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La Controstoria di Gianni Morra

Posted by on Ott 20, 2016

La Controstoria di Gianni Morra

È da qualche anno, che casualmente, ho conosciuto piccoli pezzi della controstoria risorgimentale. Ho cominciato a leggere la storia scritta dai vinti con l’intento di conoscere dopo tanti anni la verità anche cruda di quanto avvenuto nel meridione e che ancora oggi sembra essere un tabù nonostante il tempo trascorso.

Approfondendo la lettura di quel periodo storico, attraverso scritti di giornalisti e scrittori non di parte, mi sono reso conto, che per mia doverosa informazione, dovevo rivedere le nozioni apprese sul nostro risorgimento a partire dalle elementari, e riflettere anche sulla efficace organizzazione di tutti i governanti a presentare dopo l’unificazione, storielle molto gradite per le loro ideologie unitarie. Per settanta anni ero rimasto con buchi enormi nella conoscenza della nostra storia e non avevo una buona comprensione delle motivazioni del divario economico e non solo tra il meridione e il resto del paese.

L’unità d’Italia, fu voluta fortemente dal Piemonte, che colse appieno il vento di cambiamento che spirava sull’europa ed essendo un piccolo stato e nemmeno molto importante, approfittò delle spinte unitarie che arrivavano anche da altri paesi, per inserirsi nella politica dell’europa che contava con l’abilissimo Cavur, capo del governo di Vittorio Emanuele. Cavur riuscì a convincere e accordarsi con Napoleone III su una confederazione in italia di tre stati: a nord il Piemonte, al centro il papato a sud le due Sicilie. Si accordò inoltre con l’Inghilterra che a parte i molteplici interessi in sicilia messi in discussione dai Borbone, voleva anche la supremazia del mediterraneo meridionale in vista dell’apertura di Suez.

Come sappiamo le cose non andarono così: Napoleone III pretese per gli aiuti promessi la cessione dal piemonte di Nizza e della Savoia. Al Piemonte costò non poco la cessione di quei territori, che lasciò per la grandissima determinazione che aveva per riunificare l’Italia. Il prezzo pagato ai francesi, fu però girato immediatamente al regno delle due Sicilie, che fù non più annesso per una confederazione, bensì occupato per la sua ricchezza che serviva a ricavare la liquidità necessaria al Piemonte sull’orlo della bancarotta, per tutti i debiti accumulati per le ultime guerre. Da quel momento, il meridione, spogliato di tutto, doveva diventare solo un grande mercato delle merci che si sarebbero prodotte solamente al nord.

L’errore politico dei consiglieri del giovanissimo Re Francesco (23 anni), da poco succeduto al padre prematuramente morto fu di estraniarsi dalle relazioni internazionali con i paesi importanti d’Europa e di ritenersi al sicuro perché rassicurato da V. Emanuele (era suo zio) sulla non belliggeranza Sabauda e di ritenersi protetto al nord dal confine con “l’acqua santa” (col papato) e nel resto del paese dal mare. Inoltre non si presero le necessarie misure per proteggersi da spie e corruttori piemontesi, che arrivarono in gran numero minando le basi dell’esercito borbonico, corrompendo molti generali e ufficiali.

Forse la prematura morte di Ferdinando II accelerò le operazioni nelle 2 sicilie con lo sbarco di Garibaldi a Marsala, che trovò buona accoglienza per l’assenza dell’esercito borbonico con a capo alcuni generali corrotti, ma anche per le promesse che faceva di dare la terra ai contadini e per l’accordo con la mafia che volentieri si prestò in cambio di un potere istituzionalmente riconosciuto. Anche a Napoli dove arrivò senza combattere, si verificò uno scenario simile a quello siciliano, con la camorra assoldata per il mantenimento dell’ordine pubblico dall’ex ministro degli interni Liborio Romano che cambiò casacca con la nomina a prefetto conferitagli da Garibaldi.

L’esercito, fedele al giovane Re si spostò nella zona Capua- Garigliano e infine a Gaeta dove pur combattendo con grande coraggio e abnegazione contro un’invasione non dichiarata ma tollerata dalle grandi potenze, subì la sconfitta soprattutto per il gap tecnologico a favore delle armi piemontesi, dotate di modernissimi cannoni a canna rigata e con gittata molto più lunga di quelli tradizionali utilizzati dai borbonici.

Dopo la disfatta, l’arroganza dei vincitori e le deportazioni dei soldati nei campi di concentramento del nord, alcuni dei quali con condizioni ambientali disumane come Fenestrelle in Piemonte dove la maggior parte dei deportati morì di stenti, diedero l’inizio a una lunghissima ”resistenza ai fratelli invasori”, che fu chiamata brigantaggio. Ancora una volta utilizzando termini impropri e distorti: da propaganda, per presentare agli occhi del mondo una situazione diversa da quella che era stata dichiarata come annessione richiesta dal popolo e attuata con plebisciti popolari.

I Borbone furono regnanti miti e in alcune occasioni anche molto tolleranti rispetto allo standard dell’epoca. Cosi scrisse di loro dopo l’unità d’Italia Luigi Settembrini che ne fu un acerrimo nemico: figli miei bestemmiate la memoria di Ferdinando II, è sua la colpa di questo: se egli avesse impiccato noi altri, oggi non si starebbe a questo; fu clemente e noi facemmo peggio. (Si riferiva alla rivoluzione del ’48.)

Conoscere la vera storia e ciò che realmente successe al di là di tutta la disinformazione, deve servire a una presa di coscienza collettiva che ci svincoli da una sudditanza psicologica fortemente voluta allora come oggi. Gli stessi politici meridionali che ci hanno rappresentato, non l’hanno percepita forse appagati da altri motivi e non hanno lottato per i veri problemi del sud.

“la questione meridionale” potrà essere risolta con un paese realmente omogeneo ed anche più ricco per i contributi di un meridione colto, turisticamente avanzato e organizzato, con un’agricoltura d’avanguardia, con eccellenze nel campo della ricerca scientifica e un territorio dotato d’infrastrutture efficienti e ben distribuite sull’intero meridione. Dopo più di 150 anni, al mezzoggiorno è dovuto tutto questo.

A.G.Morra

 

 

 

 

 

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