GIUSEPPE MAZZINI (seconda parte)
“PENSIERO E AZIONE” – “DIO E POPOLO”
Se si vuole comprendere la complessa personalità di Mazzini, bisogna necessariamente far riferimento alla sintesi data dal celebre binomio “Pensiero ed azione”, chiave interpretativa della sua vicenda personale e politica: si coglie così non solo l’aspetto dell’assolutizzazione dell’idealità, ma anche, e nel contempo, quello del sofferto travaglio della concretizzazione, degli inevitabili fallimenti, del tremendo confronto con la realtà storica. Nato a Genova, Giuseppe Mazzini (1805-1872), era figlio di Giacomo, medico e docente di anatomia alla Regia Università di Genova, ex giacobino poi giunto a posizioni moderate, e Maria Rossi Drago, di cui in particolare subì l’influenza, donna di formazione giansenistica, rigida e severa nei principi morali, così come attenta e sensibile alla causa patriottica. Laureatosi in legge nel 1827, sempre nello stesso anno entrò a far parte della Carboneria, manifestando immediate riserve, sia in merito al “simbolismo complesso, i misteri gerarchici”, sia in merito alla “mancanza di fede politica”, alla base, secondo il suo modo di vedere, del fallimento dei moti del 1820 e 1821. Erano quelli gli anni di vaste quanto “disordinate” letture (Dante, Vico, Michelet ecc.), che spaziavano sul fronte dell’intera cultura europea, del crescere della sensibilità romantica e del radicarsi della visione laica e democratica della vita civile. L’attività di cospiratore carbonaro che rappresentava, nonostante le riserve, un deciso salto qualitativo nella sua vita venne tuttavia bruscamente interrotta nel 1830 a causa della delazione alla polizia da parte della stessa persona che lo aveva affiliato, Raimondo Doria. Dopo essere rimasto tre mesi in prigione a Savona, scarcerato per insufficienza di prove, fu costretto a scegliere tra il confino e l’esilio. Preferito l’esilio, si recò dapprima a Ginevra, poi a Lione ed infine si stabilì a Marsilia. Il 1831 fu un anno decisivo, di superamento della logica carbonara, di svolta rispetto alle residue speranze riposte nei confronti di Casa Savoia e di elaborazione di una proposta alternativa. Ad aprile morì Carlo Felice e gli succedette Carlo Alberto; Mazzini sia per sondare le effettive volontà del nuovo sovrano, sia per porre fine ad inutili illusioni monarchiche, gli inviò una lettera, sollecitandolo a porsi a capo del moto di riscatto nazionale: “Ponetevi alla testa della Nazione – era l’accorato appello – e scrivete sulla vostra bandiera: Unione, Libertà, Indipendenza!”. La mancata risposta positiva, anzi l’ordine di arresto, chiuse ogni possibilismo monarchico. In luglio, nel clima di grande speranza scaturito dalla rivoluzione di un anno prima, nello stesso mese, aveva scosso vittoriosamente la Francia e nella delusione per il fallimento dei moti italiani, Mazzini maturò la convinzione dell’inderogabile necessità di superare ideologicamente e organizzativamente l’esperienza carbonara. La Carboneria aveva ormai fatto il suo tempo ed aveva mostrato gravi limiti, principalmente per l’eccessiva segretezza non solo dell’organizzazione – fatto che poteva essere di per sé indispensabile – ma anche del programma, così da rendere impossibile quel coinvolgimento popolare necessario per il successo rivoluzionario: “Le rivoluzioni hanno da essere fatte pei popolo e dal popolo”. Inoltre, chiara era la mancanza di un’efficiente direzione unitaria in grado di coordinare sul piano nazionale i diversi e singoli interventi insurrezionali. Infine, la Carboneria indugiava troppo nel “gradualismo” monarchico o, ancor peggio, nella speranza di qualche aiuto straniero, come possibili ancore di salvezza dell’intricata realtà politica italiana. Di fronte a tali limiti strutturali, non rimaneva per Mazzini che proporre una nuova e radicale alternativa: la Giovine Italia, società fondata appunto nel 1831 e significativamente segnata dai motti Dio e popolo e Pensiero e Azione. L’obiettivo era costituito dalla volontà di formare uno Stato italiano indipendente, libero e repubblicano. Nel contempo la Giovine Italia si distingueva anche sul piano organizzativo e su quello del metodo di lotta alla Carboneria: pur accettando, in quanto indipensabile, la segretezza sull’identità degli appartenenti, il programma veniva pubblicizzato nel modo più ampio possibile, con l’esplicito intento di coinvolgere il popolo, la cui coscienza politica veniva formata dall’armonico interagire di educazione ed insurrezione. “L’educazione con gli scritti, con l’esempio, con la parola deve concludere sempre alla necessità e alla predicazione dell’insurrezione; l’insurrezione dovrà farsi in modo che ne risulti un principio di educazione nazionale”. Tra il 1831 e il 1834, la Giovine Italia