IL RISORGIMENTO………GRANDE FARSA
il nostro identitario laborino Lucio Castrese conclude il suo studio storico con la seconda parte dopo ci ha permesso di pubblicare Concetto di Rivoluzione, di seguito il testo integrale.
IL RISORGIMENTO
E’ da tempo che ci accapigliamo sull’esattezza o meno del termine risorgimento che viene usato per indicare il periodo della nostra storia di fine Ottocento.
Il termine [1], semanticamente parlando, indica il “ritorno” ad una più favorevole situazione iniziale, perduta in seguito ad un evento più o meno violento. A livello di contenuto, quindi, il vocabolo ha una connotazione (valenza?) positiva, poiché afferma o lascia intendere – senza escluderlo – che nella storia della nazione oggetto dell’esame c’è stato un periodo di prosperità, di agiatezza.
Analizzando la situazione dei vari Stati della nostra penisola prima della mobilitazione piemontese del 1860 cerchiamo di stabilire quale di questi avesse bisogno di “risollevarsi”.
Per non tediare il lettore con il ricorso a cifre e dati ormai acquisiti ed abbastanza noti[2], risulta che:
il Regno delle Due Sicilie aveva il doppio della ricchezza di tutti gli altri Stati italiani messi insieme (Regno Sardo/Piemontese, Lombardo / Veneto, Ducato di Modena-Massa e Carrara, Ducato di Parma, Granducato di Toscana e Stato Pontificio),
i titoli di Stato del Regno di Napoli, oltre a dare un rendimento del 5%, erano quotati alla Borsa di Parigi al 120%, mentre quelli del Regno Sardo/Piemontese erano quotati al 70% del loro valore nominale. Il termine non era ancora stato coniato, ma già da allora tra i due Stati c’era uno “spread” di 50 punti percentuali!!
Questi dati riescono a fornire a menti non ingombre da preconcetti e luoghi comuni un’idea della differenza che esisteva fra i due Stati e, tra i due, quale godesse di maggior benessere?
Studi sulla stessa materia – l’economia – condotti da ricercatori non sospetti di simpatie filoborboniche, mettono in evidenza:
un Regno Sardo/Piemontese indebitato con i banchieri di mezza Europa e sull’orlo della bancarotta,
una Napoli, terza capitale europea per grandezza e importanza, con 420.000 abitanti, contro i 160.000 di Torino e i 190.000 di Milano.
Facendo un semplice rapporto tra ricchezza totale e numero di abitanti relativamente alle città più grandi – la ricchezza media pro capite risulta essere: 5,49 per il Regno Sardo/Piemontese, 1,33 per il Lombardo/Veneto e il 55,65 per il Regno delle Due Sicilie.
Già da questi primi risultati – senza cadere nell’enfasi – è possibile stabilire quale Stato, della nazione che sarebbe diventata Italia Unita, avesse necessità di “risorgere”, per cui il termine “risorgimento” possiamo tranquillamente affermare che è stato usato in maniera appropriata, solo se, però, lo riferiamo ad una certa parte del nord della penisola e non cerchiamo di affibbiarlo acriticamente sempre al Meridione.
Per ritornare alle analogie riscontrate tra i due eventi (1799 e 1860), prendiamo in esame la propaganda che li precedette.
Fedeli alle raccomandazioni del Voltaire[3], i giacobini napoletani, prima di tradurre in pratica i principi rivoluzionari, misero in atto una insistente campagna diffamatoria.[4]
Cos’altro è avvenuto dopo l’invasione piemontese, quando il Regno di Napoli è stato presentato al mondo intero (al corrente delle menzogne) come il Regno del Male Assoluto, della negazione di ogni principio morale e di giustizia?
Nel 1799, il popolo, che, per i rivoluzionari era solo un’entità astratta, quando serviva alla causa, veniva fatto oggetto di qualche considerazione, quando non serviva più (perché non riusciva a condividere quei principi imposti dall’alto) veniva sprezzantemente fatto oggetto di ben altre considerazioni. E tutti quelli che non si erano voluti uniformare a principi che non condividevano, vennero sbrigativamente definiti “plebaglia”, “lazzaroni”, e giustiziati.
