servito a commettere un atto di così scandalosa pirateria, estende le sue pretensioni per una indennità: e questa verrà pagata dalle finanze di quello stesso Regno che fu vittima dell’aggressione!.. Riportiamo per la storia i seguenti due documenti:

«Italia e Vittorio Emanuele;

«Il Dittatore dell’Italia meridionale.

Ricompense del Governo sardo

«Riconosciute e provate da solenni documenti le gravi perdite che la Società di navigazione a vapore, Raffaele Rubattino e Compagni, ebbe a soffrire per la cattura illegale del battello il Cagliari, che servì alla generosa quanto sventurata patriottica impresa di Carlo Pisacane = Decreta: = È assegnata alla Società di navigazione a vapore, Raffaele Rubattino e C. la somma di franchi 450 mila da pagarsi dalla Tesoreria di Napoli in tante cartelle del debito pubblico, corrispondenti alla effettiva somma suddetta.

«Caserta, 5 Ottobre 1860 (2).

«Garibaldi»

A questo decreto è da aggiungere il seguente:

«Italia ecc.

«Considerando che è debito di giustizia, e dovere di un Governo, interprete della gratitudine del paese, il riconoscere i grandi sacrifizi fatti a pro della patria, ed il soccorrere le vittime della tirannide: = Decreta = È accordata una pensione di ducati 60 al mese, vita durante, a Silvia Pisacane figlia dello eroico Carlo Pisacane, trucidato a Sanza nel 1857, mentre combatteva per la liberazione dei fratelli».

«Napoli, 25 Settembre 1860 (3).

«Garibaldi.»

(1) Il Console inglese dopo 7 anni rivede quella stessa provincia di Salerno, che fu teatro tragico degli aggressori provenienti dal Piemonte, quivi sbarcati sul Cagliari e non più per patrocinare la causa degli offensori, e per costringere l’offeso a pagare altresì le indennità, ma invece per venire a trattative con gli arditi montanari del Cilento, che, su l’esempio loro dato dal Governo subalpino, si credono sciolti da ogni obbligo sociale verso gl’invasori della loro patria, ed i costoro amici. Il Console inglese deve riscattare a prezzo di danaro i suoi connazionali, sequestrati dai briganti.

(2) (Giornale officiale di Napoli degli 8 Ottobre 1860).

(3) (Giornale officiale di Napoli del 27 Settembre 1860).

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I nepoti più tardi avranno a strabiliare quando, a mente fredda e scevra dalle passioni del momento, leggeranno le tante menzogne e scempiaggini, largamente propagate dal Piemonte e dai suoi affigliati settari, intorno al giudizio dei correi del Pisacane, nell’unico scopo di far onta al Governo napolitano ed attirargli contro sempre più l’odio della stolta Europa. – Eroico chiamavasi un atto di barbaresca invasione di pacifici e ben ordinati paesi; – liberazione di fratelli era detto il promuovere con modi violenti la fuga dai luoghi di pena di gente condannata per colpe nefande, delle quali, come si esprimo lo scrittore devoto alla rivoluzione, è bello il tacere; debito di giustizia il sottrarre alla stessa vittima dell’aggressione criminosa un enorme compensò per premiarne i complici e gli eredi dei colpevoli!, mentre a magnificare la personificazione di questi ultimi, si affibbia il titolo di nobiltà a molti dei principali protagonisti, s’appicca il grado dottorale di chirurgo ad un garzone di barbiere! (1).

L’Annuaire des deux mondes, che si picca di serietà, non esita ad accogliere senza nemmeno il beneficio d’inventario, tutte codeste dicerie e gratuite invenzioni, al pari di cento altre ancora, farina dell’istesso sacco, che lungo sarebbe l’enumerare non che il confutare, tutto che notoria ed evidente ne fosse la insussistenza. Non vi è nel Reame delle Due Sicilie chi non abbia a stupire nel leggere l’altra asserzione che quel giornale spacciava, essere stato cioè promosso a primo presidente della Corte suprema di giustizia un magistrato pel solo fine di allontanarlo da Napoli «c’est qui était un avancement, mais un avancement peu désirable, car éloigne de Naples celui qui le recevait» (2).

Per legge organica giudiziaria era appunto in Napoli stabilita inamovibile quella eminente magistratura; ed è ciò cosi vero, che l’individuo di cui è parola (il Presidente Niutta) non se ne allontana, e tra poco lo si vedrà figurare pel primo nella proclamazione del famoso plebiscito contro la legittima Dinastia, che aveva colmato dei più segnalati favori lui, i suoi maggiori e la sua numerosa parentela.