conobbe una rapida espansione caratterizzandosi nella sostanza come partito di quadri, composto cioè da persone preparate e selezionate, pazienti nel tessere la tela della cospirazione e pronte all’azione insurrezionale. Operativamente i tentativi insurrezionali compiuti si conclusero coll’insuccesso: nel 1833 come nel 1834 l’organizzazione venne decimata dagli arresti e dalle condanne. Mazzini, constatata l’immaturità politica italiana, fondò a Berna la Giovine Europa (1834) nell’intento di coinvolgere nel programma di liberazione nazionale tutti i popoli oppressi. Intanto però maturava in lui una profonda crisi politica, nota come “la tempesta del dubbio”: l’inefficacia delle azioni insurrezionali compiute ed il tragico sacrificio di numerose vite umane ponevano certo l’esigenza di riflettere sulla validità dell’impostazione generale. Da tale crisi Mazzini comunque uscì per nulla indebolito nei suoi propositi, anzi in lui si rafforzò la convinzione della necessità di perseguire, nonostante i fallimenti contingenti, il programma di riscatto politico dall’oppressione. Riparato nel 1837 a Londra e superata la “tempesta del dubbio”, Mazzini, sensibilizzato dal più evoluto contesto inglese, caratterizzato dal rapido sviluppo industriale, si avvicinò maggiormente alla questione sociale, senza peraltro alterare strutturalmente la sua impostazione, ma semplicemente aggiornandola con l’introduzione di nuove tematiche. Nel 1840 diede quindi vita all’Unione degll Operai Itallani con lo scopo di allargare le basi della Giovine Italia, ormai completamente ricostruita organizzativamente dopo i primi gravi fallimenti. Gli anni Quaranta non diedero comunque, se non sul finire, i risultati sperati, anzi il nuovo insuccesso dell’impresa dei fratelli Bandiera in Calabria, a cui Mazzini si era dichiarato contrario, contribuì ad alienare le simpatie dell’opinione pubblica dalla Giovine Italia e a dirigerle in senso moderato. Con i moti del 1848, parve giunto il momento tanto atteso: mentre falliva l’intervento regio, la crescente partecipazione popolare determinava l’instaurazione di governi democratici a Firenze e a Roma. Qui, proclamata la repubblica, Mazzini assunse la carica di triumviro e si adoperò con abilità ed energia nella difesa della città contro la volontà di repressione delle potenze europee. Consumata anche questa possibilità, ma sempre più persuaso che in Italia il contesto fosse favorevole all’incendio rivoluzionario, riprese la sua attività organizzativa, costituendo a Londra il Comitato Nazionale italiano, col compito di dirigere l’intera rete cospirativa. Le azioni che seguirono, con nuove iniziative eversive soprattutto nell’Italia settentrionale, portarono ad altri arresti e condanne; il tentativo insurrezionale più clamoroso si ebbe a Milano, il 6 febbraio 1853, ma anche questo moto si esaurì in brevi scontri con militari austriaci, mentre veniva a mancare il supporto popolare. Dopo il fallimento milanese, sciolto il Comitato nazionale di Londra, Mazzini fondò il Partito d’Azione, dove ancora più accentuata era la volontà di formare un’organizzazione caratterizzata non tanto dalla vastità delle adesioni, quanto dall’audacia dei suoi aderenti, uomini risoluti all’azione e professionisti della guerriglia. Su questa scia, con molteplici implicazioni di natura sociale, l’iniziativa di maggior rilievo fu quella, sfortunata, operata da Carlo Pisacane nel 1857, con la liberazione di 300 detenuti nel carcere di Ponza e lo sbarco a Sapri: i contadini non soltanto non insorsero, ma addirittura, affiancando la gendarmeria borbonica, contribuirono all’opera di repressione. Mentre nel paese l’iniziativa moderata e sabauda, per merito di Cavour, prendeva il sopravvento, Mazzini si adoperò, abbandonando al momento la pregiudiziale repubblicana, sia per impedire il coinvolgimento dell’esercito francese, che avrebbe portato ad un nuovo asservimento internazionale, sia perché l’assetto istituzionale fosse espressione di un’apposita assemblea costituente e non il semplice frutto dell’espansionismo piemontese. Nel 1865 aderì alla Prima Internazionale, allontanandosene tuttavia dopo breve tempo, poiché non condivideva l’impostazione classista e materialista di Marx: allo stesso modo giudicò negativamente la Comune di Parigi del 1870. Sempre più amareggiato e deluso, nonostante la raggiunta unità del paese, per le scelte così diverse da quelle democratiche e repubblicane, per le quali aveva lottato tutta l’esistenza, Mazzini visse gli ultimi anni di vita in profonda polemica con il governo italiano. Morì nel 1872 a Pisa, dove in ultimo viveva sotto il falso nome di Giorgio Braun, forse in riferimento a quel John Brown, simbolo della lotta per l’abolizione della schiavitù in America.
