Alta Terra di Lavoro

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CON FERDINANDO IV DI BORBONE EMILIO GIN SMONTA BENEDETTO CROCE

Posted by on Gen 22, 2024

CON FERDINANDO IV DI BORBONE EMILIO GIN SMONTA BENEDETTO CROCE

La storia Patria Italiana, soprattutto per i primi 80 anni dopo il 1860, si fonda sugli studi e sulle tesi di Benedetto Croce che ha speso una vita a studiare la Storia con immense ricerche sul Regno di Napoli fin dagli albori, dal suo punto di vista ovviamente. Un liberale italiano quindi fazioso e anticattolico utilizzando i monumentali studi,questo è un gran merito, per far passare e rafforzare le opinioni personali che denigravano e in alcuni casi ridicolizzavano, la grande storia di un Regno che ha contribuito a scrivere, da protagonista, la storia universale. Il bersaglio preferito di Benedetto Croce, ricordo che aveva legame parentale molto stretto con Silvio Spaventa suo zio e tutore, sono sempre stati i Borbone di Napoli pur riconoscendo, alla fine della sua vita, che forse nel Regno delle Due Sicilie le cose non andavano così male, comportamento simile lo ha avuto anche Giuseppe Galasso. Grazie alla sua volontà sono stati rimessi al centro della storia italiana i protagonisti della Repubblica Napoletana che la storiografia risorgimentale voleva cancellare perché  ritenuta una vergogna che macchiava la retorica nazionale basata sulla cacciata delle straniero mentre i repubblichini da operetta napoletani nella loro vicenda, che è durata poche settimane, aiutarono lo straniero francese ad invadere la Patria Napolitana, ricordo solamente quello che fecero a Castel San’Elmo o agli Incurabili, come ricordo che un altro padre della patria come Mazzini li ha condannati in un suo saggio. Ferdinando IV lo ha fatto passare sempre come un incapace dedito solo ai piaceri della vita e se qualcosa è stato fatto di buono il merito è della Regina Maria Carolina, teoria che ha dettato le linee guide alla storiografia italiana che ancora oggi è condizionata dai suoi studi e che la rendono provinciale e antistorica.

In contrapposizione alle teorie del Croce e della vulgata dominate, c’è una vastissima saggistica figlia di accurate ricerche d’archivio e bibliografiche che viene prodotta con onestà intellettuale e professionalità da studiosi non accademici, ma semplici appassionati dalla comprovata bravura e specchiata onestà che da decenni lavorano e studiano nell’oscurità riuscendo a ritagliarsi degli spazi nella palude della storiografia ufficiale.

Da qualche anno, però, anche il mondo accademico comincia a porsi qualche domanda e ci sono professori che sentono la necessità di distinguersi dai prezzolati che dominano l’Università Italiana dando un contributo importante al ripristino di verità storiche che come abbiamo visto sono state cancellate o modificate, fornendo un contributo di altissimo livello inattaccabili sotto tutti i punti vista, mettendo in imbarazzo la vulgata dominante e la narrazione ufficiale. Un docente universitario che grazie alla sua capacità e alla sua onestà intellettuale che considero un principe della ricerca storica scientifica, è certamente Emilio Gin Professore all’Università degli studi di Salerno che da sempre rivolge i suoi studi sulla storia che va dal XVIII secolo fino al risorgimento e che personalmente ho molto apprezzato nel suo primo lavoro “Santa Fede e congiura antigiacobina” scritto nel 1999 dove si parla delle insorgenze nel Regno evidenziando quella che operava nella città di Napoli molto attiva e tenace. Il suo ultimo lavoro che definisco un capolavoro, è “Ferdinando IV di Borbone” (il regno di napoli e il grande gioco del mediterraneo) edito da Rubettino dove emerge il “Re dei Lazzaroni” in una forma e in una essenza completamente diversa da quella che la vulgata dominante fa apparire da decenni mettendo in discussione le tesi di Benedetto Croce. La politica estera dei Borbone di Napoli fin dall’inizio con Carlo è sempre stata impostata sulla ricerca della neutralità con l’ambizione di far diventare il Regno di Napoli una media potenza nella consapevolezza che non era possibile affiancarsi alle potenze Imperiali dell’epoca, cosa che aveva anche capito per il neonato Regno di Italia Giolitti quando era al potere.

Carlo quando divenne III di Spagna e nonostante lasciò scritto sull’obelisco di Bitonto

“CAROLO HISPANIARUM INFANTI
NEAPOLITANORUM ET SICULORUM REGI
PARMENSIUM PLACENTINORUM CASTRENSIUM DUCI
MAGNO AETRUSCORUM PRINCIPI
QUOD HISPANICI EXERCITUS IMPERATOR
GERMANOS DELEVERIT
ITALICAM LIBERTATEM FUNDAVERIT
APPULI CALABRIQUE SIGNUM
EXTULERUNT”     

non accettò mai che Napoli potesse emanciparsi dalla tenaglia Borbonica ed Asburgica che in quel secolo dominava in Europa continentale e ostacolò sempre suo figlio Ferdinando, divenuto Re di Napoli quando lui divenne Re di Spagna, che invece voleva rendere il suo Regno autonomo ed indipendente e non una costola dei Borbone di Spagna e Francia.

