A volte ritornano… il mito garibaldino
Fra i numerosi aspetti vecchi delle recenti discussioni attorno al 150° della proclamazione del Regno d’Italia, uno in particolare risulta particolarmente interessante, perché mette il dito sulla piaga delle contraddizioni che di fronte a questa ricorrenza hanno diviso in due la sinistra italiana, sospesa tra un’acritica adesione alla più frusta mitologia liberale ed il recupero di una criticità che in Antonio Gramsci avrebbe un importante punto di riferimento: il ritorno del mito fine-ottocentesco della rivoluzione repubblicana interrotta.
Se non a livello di studi storici, una discreta serie di romanzi storici di grande diffusione, e persino Noi credevamo, il recente film di Mario Martone, hanno rilanciato l’idea di un risorgimento rivoluzionario e popolare, dalle esplicite venature proto-socialiste, che nella seconda metà del XIX secolo si sarebbe incarnato nelle Camicie Rosse di Giuseppe Garibaldi.
Ingannati con tutta evidenza da sensazioni cromatiche forti, scrittori e cineasti riproducono 150 anni dopo un mito che, come ha sottolineato Gilberto Oneto nel suo fortunato saggio L’Iperitaliano. Eroe o cialtrone? Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi (ma sull’ “avventura dei Mille” si deve rimandare anche al tagliente testo di don Gerlando Lentini, La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti) certamente portò bene alla famiglia dell’esule di Caprera, ma che ha il singolare difetto di essere del tutto falso.
In realtà Giuseppe Garibaldi fu un “rivoluzionario di professione” al servizio della massoneria à tete anglaise, la quale si servì a tutto campo ed in più continenti sia delle sue discusse capacità militari (notevoli nella guerriglia, disastrose in campo aperto) che certamente del suo personaggio, al fine di distruggere dapprima l’antico ordine sociale e politico del Regno delle Due Sicilie e dopo, con risultati molto minori, lo Stato della Chiesa; nello stesso tempo utilizzandolo anche come camera di concentramento e compensazione delle spinte ideologiche più estreme e – nello stesso tempo – come polizia speciale incaricata della repressione dei moti contadini che prendessero sul serio le promesse tipo “la terra ai contadini” generosamente disseminate da Garibaldi medesimo per favorire la sostituzione del paternalismo borbonico d’antico regime con l’efficienza capitalistica piemontese e mediatamente britannica.
La quale certamente non era ben disposta verso scivoloni socialisteggianti, come la cura di ferro milanese del generale Bava Beccaris avrebbe fatto capire al nascente proletariato dell’Italia unita non troppi anni dopo.
Se non altro questa ri-mistificazione ha dimostrato fino a che punto la sinistra italiana smentisca Bertold Brecht, e permanga alla costante e sfortunata ricerca di eroi.
Questo è il motivo per cui, a dispetto dei denari sperperati e dell’accuratezza con cui si è cercato di censurare dal dibattito storiografico ufficiale ogni voce dissonante, già oggi ci accorgiamo che la retorica delle più alte cariche dello stato e il ritrito ripetersi delle verità di regime della pedagogia politica di fine ‘800 scivolano di dosso, senza lasciar tracce, all’ascoltatore che non abbia un utile personale dal fingere di prendervi parte, fingendo nel contempo di aderirvi finché il vento non muti.
Così come non funziona la scoperta strumentalizzazione politica con cui si vuol seriamente fare credere che un ritorno al reale nella comprensione e nell’insegnamento a tutti i livelli della nostra storia nazionale fra fine XVIII e inizio XX secolo… favorirebbe la Lega.
Andatelo a dire alle migliaia di cittadini del meridione d’Italia, dall’Abruzzo alla Sicilia, che oggi, dopo decenni, non sono più disposti a continuare ad essere svillaneggiati dalla retorica scopertamente razzista e coloniale coniata dei piemontesi del tempo e rimasta ancor oggi a pesare sull’economia, la società e l’onore (sì, una parola arcaica e quindi vera) di quelle genti.
Una volta di più l’Italia neoliberale e il suo Presidente postcomunista non si dichiarano disposti a fare quello che un laico di ferro come Pierluigi Battista gli ha consigliato per limitare i danni: imitare l’acume politico di Napoleone Bonaparte Imperatore, che seppe restituire ai Vandeani la libertà di culto (sia pure mentre nel contempo imprigionava Papa Pio VII per costringerlo a ridurre la Chiesa cattolica ad una vassalla protestantizzata della Francia imperial-giacobina) dopo quindici anni di lotte civili spaventose. Vadano dunque a Casalduni e Pontelandolfo ad inginocchiarsi di fronte alla peggiore Marzabotto (ma non l’unica…) fatta dai soldati Piemontesi.
No, da noi no, non si può. Occorre che i Briganti rimangano ignoranti e fanatizzati, gli Zuavi dei mercenari venali e vili, Garibaldi un’icona Una e Trina, che il Piemonte continui ad esser favoleggiato come stato avanzato e civile e gli altri stati italiani preunitari sviliti e demonizzati, è necessario che si spaccino le minoranze attossicate dai riti delle logge come il popolo italiano, i plebisciti-farsa come il parere del popolo, si continui a tracciare e ritracciare il solco dogmatico fra il progresso e la reazione, i buoni e i cattivi, continuando a spargere la menzogna di un senso progressivo della storia che nella sua natura ideologica allucinatoria è stata la giustificazione sovrana di tutti i genocidi della modernità; è indispensabile che si rimpianga la non avvenuta protestantizzazione della Chiesa cattolica, si vituperi la sua pretesa, allora come oggi, di dire la Verità, e di proporre agli uomini la Via verso di essa; e più di tutto la sua pretesa di restare libera.
Occorre che nulla cambi nei nostri libri di testo, nei nostri film, nelle nostre TV e la neostoria orwelliana alla De Amicis continui ad appestare la nostra scuola dell’obbligo e le nostre università. E se i fatti contraddicono le loro recite pompose, tanto peggio per i fatti. Si cancellino, si vituperino, si censurino. Si critichi l’inaccuratezza delle note a piè di pagina degli studi storici scomodi per travestire di sussiego accademico la scelta di omettere all’infinito, potendo, tante verità storiche scomode, scomodissime. Si impedisca la circolazione di film come Li chiamarono Briganti di Pasquale Squitieri, che nessuno o quasi ha potuto vedere nelle sale poiché sulla “conquista del Sud” dice tante e scomode verità.
Ma alla fine tutto questo lavoro è inutile. Se una cosa il 150° ha dimostrato è che questa pantomima ottocentesca di regime non inganna più. Bene. Era ora.
Adolfo Morganti