Sessa Aurunca: tra storia e ulivi una tradizione millenaria
Sessa Aurunca: tra storia e ulivi una tradizione millenaria – Oggi vi portiamo alla scoperta di un comune campano, molto noto per la produzione dell’Olio Evo.
Sessa Aurunca è il primo comune della provincia di Caserta per estensione territoriale ed il secondo in Campania dopo Ariano Irpino; dispone di una fascia costiera sul litorale domizio a breve distanza dal golfo di Gaeta. È separata dal Lazio ed, in particolare dalla provincia di Latina, dal fiume Garigliano. Il centro cittadino che dà il nome alla municipalità è collocato sul pendio di tufo vulcanico a sud-ovest del vulcano spento di Roccamonfina, su un piccolo affluente del Garigliano.
Il centro storico della città fa parte del parco regionale di Roccamonfina-Foce Garigliano.
Sessa aurunca: le origini del nome
Il nome Sessa deriva da Colonia Julia Felix Classica Suessa, detta anche “Suessa”, città appartenente alla Pentapoli Aurunca, nucleo storico del centro. Secondo molti, il nome deriva dalla felice posizione, sessio, cioè sedile, dolce collina dal clima mite del territorio denominato dai Romani Campania felix.
Sessa Aurinca: la storia
Il comune casertano è di antichissima origine come confermano tracce di insediamenti preistorici e le necropoli dell’VIII secolo a.C., epoca in cui qui risiedevano gli Aurunci, un antico popolo italico. Nel IV secolo a.C. fu conquistato dai Romani che sconfissero nel 313 a.C. la Pentapoli Aurunca: vi si insediò allora una colonia di diritto latino, Suessa. È proprio in questo periodo che fu costruita la cinta muraria, di cui, ancora tutt’oggi restano le tracce: è lunga due opere e mezzo con cinque/sei porte, essa fu realizzata in opus quadratum.
La posizione vantaggiosa tra la Via Appia e la Via Latina ne fa un centro di produzione agricola, i cui prodotti possono essere trasportati verso Roma o verso Capua. Nell’età imperiale Suessa conosce la sua massima espansione urbana; nel 2001 gli scavi hanno riportato alla luce il Teatro Romano, il quale ha come cornice naturale la campagna con il golfo di Gaeta all’orizzonte.
Sessa Aurunca: le principali attrazioni
La cattedrale dei Santi Pietro e Paolo
È il principale luogo di culto cattolico del comune, la cui costruzione fu iniziata nel 1113 riutilizzando in parte materiali provenienti da antichi edifici d’epoca romana, e consacrata nel 1183; l’aspetto esterno attuale fu raggiunto nella prima metà del XIII secolo con l’aggiunta del portico e del finestrone posto nella parte alta della facciata.
L’interno, invece, eliminato il soffitto a capriate già nel Duecento, rimase romanico fino a metà del Settecento quando il vescovo Francesco Caracciolo d’Altamura decise di ammodernarlo secondo i gusti e lo stile dell’epoca, ossia il barocco.
La facciata è caratterizzata da un grande portico che ne copre quasi completamente la visuale; la parte alta termina con un timpano con archetti pensili al cui interno c’è un oculo in marmo, mentre nella parte sottostante è inserita la finestra delimitata da un’edicola, dove al suo interno è inserito un bassorilievo raffigurante l’Agnus Dei, composta da due colonne, entrambe sorrette da leoni e terminanti con buoi.
Il portico sottostante è a tre arcate suddivise da pilastri a cui sono addossate colonne di diversa grandezza e fattura. Tutto il portico è animato da una ricca decorazione scultorea e l’arcata centrale ogivale è contornata da rilievi marmorei con episodi tratti dalla vita dell’apostolo Pietro, mentre nell’arcata di destra, sono presenti dei plutei con episodi tratti dal Genesi.
Nel portico si aprono tre portali. Nella lunetta della porta centrale è inserito un bassorilievo raffigurante Cristo tra i santi Pietro e Paolo su sfondo cosmatesco ed è impreziosita da rilievi marmorei con la raffigurazione di episodi dell’antico testamento. Ai lati del portale centrale sono collocate due sculture, raffiguranti una leonessa e un leone. I muri perimetrali delle navate sono costruiti con grossi blocchi quadrangolari di calcare.
L’interno della cattedrale
E’ a tre navate suddivise da colonne romane con capitelli corinzi e medioevali; a quell’epoca risalgono anche il pavimento cosmatesco, l’ambone e il candelabro per il cero pasquale. La controfacciata è oggi occupata dall’organo sospeso su una balconata sorretta da colonne antiche, il cui parapetto è composto da resti di un secondo ambone smontato.
Il pezzo artistico più pregiato di tutta la cattedrale è l‘ambone, molto simile a un pulpito, costituito da sei colonne di granito che poggiano su Leoni Stilofori e con capitelli finemente lavorati. Le colonne sorreggono, tramite archi, la cassa dell’ambone costituita da lastre mosaicate, dove sono raffigurati elementi simbolici, vegetazione, sfondi dorati, uccelli e altri animali.