Emilio Gin grazie ai suoi studi che so iniziati anni fa, ci fa conoscere un Ferdinando IV con una grande capacità di statista che sapeva muoversi nello scacchiere internazionale dell’epoca con intelligenza e pazienza senza mai perdere la fiducia verso la sua visione nonostante i continui rifiuti di suo padre Carlo di dargli una legittimità internazionale. Aveva capito che tutto passava per il mare e fin dall’inizio concentrò i suoi sforzi politici ed economici alla creazione di una flotta che se non poteva competere con le potenze straniere, in Italia primeggiò e riuscì a far diventare il suo Regno neutrale e una media potenza. Grazie all’importazione del ferro utile per la costruzione della sua flotta, riuscì a strappare il primo e tanto sudato trattato internazionale con la Russia e Gin, grazie al suo lavoro, ci fa comprendere perché il Regno fu la prima nazione che legittimò la Repubblica Francese nata dopo il 1789. Grazie altresì a questi studi, posso affermare che con Ferdinando IV nascono i Borbone di Napoli che si emangipano dalla subalternità in cui Carlo III voleva lasciarli nel periodo in cui i nazionalismi si consolidarono, con una posizione nella geopolita autonoma e indipendente che durerà fino alla sua fine essendone la causa, per questo possiamo dire con orgoglio che il Regno è terminato con Onore e Dignità. I suoi rapporti con Tanucci e Acton sono descritti all’opposto di come noi li abbiamo conosciuti fino ad ora, grazie sempre dal “Croce Nazionale” e soprattutto la collaborazione con il cattolico Acton erano improntanti su il rispetto e fiducia reciproca. Sulla Regina Maria Carolina grazie alle ricerche di Emilio Gin, abbiamo scoperto che mai ha avuto un ruolo importante nella vita politica del Regno rappresentando per Ferdinando IV solo un affare di Stato, che ha gestito con grande capacità e pazienza anche quando dovette andare oltre la diffamazione dell’ambasciatore Spagnolo che cercava di screditarlo a livello internazionale strumentalizzando la vita extraconiugale dell’asburgica. La gestione dalla Sicilia sulle drammatiche vicende del 1799, l’ha sempre fatta in prima persona e tutte le decisione prese sono state solo sue come le scelte sulle capitolazioni dei tre castelli napoletani con Nelson che agiva sotto i suoi comandi tranne a Procida dove ebbe fretta di giustiziare i traditori giacobini procidani e non è un caso che non se ne parla mai perché inquinerebbe la retorica repubblichina.

Unico disaccordo che posso avere è sull’analisi dei giacobini come su i sanfedisti, perché ad Emilio Gin sfugge che per la prima volta nel Regno ci fu una drammatica spaccatura tra il popolo e la neonata liberal-borghesia e che gli atti di violenza, che in alcuni casi sfociò nella crudeltà come spesso accade nei fraticidi, era solo una reazione alle misfatte, ben peggiore degli insorgenti, dell’esercito invasore francese e dell’alto tradimento di cui si macchiarono i fiancheggiatori giacobini napolitani, un esempio sono i fatti di dell’Eccidio di Isola Liri del 12 maggio 1799. Sul testo posso solo dire che quando mi è arrivato tra le mani, anticipato da un’attesa pluriennale e tanto decantato, vedendolo di solo 140 ho pensato che non avrebbe soddisfatto le mie attese ma nel leggerlo sono rimasto folgorato dalla capacità di sintesi e comunicativa del docente salernitano, non comune negli accademici. L’impostazione non è crociana storicizzando i fatti, ma sono legati tra di loro con un’impostazione vichiana rendendo il libro fruibile a tutti e non rivolto ad un pubblico di nicchia, stile tipico di chi ha nella conoscenza e nella libertà la sua forza, di seguito alcune informazioni

Indice dei nomi 5 pag.

Fonti archivistiche e bibliografiche 10 pag.

Fonti per introduzioni 18 pag.