Intanto ai 2 di Luglio 1864, quando il Governo piemontese Monumento era padrone del Reame delle Due Sicilie, inauguravasi in Salerno un monumento al Pisacane: promotori quegli stessi Nicotera e Matina, divenuti allora Deputati del Parlamento sardo, i quali correi dell’attentato di Sapri ebbero salva la vita per grazia di Re Ferdinando II, grazia della quale il Racioppi diceva «la storia severa dover tener conto.»

(1) Vedi le cose già dette, A. P. pag. 30.

(2) Annuaire des deux mondes 1850 pag. 829 e seg.

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In quella occasione Domenico Mauro, rivoluzionario dell’antica emigrazione, nativo della colonia albanese di S. Demetrio in Calabria, recita un discorso repubblicano in cui non mancano gli elogi ad Armodio, a Bruto, a Mazzini e al suo conterraneo ed amico Agesilao Milano; assistevano a tale inaugurazione i due figli di Garibaldi. Le iscrizioni sulla base del monumento erano queste:

1°. Lato – A Carlo Pisacane precursore di Garibaldi, i cittadini redenti, 2 Luglio 1864.

2°. Lato – II 25 Giugno 1857 imbarcò in Genova sul Cagliari con Giambattista Falcone di Acri Gio: Batt. Nicotera di Sambiase Giuseppe Pezzi di Imola Ludovico Negroni d’Orvieto Lorenzo Giannone di Lerici Domenico Rolli idem Luigi Barbieri idem Felice Poggi idem Dom. Pozzo idem Cesare Faridone idem Fran. Meduni idem Domenico Mazzoni di Ancona Giovanni Cammillucci idem Achille Perucci idem Cesare Cosi idem Giovanni Gagliani di Milano Amilcare Bonomi idem Pietro Rusconi di Malgrado Carlo Rota di Monza Giuseppe Faelci di Parma Giuseppe Mercuri di Subloco Luigi Foschini di Lugo Giov. Sala idem Clemente Corte idem Giuseppe Daneri di Genova.

3°. Lato. – Sbarcò a Ponza e vinse (!?) il 27 -a Sapri il 28 Cadde eroicamente in Sanza il 2 Luglio 1857.

4°. Lata – E con lui caddero Giambatt. Falcone, Luigi Barbieri Luigi Forchini, Lodovioo Negroni, Lorenzo Giannoni, Domenico Rolli, Gio: Sala, Clemente Corte, e più che cento altri dei suoi seguaci, imbarcatisi a Ponza. (Vedi il giornalismo napolitano e sopratutti il Popolo d’Italia, 3 Luglio 1864 n. 182.

Ipocrisia cavourresca

Qui cade opportuno di ricordare con quanta ragione nel 1857 il Governo di Napoli dignitosamente e moderatamente dicesse in una nota diplomatica a quello di Torino:

«Le necessario conseguenze dei deplorabili avvenimenti avrebbero certamente potuto evitarsi, con tenersi conto degli artificiosi e noti preparativi che li han preceduti, come conviene a Governi che vogliano mantenersi all’altezza della loro propria dignità e posizione» – Allora il Cavour, facendo l’intemerato e il suscettibile, mostravasi offeso di quelle parole, e in un dispaccio del 10 Agosto 1857, diretto al Conte di Groppello, non dubitava di dire: «Ho letta la nota del Governo napolitano, e le malevolenti insinuazioni in essa contenute,

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oltre ohe sono poco conformi al linguaggio diplomatico, non potrebbero considerarsi, se non come offensive al governo di Sua Maestà sarda» – (Vedi A. P. documenti ete).

Oggi si vede, se il Governo napolitano avesse o no ragione, se sapesse o no il vero delle trame settarie, e se il conte di Cavour e il suo governo fossero così intemerati!..

Or come corollario aggiungiamo, che nel 1861, raggiunto lo scopo agognato dal Governo torinese, ne vennero onorati e decorati perfino i più oscuri suoi fautori. Ecco infatti cosa leggevasi nel giornale La bandiera italiana, Gennaio 1861:

«Ci è grato trovare nel giornale officiale del Regno, che sulla proposizione del Presidente dei Ministri, S. M. con decreto del 13 cadente gennaio ha nominato cav. del Real Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro l’avvocato Francesco Gagliani, pei molti servigi da lui resi all’ex Consolato sardo nella città di Napoli, particolarmente nella causa del Cagliari, ed in parecchie difese di esuli napolitani naturalizzati sardi, che il sullodato sig. Gagliani ha con dottrina e disinteressato zelo sostenute presso vari tribunali del Regno, quando anche l’esercizio di tale difesa, non era senza pericolo. Siffatti speciali servigi, non che le rare doti che adornano il colto giovine avvocato, giustificheranno senza dubbio agli occhi di tutti i nostri concittadini l’onorevole distinzione sovrana, colla quale il governo ha voluto rimeritarlo.

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fonte

eleaml.org

 

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