Tutta la composizione è poi arricchita da figure umane ed, in particolare, due figure femminili, in posizione di cariatidi, ai lati dell’arco centrale, le figure di profeti dell’antico testamento e la figura di un uomo avvolta da un serpente e afferrato per la testa da un’aquila.
L’ambone è accompagnato dal candelabro del cero pasquale. La colonna tortile è interrotta da tre fasce con bassorilievi: in quella inferiore sono scolpite figure umane in festa; nella fascia mediana la figura del vescovo che benedice il diacono prima che questi canti l’inno dell’Exultet durante la veglia pasquale; nella fascia superiore sono raffigurati Gesù con gli apostoli Pietro e Paolo e il santo martire di Sessa Aurunca, Casto.
Molto importante nella cattedrale, sono le opere dello scultore Pellegrino o Peregrinus, che su modelli romanici innesta anch’egli i nuovi modi del naturalismo protogotico nelle varie realizzazioni plastiche degli arredi interni.
Nella cappella barocca del Santissimo Sacramento si può ammirare la Comunione degli Apostoli, capolavoro giovanile di Luca Giordano. Al di sotto del presbiterio c’è la cripta, sostenuta da venti colonne di spoglio, con pavimento in mosaico.
Il Castello Ducale di Sessa Aurunca
Costruito verso gli inizi del X secolo sulla vecchia acropoli ad opera di Landone, il castello, fu successivamente ricostruito non solo con funzioni di fortificazione militare, ma anche con funzioni residenziali per il signore della città. Fu però finito intorno al 963, in quanto nelle sue sale furono redatti gli atti del placito sessano.
Con Federico II di Svevia fu ampliato con nuove torri e divenne un centro di difesa militare del Regno di Napoli e, a partire dal XV secolo, il palazzo fu modificato per farlo diventare più adatto alla vita di corte e renderlo residenziale.
Purtroppo, nel 1688, il terremoto causò gravi danni alla struttura, la quale fu riparata sotto la guida di don Andrea Guerriero D. Torres (il tutto è rappresentato in un affresco interno). Dopo il possesso dei duchi di Paternò, nel 1806 il castello divenne proprietà del Comune, che lo usò prima come carcere e poi come scuola. In seguito ai lavori di restauro, durati dal 2007 al 2014, è stato adeguato ad ospitare il Museo Civico e la Biblioteca Comunale “Caio Lucilio”.
Il Castello è sorto sulla “rocca fortificata” della città antica; oggi, ne conserva le testimonianze attraverso archi in laterizio visibili sul lato di via A. Moro.
Il castello ha una pianta quadrangolare irregolare; alla finestra sono presenti le bifore, risalenti al XIII secolo circa, ma alcune sono state sostituite da normali finestre nel corso degli anni. Inoltre, l’originale aspetto medievale è andato via via perdendosi negli interni, ma grazie agli ultimi restauri si è cercato di sistemare il complesso monumentale, eliminando le strutture aggiunte nel XX secolo.
Il teatro romano
Costruito nel I secolo d.C., fu poi restaurato nel II secolo d.C., per poi essere abbandonato e progressivamente sepolto sotto il terreno fino agli anni ’20 del XX secolo, quando i lavori cominciarono sotto la guida dell’archeologo Amedeo Maiuri; interrotti per la seconda guerra mondiale, questi furono poi veramente ripresi solo nel 1999, per essere terminati nel 2003.
Oggi il sito è completamente restaurato ed in buone condizioni ed è il secondo teatro romano più grande della Campania dopo quello di Napoli.
Il teatro si costruì su di una collina per sfruttarne la naturale inclinazione. La cavea ha 110 metri circa di diametro, contenente tra i 6000 e i 7000 spettatori. L’edificio scenico aveva una lunghezza di 40 metri e un’altezza di 24, ed era composto di tre ordini soprapposti di 84 colonne.
I marmi usati erano pregiati e venivano da varie parti dell’Impero, come la Numidia o Carrara. Dietro le scene si può ancora trovare la latrina degli attori, risalente al III secolo d.C. Adiacente al teatro si trova un criptoportico risalente circa all’età sillana, il quale fu parzialmente scavato nel 1926 per poi essere completamente abbandonato; a differenza del teatro, però, i lavori definitivi di recupero e restauro sono terminati solo nel 2014.
Non è ancora chiaro quale fosse il suo utilizzo, ma si presuppone che gli attori lo utilizzassero per spostarsi da un luogo all’altro. Tuttavia, sui muri possiamo trovare numerose iscrizioni in greco e latino, tra cui anche alcuni versi virgiliani, che lasciano presupporre il suo utilizzo come scuola e Gymnasium.
Il parco regionale di Roccamonfina-Foce Garigliano
Area naturale protetta, il parco nacque nel 1993, con legge regionale 1º settembre 1993 n. 33 e comprende i comuni di Sessa Aurunca, Teano e cinque comuni che fanno parte della Comunità montana Monte Santa Croce: Roccamonfina, Marzano Appio, Conca della Campania, Galluccio e Tora e Piccilli.