Con ricerche effettuate in italia e all’estero che fa capire la portata del lavoro e che apre, partendo da una posizione accademica quindi autorevole, un nuovo scenario sulla storia dei Borbone di Napoli e sull’ultimo secolo e mezzo di vita del Regno. C’è ancora da scrivere sul Ferdinando dopo il 1799 fino alla sua morte dove, secondo il mio modesto parere, “non ne azzeccò una”, come sui rapporti tra casa regnante e massoneria non sempre cristallini, Raimondo Rotondi ci indica la strada da seguire, su le due correnti politiche Ro-mo (rivoluzione o morte) a cui appartenevano gli asserragliati di Castel Sant’Elmo e Lo-mo (libertà o morte) più concilianti con la corte e sui i rapporti Stato e Chiesa nella piena ubriacatura illuminista di cui fu vittima tutta l’Europa nel ‘700 e di cui ancora oggi ne subiamo i nefasti effetti.

Claudio Saltarelli 

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BENEDETTO CROCE, UNA VISIONE DELL’ULTIMA NAPOLI BORBONICA

Posted by on Dic 8, 2020

BENEDETTO CROCE, UNA VISIONE DELL’ULTIMA NAPOLI BORBONICA

Gli Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti, opera diretta da Francesco de Bourcard (1), sona un magnifico libro, che mi meraviglio di non veder lodato e celebrato e ricercato come si dovrebbe, e che forse adesso comincerà a svegliare intorno a se questi meritati sentimenti, adesso che, come tanti altri libri, — dopo la rarefazione bibliopolica prodotta dalla guerra, — è diventato prezioso e quasi introvabile.

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Accademici, giornalisti e Benedetto Croce. A proposito della polemica sollevata dai docenti di Bari

Posted by on Ott 2, 2020

Accademici, giornalisti e Benedetto Croce. A proposito della polemica sollevata dai docenti di Bari

Tra il 1931 e 1932, solo 18 docenti universitari non  giurarono per il regime fascista. Gli altri si adeguarono. Per il bene della famiglia, naturalmente, ma anche per un certo conformismo con il potere culturale dominante che ha sempre animato certe Accademie. L’adeguarsi agevola carriere, facilita concorsi, attrae simpatie dei docenti che contano.

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Casamicciola e Benedetto Croce: ciò che giudichiamo disgrazie possono essere grazie e ciò che giudichiamo grazie possono essere disgrazie

Posted by on Lug 27, 2019

Casamicciola e Benedetto Croce: ciò che giudichiamo disgrazie possono essere grazie e ciò che giudichiamo grazie possono essere disgrazie

Nel lontano 28 luglio 1883 vi fu un disastroso terremoto in quel di Casamicciola sull’isola di Ischia. Un terremoto in cui persero la vita i genitori e la sorella del noto filosofo Benedetto Croce (1866-1952). Lui stesso fu investito dal crollo, ma ne uscì vivo dopo aver perso conoscenza.

Ecco il racconto che ne fece:

“Eravamo a tavola per la cena io la mamma, mia sorella ed il babbo che si accingeva a prendere posto. Ad un tratto come alleggerito, vidi mio padre ondeggiare e subito in un baleno sprofondare nel pavimento stranamente apertosi, mia sorella schizzare in alto verso il tetto. Terrorizzato cercai con lo sguardo mia madre che raggiunsi sul balcone dove insieme precipitammo e così io svenni..”

“Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò ch’era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi.”

“Verso la mattina (ma più tardi), fui cavato fuori, se ben ricordo, da due soldati e steso su una barella all’aperto. Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl’incerti concetti sui fini e sul significato del vivere, e le altre congiunte ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e m’inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane.”

Alla morte di Benedetto Croce, la nota mistica Natuzza Evolo (1924-2009) raccontò di aver ricevuto una visione del filosofo il quale le disse di essere stato condannato all’inferno per aver rifiutato in vita le tante occasioni di conversione e che avrebbe voluto accettare tante penitenze per quanti sono i granelli di sabbia pur di liberarsi da quel luogo di dannazione.

Non sappiamo se questa visione sia attendibile, per tutta una serie di motivi che non stiamo qui ad elencare. E’ però purtroppo verosimile perché il giudizio di Dio è sempre tarato in base ai talenti che si ricevono e che costituiscono una grande responsabilità. Croce, pur riconoscendo il valore culturale del Cattolicesimo, non volle mai essere un cattolico. Dicevamo: non possiamo sapere se effettivamente questa visione sia attendibile (speriamo non lo sia), resta il fatto che se Croce fosse morto nell’occasione del terremoto (aveva solo 17 anni), è altamente probabile che il suo destino eterno sarebbe stato diverso.

Lo ripetiamo: speriamo che ciò che abbia visto la Evolo non sia rispondente alla realtà, ma questo ci permette una riflessione molto importante: nella prospettiva dell’eternità ciò che giudichiamo disgrazie possono essere grazie e ciò che giudichiamo grazie possono essere disgrazie. 

fonte http://itresentieri.it/nella-pprospettiva-delleternita-cio-che-giudichiamo-disgrazie-possono-essere-delle-grazie-e-cio-che-giudichiamo-grazie-possono-essere-delle-disgrazie/

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