“Dio e Popolo” Per comprendere appieno il senso del programma insurrezionale e i diversi tentativi compiuti, bisogna far riferimento alla concezione mazziniana della storia, espressione dell’inesauribile attività creatrice di Dio e pertanto in continuo “progresso”. All’interno della storia gli individui e i popoli sono chiamati, secondo Mazzini, dal comando divino a contribuire al bene dell’umanità: gli individui nella cosciente attuazione dei propri personali doveri – l’Apostolato dei doveri – i popoli nella realizzazione della loro Missione storica. Riprendendo lo storico e uomo politico francese Guizot, che aveva posto in risalto il primato esercitato dalla Francia con la Rivoluzione francese, Mazzini rivendicava per l’Italia un preciso ruolo storico: dopo aver manifestato già in passato il proprio primato con la Roma dei Cesari, per la forza delle armi, e in seguito con la Roma dei Papi, per il potere dello Spirito, ora era il momento per l’Italia di illuminare nuovamente il mondo con l’avvento della terza Roma, la Roma del Popolo. il riscatto nazionale si configurava cosi’ come il possibile elemento costitutivo del ritorno e del Primato italiano, motivo di esempio e di guida per la liberazione di tutti i popoli oppressi. Sono dunque due i perni attorno ai quali ruota il sistema storico di Mazzini: Dio, innanzitutto, in quanto incessante creatore, e il popolo, inteso quale attore principale del progresso. Per quanto concerne il primo aspetto, profonda e sincera fu senza dubbio la religiosità di Mazzini, anche se radicalmente diversa dalla comune visione trascendente di Dio sorretta, come nel caso del Cristianesimo, dalla Rivelazione: al contrario, decisamente critica fu la sua posizione nei confronti dell’azione conservatrice, esercitata dalla Chiesa cattolica. Si tratta pertanto di eliminare dalla fede tradizionale ogni motivo di freno al progresso storico, instaurando un nuovo credo, la religione dell’umanità, caratterizzata dalla presenza di Dio quale principio immanente, forza etica superiore, la cui rivelazione è da cogliere nell’ambito della storia stessa. Accanto a Dio il secondo termine del noto ed inscindibile binomio fu, come si è detto, il Popolo. Al riguardo non è facilmente riportabile la definizione e ciò certamente non a caso, ma a causa dello stesso schema storico elaborato da Mazzini e delle sue oscillazioni culturali. In ogni modo, anche se inizialmente riscontriamo la tendenza, tipicamente buonarrotiana, ad identificare popolo con le masse lavoratrici, la definizione maggiormente pertinente rimane quella generica di “aggregato di tutte le classi”. Infatti, chiaro è l’intento di ricercarne la compattezza, l’unità per evidenziarne il ruolo politico contro ogni forma di dispotismo. La questione sociale, seppur sempre richiamata all’attenzione, veniva di conseguenza non respinta, ma posta in secondo piano, dopo la soluzione del problema dell’unità nazionale. Per tale motivo l’ispirazione del mazzinianesimo fu prevalentemente politica, con motivi e finalità di natura democratica e repubblicana, piuttosto che di natura sociale. Nei confronti del socialismo, poi, Mazzini fu certo interessato e per certi aspetti affascinato, dalle correnti utopistiche, con particolare riferimento alle teorie di Saint-Simon e Fourier, ma respinse in modo deciso quelle concezioni materialiste, come il marxismo, che rifiutavano qualsiasi valida implicazione spiritualista, morale e religiosa, e tendevano all’annullamento della proprietà privata. |
fonte
brigantaggio.net