LUISA MATERA DALLA CALABRIA CI RACCONTA LA GRANDEZZA DEL DUCATO DI SESSA (terza parte)
S’inginocchiò e ponendo le palme sulle pagine sante, a voce alta fu udito: <A te Giovanni d’Angiò, qual Duca delle Calabrie e vicario del padre tuo renato, legittimo e vero Re di Napoli e Signor nostro, io giuro fedeltà, e me e i miei vassali pongo in tua mano fino all’ultima goccia di sangue……..segue da seconda parte…..
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in poche parole, il d’Angiò arrivò a Sessa, ufficialmente, per tenere a Battesimo l’ultimo nato in casa Marzano, al quale fu imposto il nome di Giovambattista, in onore dell’angioino. In realtà, mentre fervevano i festeggiamenti, tutti i Baroni pervenuti, si accordarono per spodestare finalmente Re Ferrante dal trono di Napoli. In tutta la Terra di Lavoro, si sparse la notizia della venuta degli angioini e questo, portò il popolo a ribellarsi al Sovrano. Venuta la primavera del 1461, Ferrante, dopo aver messo a ferro e fuoco le contrade di Avellino e Campobasso, si accampò nei dintorni di Calvi, in attesa dell’esercito del Papa, quando un monaco gli si presentò, dicendogli che il Duca di Sessa, suo cognato, aveva desiderio di parlargli. Il Re accettò di incontrarlo e fu stabilito come luogo d’incontro, un sito tra Calvi e Teano e concordarono la presenza di due testimoni per ciascuno che ascoltassero la conversazione. Accanto a Re Ferrante furono Mossan Coreglia e Giovanni Ventimiglia mentre, col Duca, arrivarono i due Baroni, Giacomo Montagano e Deifebo dell’Anguillara. Il primo ad avvicinarsi e a porgere la mano fu Ferrante ma dalle vicendevoli scuse, si passò in fretta ai rimbrotti e poi alle spade. La mischia divenne terribile, cadde ferito il Ventimiglia mentre il Coreglia si diede alla fuga. Ferrante non si sarebbe salvato se, dal bosco, non fossero usciti i soldati, posti in agguato. Al Duca Marino toccò la fuga!
Pochi giorni dopo, le truppe francesi si unirono a quelle del Marzano e a Ferrante, toccò la disfatta di Sarno, nella quale perse la vita il Simonetto. L’esercito del Re si diede alla fuga e Ferrante stesso, riuscì miracolosamente a raggiungere Napoli. Ferrante sembrava battuto definitivamente, quando, una notte, Isabella di Chiaromonte, moglie del Re, con addosso l’abito di San Francesco e con accanto il suo confessore, partì da Napoli per raggiungere il Principe di Taranto, suo zio. In lacrime gli chiese di abbandonare i propositi di far cadere Ferrante in favore degli angioini. Il Principe, commosso, promise alla nipote che si sarebbe allontanato da ogni conflitto e così fu. Con pretesti frivoli, il tarantino, si oppose all’assalto di Napoli e temporeggiò affinchè Re Ferrante riordinasse le sue forze e ricevere soccorso da Giorgio Castriota, signore d’Albania, detto lo Scandberg e gli aiuti del Papa, che non solo lo misero nella posizione di resistere ma di trionfare sui suoi nemici. Il Principe di Taranto chiese ed ottenne pace dal Re, sotto la garanzia del Pontefice e del Duca di Milano, ma trascorsi pochi giorni, il Re si vendicò mandando dei sicari che, durante il sonno, strangolarono il Principe.
Allo stesso tempo Ferrante, suggellava la pace, con il cognato Marino, proponendo matrimonio tra la sua figliola di appena cinque anni e il figlio di Marino, che di anni ne aveva quattro e come pegno, la piccola fu trasferita a Sessa, perché Eleonora si occupasse della sua educazione.
A causa di un’epidemia di peste, il Re si rifugiò a Capua, poi ad Aversa ed infine a Savono, dove invitò il cognato a raggiungerlo. Marino, conoscendo l’animo vendicativo di Ferrante, prese tempo ma poi, credette di dover porre fiducia in una pace conclusa sotto così ampie garanzie. Giunto al campo, nonostante la Principessa Eleonora, avesse tentato in tutti i modi di dissuaderlo, Marino, si rese conto del malanimo del cognato e dopo alcuni giorni, alzatosi di buon mattino, montò a cavallo e, con la scusa di voler fare una passeggiata, spronò il cavallo e si diresse verso Corinola. Marino però era sorvegliato e il Re, avvertito del tentativo di fuga, mandò molti uomini armati che, al guado del fiume, arrestarono Marino, lo condussero a Napoli, dove fu rinchiuso a Castel Nuovo. Ferrante, come l’ebbe catturato, prese possesso delle immense ricchezze del Duca e ordinò che la Principessa Eleonora con le figlie, fosse trasferita ad Aversa ed affinchè nessuno, negli anni a venire, potesse vendicare il povero Marino, ordinò che anche il di lui figlio, Giovanbattista, di appena quattro anni, fosse rinchiuso in prigione con il padre. Ebbe poi cura di maritare le figlie del Duca di Sessa a Baroni devoti alla casa d’Aragona. Covella andò sposa ad Alessandro Sforza, Principe di Pesaro; Caterina ad Antonio della Rovere, nipote di Sisto IV, Conte di Sora e d’Arpino; Margherita in Grecia, sposata a Lionardo di Tocco, despota di Romania, Principe d’Acaja e Duca di Leucade; Maria ad Antonio Piccolomini, Duca d’Amalfi, rimasto vedovo della figlia del Re, Maria d’Aragona.
In seguito, la sventurata Principessa Eleonora, rimasta sola, chiese ed ottenne dal fratello, di abitare nel Castello delle Pietre, che racchiudeva tutti i suoi ricordi.
Nuovi focolai di ribellione animavano gli animi dei Baroni napoletani che, con l’inganno, furono incarcerati e lasciati morire tra atroci sofferenze e perché fosse d’esempio per i sopravvissuti, fu lo stesso Re ad uccidere Marino a bastonate ed il suo cadavere, fatto a pezzi e messo in un paio di sacchi, data l’alta statura del Duca, e gettati in mare. Correva l’anno 1489.
Il 27 maggio del 1492, Ferrante morì e Alfonso II, vedendo la tempesta che gli si addensava sul capo, decise di abdicare in nome di Ferrantino, suo figlio, il quale, per accattivarsi le simpatie dei sudditi, tolse molte gravezze e liberò tutti i Baroni imprigionati per le passate vicende politiche, che ancora languivano in prigione. Fra loro, Giovanbattista Marzano che dal 1464 era rinchiuso tra le mura di Castel Nuovo. Vi era entrato fanciullo, ne usciva a trentacinque anni e sembrava già vecchio.
Una sera del febbraio del 1495, a Capua, la Principessa Eleonora, mentre pregava con fervore nella Cappella del Castello, com’era solita fare, ripetendo ad alta voce i nomi dei suoi cari, udì un sospiro e voltandosi, vide un uomo vestito di stracci, con la lunga barba poggiata sul petto e pochi capelli lunghi che ricadevano sulle spalle. La donna lo confuse col marito, tornato dall’oltretomba, in realtà si trattava del figlio: “Son io , o madre, che ti sto al cospetto, e che pregherò teco, pace all’anima sua”.
Bibliografia: Memorie storiche intorno alla famiglia Marzano , estratte dal giornale araldico-genealogico-diplomatico italiano – Anno II-Numeri 4 e 5 dei mesi di ottobre e novembre del 1874
Luisa Matera