I monumenti non si toccano (1822-1839)
Sapevi che era vietato portare fuori dal Regno delle Due Sicilie opere d’interesse storico ed artistico. Così stabilì, in effetti, Ferdinando I. Che, con un decreto del maggio 1822, vietò di togliere dal posto in cui si trovavano quadri, statue, bassorilievi, oltre a tutti gli oggetti e monumenti d’arte e storici.
Presenti tanto negli edifici pubblici e nelle chiese quanto nelle cappelle soggette a diritti di patronato. Il decreto vietava anche di demolire o comunque di arrecare degrado ad antiche costruzioni, pur se ricadenti in fondi privati, come nel caso di templi, basiliche, teatri, anfiteatri, ginnasi, acquedotti, mausolei di pregiata architettura e mura di città distrutte. Era proibito, infine, esportare qualsiasi oggetto d’arte e d’antichità, anche se di proprietà privata, senza preventivo permesso. Che sarebbe stato eventualmente accordato soltanto in mancanza di un merito tale da interessare il decoro del Regno. Sarebbe stata chiamata a giudicare l’oggetto, stabilendone il merito, l’istituenda Commessione di antichità e belle arti. Successivamente, nel settembre 1839, Ferdinando II volle adottare un decreto che, richiamandosi a quanto sopraprescritto, desse maggior efficacia alle misure per conseguire l’importante fine di preservare da ogni degredazioni i pregevoli monumenti antichi e di arte. In tal senso stabilì che gli stessi fossero posti sotto la sorveglianza delle autorità amministrative dipendenti dal Ministero degli affari interni e che dovessero essere ben conservati dai proprietari. Essi, in particolare, avrebbero dovuto vigilare perché non si alteri né si deturpi l’antico con lavori moderni, senza eseguire restauri privi di permesso, da rilasciarsi previo esame e parere dell’Accademia di belle arti. Le contravvenzioni sarebbero state considerate come violazione dei monumenti pubblici. Il decreto del 1839 stabilì, inoltre, che monumenti di particolar pregio, suscettibili di essere conservati in modo migliore e di essere utili allo accrescimento de’ mezzi di eccitare il genio della gioventù coll’esempio degli antichi maestri nell’arte, potessero essere trasferiti dal sito originario al Museo Borbonico, ove sarebbero stati esposti alle osservazioni degli amatori e de’ dotti, ed all’istruzione del Pubblico. Al loro posto, sarebbero stati messi o delle copie o degli adeguati ornamenti a spese del predetto Museo. Ciò non valeva per i quadri delle chiese che, ancorchè capolavori, dovevano restare nel luogo originario, ferma restando la stretta vigilanza.
Arte dell’interpretazione autentica (1851)
Sapevi che per risolvere conflitti di competenza e possibili ambiguità circa la conservazione dei monumenti Ferdinando II firmò, nel maggio 1851, un apposito decreto. Con il quale, prendendo spunto dal caso del restauro dell’Arco Felice sulla strada da Caserta a Capua e a chi spettassero le relative spese, materia peraltro già rimessa al Consiglio di Stato, il terzo sovrano del Regno delle Due Sicilie intese risolvere la questione con un’interpretazione autentica. Stabilendo in punto di massima che tutte le spese necessarie per la conservazione e restauro dei monumenti antichi o di arte che si trovassero sulle strade fossero poste a carico della Tesoreria generale, delle province, dei comuni e dei privati, a seconda che le strade fossero regie, provinciali, comunali o vicinali. Senza che ciò inficiasse le competenze, già stabilite con decreto del 1839, della reale Accademia di belle arti, in relazione al preventivo parere e connesse prescrizione che questa doveva fornire per i restauri.