Il parco ha una estensione di circa 9.000 ettari; l’area è dominata dal vulcano Roccamonfina ed è limitata a nord-ovest dal fiume Garigliano, a nord-est dalla catena di Monte Cesima e a sud-est dalla catena del Massico. Il Vulcano di Roccamonfina (1.006 m) è il più antico vulcano della Campania e per dimensioni è il quarto vulcano d’Italia.
Nel parco la vegetazione è dominata da castagneti; troviamo oltre 850 specie di piante vascolari sul solo vulcano di Roccamonfina e circa 200 per la zona costiera. Tra le presenze di pregio circa 40 specie di orchidee spontanee. La fauna è ricca e diversificata, in virtù delle ampie variazioni di condizioni ambientali che generano una grande varietà di habitat. Notevole è la presenza sull’edificio vulcanico dell’Ululone appenninico, mentre alla foce del Garigliano vivono le rarissime e minacciate Testuggine palustre nei canali e nelle pozze e Testuggine comune negli ambienti costieri.
Fra i mammiferi sono comuni il cinghiale, l’istrice, la volpe, la faina, la donnola, il riccio. Tra le numerose specie di uccelli, di particolare rilievo sono picchio rosso maggiore e picchio verde, ghiandaia, tortora dal collare, gazza, cornacchia grigia, cinciallegra, capinera, poiana, gheppio, gufo comune, civetta, allocco, barbagianni.
Il ponte Real Ferdinando
Detto anche Ferdinandeo o Ponte Borbonico, è un ponte sospeso sul fiume Garigliano situato nei pressi dell’area archeologica di Minturnae, sul confine fluviale che dal 1927 separa la regione Campania dalla regione Lazio.
Fu il primo ponte sospeso a catenaria di ferro realizzato in Italia e secondo ponte in Europa.
La primogenitura dell’idea di un ponte sospeso in ferro risale al 1817 e la si deve allo spirito poliedrico e innovatore, Carminantonio Lippi. Questa idea risultava anticipatrice sia per la tipologia che per l’utilizzo del ferro quale materiale costruttivo primario.
Su incarico di Francesco I di Borbone, la progettazione fu affidata all’ingegner Luigi Giura, che ne diresse anche l’esecuzione.
I lavori iniziarono nel 1828 e terminarono il 30 aprile 1832: l’inaugurazione alla presenza del re avvenne dieci giorni dopo, il 10 maggio 1832. Il sovrano si pose al centro della campata e ordinò che sul ponte passassero due squadroni di lancieri al trotto e ben sedici traini d’artiglieria. I componenti costruttivi metallici vennero prodotti nelle ferriere calabresi di Mongiana, di proprietà del generale Carlo Filangieri, principe di Satriano e duca di Cardinale. Nel 1943 la campata fu minata in due punti e fatta saltare in aria dall’esercito tedesco.
Il ponte è stato, quindi, restaurato con un progetto di archeologia industriale finanziato dalla Comunità Europea per l’interessamento dell’europarlamentare Franco Compasso. Nonostante il restauro sia terminato nel 1998, è stato inaugurato provocatoriamente e simbolicamente dal presidente dell’eureka club Giuseppe Fellone e dal gruppo Borboni di terra Aurunca il 10 settembre 2001.
Il ponte è aperto alle visite del pubblico in concomitanza con gli orari del vicino Comprensorio archeologico di Minturnae.
L’ olio extravergine di olive Terre Aurunche Dop
Uno dei principali prodotti tipici del comune di Sessa Arunca è l’Olio Evo “Terre Aurunche” DOP; l’olio prende il nome dalla varietà di oliva sessana. L’area geografica di produzione comprende per intero i territori comunali di Caianello, Carinola, Cellole, Conca della Campania, Falciano del Massico, Francolise, Galluccio, Marzano Appio, Mignano Monte Lungo, Mondragone, Rocca D’Evandro, Roccamonfina, San Pietro Infine, Sessa Aurunca, Sparanise, Teano, Tora e Piccilli.
Secondo il disciplinare di produzione, richiede l’impiego di olive provenienti per almeno il 70% dalla cultivar “Sessana”. L’olio extra vergine di oliva “Terre Aurunche“, al momento dell’immissione al consumo, presenta ottime caratteristiche fisiche, chimiche ed organolettiche, con acidità inferiore a 0,60 e un buon contenuto in polifenoli. Il gusto oscilla tra l’amaro e il piccante, mentre il colore va dal giallo paglierino al verde più o meno intenso.
Tali caratteristiche, oltre alla particolare composizione varietale della cultivar Sessana, si devono anche alla contemporanea presenza di un clima mite e di un terreno di natura vulcanica. Questo è fondamentale perché ricco in macroelementi e microelementi essenziali alla produzione di olive e di olio di qualità.
La DOP “Terre Aurunche” ha ottenuto questa denominazione con il Reg. (CE) n. 1361 del 19/12/2011; l’organismo di certificazione autorizzato è la società Agroqualità.
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