Non so se l’affermazione risponde a verità, ma essa viene da uno dei maggiori e più seri studiosi del Risorgimento italiano. Ebbene, secondo lo storico Denis Mc Smith, le vittime dell’operazione del 1799 superarono quelle di tutte le guerre del Risorgimento messe insieme. Nel computo sono da comprendere, le violenze dei giacobini e delle truppe francesi, le stragi dei sanfedisti e la repressione di Francesco.
Per trovare notizie delle stragi francesi e giacobine bisogna armarsi di santa pazienza e fare ricerche su ricerche. Per quanto riguarda le risposte dei sanfedisti e del re detronizzato già i termini usati rispettivamente per definirle – massacri delle orde sanfediste e efferata reazione del Borbone – invitano a non andare oltre … tanto la spiegazione è nella stessa terminologia. Ora, visto che l’adozione di una certa terminologia aveva risposto egregiamente allo scopo per l’episodio della Repubblica Napoletana, perché, sessanta anni dopo, non replicare definendo “briganti” e “razza inferiore” le persone a cui era stata tolta, invece, la terra da sotto i piedi e intorno a cui era stata fatta terra bruciata?
Nel 1799 il popolo, volendo dare un segno del suo orientamento, aveva ignorato le richieste che gli venivano dai giacobini e dai liberali, perché aveva potuto constatare sulla propria pelle, cosa intendessero per “libertà” ed “uguaglianza” costoro. E così andò ad ingrossare, prima, le file dei “sanfedisti” e poi, dal 1860 in poi, quelle dei “briganti”. Però, mentre le persone che contribuirono alla depredazione della loro terra facendo massacrare e massacrando esse stesse chiunque non condividesse le loro idee ispirano pietosi sentimenti di rispetto, gli altri, in nome dell’UGUAGLIANZA, non ne sono ritenuti degni … E nessuno trova alcunché da dire!
Se, come si sostiene, la Storia è maestra di vita, è mai possibile che non abbiano fatto testo i fallimenti dei moti del 1820 – 21(moti Carbonari), del 1831 ( moto che non conseguì alcun risultato per la scarsa partecipazione del popolo), i continui tentativi messi in atto per ben 15 anni (dal 1830 al 1845) per far scoppiare una rivoluzione (anche questi falliti per indifferenza popolare); la spedizione dei fratelli Bandiera del 1844[5] , quella di Pisacane del 1857 (moto che registrò le maggiori perdite dei rivoltosi caduti sotto la furia del popolo, che i sovversivi avevano il pallino fisso di voler liberare a tutti i costi). Da queste considerazioni discende, lapalissiana, una sola conclusione: che il popolo non ha mai avvertito il bisogno di farsi liberare. Per cui, nessun grido di dolore, nessuna volontà manifesta e dichiarata di passare da una dinastia (quella borbonica) che, secondo molte fonti, non era odiata dal popolo, ad un’altra (la savoiarda) del tutto sconosciuta, ma fatta passare per agognata ed invocata. Allora, se Risorgimento deve essere che Risorgimento sia … ma che si cambi l’angolazione dell’obiettivo e si inquadri una diversa parte della Nazione!
Castrese Lucio Schiano
[1] Voce composta dal prefisso “ri”(che sta per “di nuovo”) e dal vocabolo arcaico “sorgimento”(che sta per “sorgere”, “alzarsi in piedi”, “nascere), in Dizionario della Lingua Italiana – Garzanti (voce “sorgimento”)
[2] Per chi volesse approfondire l’argomento, si consiglia di consultare le opere di G. Savarese e di F. S. Nitti
[3] << Calunniate, calunniate sempre, in fine qualcosa resterà.>>. In C. Linzalone “ Della nostra Antica Patria” CSA Edotrice
[4] Anche per quest’argomento rimandiamo alla vasta letteratura esistente
[5] Durante questo moto, i feriti “nemici”, dai napoletani, furono trasportati i ospedale, mentre i morti furono tumulati nella Chiesa dell’Annuziata. Che differenza con il comportamento del generale Cialdini sotto le mura di Gaeta!